E..così..tu vorresti parlare di "razza"? Ma Parliamone, sì!!!

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Non forzare le “persone di colore” a discutere di razza. Le “persone di colore” vivono con il razzismo ogni giorno senza discutere quando e come influisca sulla loro vita. È doloroso ed estenuante. Quando le “persone di colore” hanno il raro lusso di scegliere di non impegnarsi in ulteriori dialoghi sulla razza, non negarglielo. Anche se questa discussione è davvero importante per te, non hai il diritto di richiederla. Ci saranno altre occasioni per farlo.

 

Ho conosciuto Ijeoma Oluo per puro caso, mentre cercavo un’edizione un po’ particolare del libro di Angela Davis,La libertà è una lotta costante“. L’incontro è stato subito sensazionale. Il titolo del suo libro “SO, YOU WANT TO TALK ABOUT RACE” (non credo vi sia la traduzione in Italiano, per il momento), era come una sfida, un richiamo, una domanda su un argomento che ben conosco a memoria. Quel “So” aveva un significato molto tagliente, come voler dire …”così, vuoi parlare di razza”.. con la voluta assenza del punto di domanda, come a lanciare una sfida a chi crede di saperla più lunga di colui che, in realtà, certi problemi, li vive sulla propria pelle.

Non c’ho pensato su un solo minuto e l’ho acquistato, per poi scoprire che ho fatto uno degli investimenti più “redditizi” (per me) nel campo letterario.

Ijeoma Oluo è una scrittrice, una relatrice ed una blogger. Si occupa di femminismo, identità, “razza”, salute, giustizia sociale e mentale. Possiede una rara capacità di essere diretta, divertente ed efficace nell’affrontare temi delicati; i suoi messaggi sono molto appassionati, finemente sintonizzati e cristallizzano  idee che altrimenti sarebbero vaghe, rafforzandole e traducendole con chiarezza in un momento “a-ha” ( un momento di scoperta, di illuminazione).

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Il razzismo è un pregiudizio nei confronti di qualcuno a causa della sua razza quando tali visioni sono rafforzate da sistemi di potere.

In So You Want to Talk About Race, Ijeoma esplora la complessa realtà del panorama razziale odierno – dal privilegio bianco, alla brutalità della polizia americana, alla discriminazione sistematica, all’intersezionalità, alle micro-aggressioni, al movimento Black Lives Matter e alla parola “N” – offrendo ai lettori la chiarezza necessaria per contribuire allo smantellamento della divisione razziale. Questo libro è perfettamente posizionato per colmare il divario tra le “persone di colore” ed i bianchi, alle prese con le complessità razziali, e lo fa, rispondendo alle domande che i lettori non oserebbero mai fare, spiegando i concetti che tutti continuano ad eludere ogni giorno.

Il libro va in profondità, nel vero nocciolo dei problemi e demolisce tutte quelle idee che causano una disgregazione inutile in molte delle nazioni più ricche della terra. E’ una pubblicazione che dovrebbe essere letto da tutti,  ma particolarmente da quei  bianchi che vogliono cercare di capire ed evitare i classici fraintendimenti che poi portano a discussioni sterili. Viene dimenticato troppo facilmente che solo qualche  decennio fa, tutte le istituzioni occidentali erano razzisti; suprematisti  bianchi che costruivano un mondo per il loro popolo e che questo dominio costituiva la faccia della terra come la conosciamo oggi. Rendersi conto di questo (e di far parte di un gruppo elitario), per alcuni bianchi, è scioccante, perché preferiscono pensare che solo alcuni gruppi siano razzisti, non l’intero sistema in cui vivono. Trovano molto più comodo evitare di pensare ai problemi reali e, magari, arrabbiarsi con alcuni estremisti che brandiscono la bandiera in nome di qualche richiamo “alla razza pura”, o alterarsi per  lo stupido vicino razzista, invece che guardare al proprio atteggiamento relativamente a questo dilemma.

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Spesso, essere una “persona di colore” in una società dominata da bianchi è come essere in una relazione abusiva con il mondo. 

Nei paesi così detti democratici ci sono persone che continuano a negare il razzismo, e, le loro istituzioni impediscono il cambiamento addolcendo qualsiasi controversia che abbia il sapore razzista, asserendo che i casi sono rari e sporadici. In realtà così non è. Queste società ingigantiscono i problemi già esistenti, trascinati da ripercussioni di secoli di schiavitù, razzismo e separazione, colpendo non solo le minoranze o i gruppi discriminati, ma producendo anche più persone disposte a essere razziste, omofobe, islamofobe, sessiste e piene di odio e questo circolo vizioso continua a ruotare nello spirito del vecchio detto “divide et impera”.

L’imperialismo e il dominio culturali sono sempre gli stessi, non importa se si tratta di un sistema economico, di credo o politico e la sua ultima conseguenza è un focus economico e mediatico sull’interesse dei bianchi, guarnito con un sistema burocratico che consente di espandere questo dominio in tutto il mondo. Che si tratti di tutti i tipi di tendenze, vestiti, educazione, scienza, .. tutto è focalizzato sul piacere delle preferenze bianche.

Il razzismo  è orrendo, visibilmente persistente, silenzioso e sinistro e distrugge tutto. Non può essere risolto se non lo si affronta. Ovviamente parlarne è difficile perché non permette a nessuno di fingere che non esista. E, oggi, la nostra Società tutta, soggiace nella parola “scomodo”. Parlare di “razza” è scomodo. I bianchi non lo fanno, semplicemente perché non hanno bisogno di farlo dal momento che vivono in un mondo suprematista bianco, di totale privilegio dato da secoli e secoli di supremazia. Siamo in uno stato scomodo, a tutti gli effetti. E, quando si è abituati al privilegio, l’uguaglianza può sembrare oppressione. Per questo si preferisce sorvolare. E qui dovrebbe entrare in gioco il nostro atteggiamento conciliante; conciliante per i nostri errori nel tentativo di far comprendere e conciliante per gli altri che stanno cercando di capire ciò che ora non capiscono.

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Non tutto ciò che viene affrontato può essere cambiato, ma nulla può essere cambiato fino a quando non viene affrontato. (James Baldwin)

L’intero libro è una vera fonte di insegnamento, di tante idee utili, consigli e strategie, probabilmente, come già detto, più per i bianchi che cercano di fare i primi passi nel riconoscere che non capiscono le questioni razziali e che sono costretti a farlo. Ma anche per chiunque sia stato il bersaglio dell’oppressione sistemica, un tipo di razzismo paragonabile ad una macchina che funziona indipendentemente dal fatto che tiriamo o meno le leve. Semplicemente lasciandolo essere, siamo responsabili di ciò che produce. Dobbiamo effettivamente smantellare la macchina se vogliamo apportare modifiche.

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In un mondo ostile, le “persone di colore” hanno il diritto di evitare rapporti con le persone che le hanno danneggiate, che fanno di tutto per provocare un ingiustizia razziale, con quelle che demonizzano e minimizzano qualsiasi aspetto di questo argomento. Se siamo davvero contro il razzismo e vogliamo provare a cambiare il sistema, se vogliamo davvero l’uguaglianza per tutti, allora dobbiamo iniziare da noi stessi.

  • Aprirci alle critiche degli altri;
  • Ascoltare chi davvero è dentro il problema;
  • Parlarne, iniziare conversazioni e dibattiti sull’argomento con l’obiettivo di comprendere e non di attacare nè denigrare;
  • Smetterla di mettersi sempre sulla difensiva, insistendo che le propri intenzioni sono buone, quando, in realtà, ti fanno capire che non lo è;
  • Agire, quando si vedono ingiustizie. Fare la propria parte attiva in modo da istruire anche chi, inconsapevolmente, non vede ingiustizie.
  • Far tesoro di 3 principi fondamentali:

a) Si tratta di razza e di razzismo, se una persona di colore pensa che si tratti di razza e di razzismo;
b) Riguarda la razza ed il razzismo se colpisce in modo sproporzionato o diverso le persone di colore;
c) Si tratta di razza se si inserisce in un modello più ampio di eventi che influenzano in modo sproporzionato o diverso le persone di colore.

Insomma, è un libro che apre ad una moltitudine di consigli e azioni da perpetuare se davvero si ha intenzione di portare il proprio contributo a sovvertire il sistema ed a renderlo equo. Cito solamente sei dei punti che ritengo focali, toccati dall’autrice.

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1) Cos’è il privilegio ( o cosa non è)?

“Privilegio” è una delle parole più controverse nel panorama politico e sociale di oggi. Molti rispondono in modo difensivo quando viene loro chiesto di affrontare il fatto che potrebbero aver sperimentato il privilegio in un modo o nell’altro. Questo tipo di risposta  è naturale, sostiene Ijeoma, dal momento che può sembrare una negazione delle proprie difficoltà. Nessuno ha una vita perfettamente facile senza sofferenza e duro lavoro.

Quindi cos’è il privilegio?

Come dice Ijeoma, il privilegio del bianco non è semplicemente essere bianco, con un bagaglio di vantaggi consegnati “chiavi in mano”; piuttosto, è la mancanza di una serie specifica di barriere. Il privilegio bianco è quella cosa che ti fa dire che Eminem è un gran figo (nel rappare), mentre Tupac Shakur è un disgraziato. Esaminare il privilegio è un’esperienza insopportabile, perché ti accorgi di avere il potere e molte persone, questo, non riescono a comprenderlo. Con sua madre, donna bianca, ha dovuta intavolare seriamente un discorso perchè, appunto, non riusciva a capirla completamente e tutto l’amore che aveva per la figlia non era sufficiente per proteggerla dal razzismo. Sua madre è stata costretta a riconoscere il suo privilegio ed a accettare il fatto che non poteva capire fino in fondo il significato del razzismo.

Come persone bi-razziali ( e… questo lo aggiungo io), ogni volta che realizziamo uno spazio in cui abbiamo un privilegio, stiamo realizzando uno spazio in cui abbiamo il potere di fare la differenza. Con le nostre voci, i nostri voti e i nostri quattrini,  abbiamo la possibilità di amplificare le voci di coloro che sono più emarginati e ignorati. Sentirsi in colpa per il nostro privilegio non aiuta nessuno, ma usare il nostro privilegio per rovesciare i sistemi di oppressione è un modo incredibilmente potente per impugnare un’arma che altrimenti potrebbe essere usata per causare danni. E non è detto che siamo sulla strada completamente giusta, perché proprio quando pensiamo di capire qual è il privilegio, potremmo scoprire che non sappiamo come spiegarlo, né fornirne esempi o persino riconoscerlo immediatamente. Ed anche noi soffriamo, come tutti gli esseri umani, certo! Ma Privilegio bianco non significa che la vita non sia stata dura anche con noi; significa, semplicemente, che il colore della tua pelle non è una delle cose ad averla resa più difficle. Dobbiamo riuscire cambiare qualcosa di così basilare come il nostro vocabolario e tutti coloro che hanno imparato una nuova lingua sanno quanto possa essere difficile. I nostri comportamenti sono spesso frutto dell’abitudine, appresi da bambini e alcuni devono cambiare. Il cambiamento è difficile, ma non impossibile.

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“Il privilegio, nel contesto della giustizia sociale, è un vantaggio o una serie di vantaggi che gli altri non hanno. Questi privilegi non sono dovuti al 100% ai tuoi sforzi (anche se il tuo duro lavoro potrebbe averti aiutato) e i vantaggi di questi privilegi sono sproporzionatamente ampi o almeno parzialmente immeritati rispetto a ciò a cui il privilegio serve”.

2) Avvicinarsi alla conversazione con l’obiettivo di capire.

Le conversazioni sulla “razza” possono essere particolarmente difficili (questo è il motivo per cui ha scritto un intero libro a riguardo). Quindi, come possiamo fare queste conversazioni in modo produttivo? Innanzitutto, dice Ijeoma, dichiarando l’obiettivo della conversazione sin dall’inizio, che non deve essere quello di vincere o causare vergogna. Piuttosto, mirare a raggiungere un punto di comprensione reciproca, della serie, “Spero che alla fine di questa conversazione il divario tra di noi sarà più stretto.”

Questo approccio si focalizza sulle esperienze dell’individuo che viene ferito, senza attacchi e accuse taglienti, che possono portare sulla difensiva. “È naturale diventare difensivi nelle conversazioni sulla razza, specialmente quando si è soggetti della discussione stessa”, dice Ijeoma. Dal momento che la nostra società ha una visione del razzismo in bianco e nero, chiunque faccia qualcosa di razzista può sentirsi come se gli venisse detto di odiare o di voler danneggiare intenzionalmente le “persone di colore”. Invece, spetta ai bianchi rendersi conto che, non importa quanto anti-razzisti cerchino di essere, sbaglieranno e coglieranno queste opportunità per imparare e crescere.


 

3) Le microaggressioni non sono cose da poco.

Le microaggressioni sono chiamate tali per un motivo. Sono i piccoli, apparentemente innocui, commenti e azioni razzisti che le “persone di colore” sperimentano quotidianamente. Viste da fuori, queste microaggressioni possono essere considerate insignificanti e la risposta della “persona di colore” a queste può sembrare sproporzionata. Tuttavia, queste microaggressioni sono tutt’altro che un nonnulla. Le microaggressioni sostengono un sistema di razzismo che è molto più insidioso di quanto possa rivelare un piccolo commento.

Ad esempio, mentre dici “Wow, parli davvero bene!” a una persona di colore, può sembrare un complimento, invece, l’assunto di base qui è che i neri sono meno intelligenti, meno capaci di avere una conversazione grammaticalmente corretta. Questa convinzione è nata per giustificare secoli di violenza contro i neri, quindi quando crediamo in questo, anche in piccola parte, sosteniamo quella violenza.

“Le microaggressioni contano perché rinforzano il sistema”, ha detto Ijeoma, “ma anche perché fanno sì che la tensione mentale e fisica venga considerata come qualcos’altro”. Questa tensione mentale è vissuta ogni giorno da “persone di colore” che semplicemente vivono in una società suprematista bianca. Ogni piccola puntura di una microaggressione, sebbene all’inizio non sembri più grande di una carta tagliata, si somma. Questo è il dolore con cui vivono le “persone di colore”, e non è un problema minore.

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4) L’intersezionalità è vitale per un movimento femminile sostenibile

“Perché non puoi essere prima una donna? Perché devi essere così controversa? ”

Ijeoma affronta molto questa domanda. Principalmente come donna bianca.

Il movimento delle donne è sempre stato bianco. Le donne “di colore” sono state introdotte nel movimento quando era conveniente, o come capro espiatorio. Le donne bianche hanno continuamente ignorato i bisogni delle donne “di colore”, ma hanno sempre chiesto loro solidarietà, quando ne avevano bisogno. Ijeoma esterna la sua delusione quando cercava di coinvolgere gli amici bianchi: “Per anni ho partecipato alle marce di Black Lives Matter e ho pregato i miei amici bianchi di venire, ma non si sono mai fatti vedere. Ho fin pensato che, forse, a loro, non piacessero le marce “.

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E quindi ecco che il concetto di intersezionalità (cioè la sovrapposizione o “intersezione” di diverse identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni o  dominazioni) è necessario per pensare (e cambiare) ogni elemento o tratto di una persona come inestricabilmente unito a tutti gli altri elementi al fine di poter comprendere completamente l’identità di ognuno. Senza l’intersezionalità tendiamo tutti ad essere autori di razzismo in qualche forma. Ogni generazione pensa di essere migliore di quella precedente alla loro, per poi crescere fino a 40 50 anni e scoprire che gli elementi/concetti/costumi sistemici e culturali sono ancora lì, molto pervasivi e persistenti e sono dentro di noi.

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Quando costruiamo il nostro movimento su questioni e piattaforme che escludono gli altri e favoriscono la loro stessa oppressione, stiamo semplicemente creando più lavoro per annullare lo sforzo. Le donne bianche hanno sempre beneficiato della loro vicinanza al gruppo più privilegiato: gli uomini bianchi. Basare la libertà su questa contingenza non solo danneggia le donne di colore, ma alla fine non è un percorso per la liberazione totale poiché mantiene le donne dipendenti dagli uomini per un senso di sicurezza. Mentre alcuni sostengono che un movimento intersezionale sia troppo complicato e dovremmo muoverci per gradi (prima le donne bianche, ovviamente), questo “progresso” è solo quello di facciata. Piuttosto, questo progresso dovrà essere abbattuto e ricostruito da zero comunque per spostarsi verso una società totalmente libera. Per avere un movimento sostenibile, semplicemente non possiamo permetterci di non essere intersezionali.


 

5) Pushback (respingere) significa progresso

Nonostante l’attuale clima sociale e politico, che sembra più razziale che mai, Ijeoma ha lasciato una nota positiva. Il respingimento e l’intolleranza verso tutte le forme di prevaricazione che stiamo vedendo oggi, dà il senso della misura del progresso che stiamo facendo. La supremazia bianca viene minacciata ed è a causa di quella minaccia che vediamo una maggiore rinascita nei nostri sforzi. C’è una consapevolezza nel dover smetterla di essere compiacenti ed aspettarsi che la supremazia bianca semplicemente “muoia”. Stiamo assistendo a cambiamenti drammatici nel modo in cui i bambini oggi parlano di razza, ma, contemporaneamente, stiamo assistendo a sforzi di indottrinamento attivo dei bambini stessi, nella speranza che diventino portatori di speranza ed ammutinamento dell’odio razziale. Progresso e pushback sono le due facce della stessa medaglia.

6) L’appropriazione culturale

L’appropriazione culturale non è solo l’uso improprio dell’arte e della cultura di un gruppo: chiunque può farlo. Si chiama semplicemente arte “del cavolo”.

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L’appropriazione culturale è l’uso improprio dell’arte e della cultura di un gruppo da parte di qualcuno che ha il potere di ridefinire quell’arte e, nel frattempo, separarla dalle persone che l’hanno originariamente creata. Per fare un esempio, consideriamo un rapper nero: è solo un rapper che svanisce nell’oscurità, lasciandosi alle spalle nient’altro che una scia di mixtape mai suonate e disperse al di fuori delle discoteche. Un rapper bianco vince i Grammys e viene osannato come esempio di ciò che è un ottimo rap. 

Ciò che eleva l’artista bianco al di sopra del talentuoso artista del colore non è l’atto dell’artista di creare l’arte stessa; è il sistema del privilegio e dell’oppressione che valorizza il lavoro di un artista bianco rispetto ai talentuosi artisti di colore.

In uno scambio di idee equo e aperto, in un mondo equo e aperto, l’appropriazione culturale non esiste. In un mondo in cui il pubblico apprezza e ascolta in realtà culture diverse, l’arte scissa dalle sue radici culturali non ha alcun fascino. In un mondo in cui non ci sono gerarchie di tonalità della pelle o di religione, un artista poco talentuoso di qualsiasi colore sfuma nell’oscurità.

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Quando i bianchi ben intenzionati dicono: “Aiutami a definire l’appropriazione culturale in modo che io sappia cosa fare e non fare”, quello che stanno effettivamente dicendo, anche se non ne sono consapevoli, è: “Aiutami a capire come continuare questo sistema di privilegi e oppressione senza sentirmi inadeguato”.

Il vero problema è che quando accendiamo queste discussioni, perdiamo completamente di vista il punto sull’argomento. Ci dimentichiamo anche di chiederci perchè, per esempio, un regista decida di far interpretare una parte di un nero ad un attore bianco (magari sfigurandolo con la pece da scarpe!!), o perchè non vi siano sufficienti sceneggiatori o direttori di produzione, neri, in grado di portare un film dentro il clima “black”. Dobbiamo parlare anche del pubblico che vedrà questi film, piuttosto che semplicemente chiedere: “Dove sono le “persone di colore”?”. E della disparità nel potere d’acquisto del pubblico potenziale, che fa sì che gli studi preferiscano un gruppo piuttosto che un altro. E del sistema economico che crea questa disparità, della gerarchia culturale e dell’esclusività dei whites che detta al suo stesso pubblico le regole nel gestire anche le problematiche dei neri. Dobbiamo parlare dei libri di storia che portano le persone a credere che tutto ciò che è bello nella storia umana sia stato creato dai bianchi.

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Insomma…… Razzisti, omofobi, classisti, misogini e altri bigotti sul generis non stanno sui piedistalli  della loro ignoranza e del loro odio, ma su una gerarchia socio-economica che continuerà a privilegiarli. Il sistema è, nel suo insieme, il suo mezzo ed il suo fine. Farà ben poco per rimuovere uno dei giocatori dal suo posto sulla scala, ed anche se lo facesse, avrebbe delle riserve da mettere al suo posto. Per cambiare la gerarchia, dobbiamo lavorare meglio sui pilastri che formano il sistema stesso. Ed è una sfida che dobbiamo affrontare in modo collettivo. Ora.

 

@Wizzy,  Afro Bodhisattva, Businesswoman, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage & CEO Dolomite Aggregates LTD.

 

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