Oggi vorrei affrontare con voi un argomento già oggetto del mio primissimo Podcast e cioè cosa significhi essere Bi-razziali e Bi-culturale; termini usati troppo spesso con valenza intercambiabile ma che, per la cronaca, non sono per nulla la stessa cosa. La confusione, qui, regna sovrana, a tal punto che le persone sembrano particolarmente inclini a confondere cultura e razza, come se l’uno fosse garanzia dell’altro. Il mantenimento delle capacità di una seconda cultura, è il prodotto di un grande sforzo da parte della famiglia; non è il risultato automatico di avere genitori che sembrano diversi. Può sembrare più educato chiamare qualcuno “bi-culturale” invece di “bi-razziale”, ma presuppone una connessione tra razza e cultura che in definitiva è malsana.
Posso essere bi-razziale, ma mono culturale, perché cresciuta all’interno di una solo cultura. Sono bi-razziale perché, visibilmente, è evidente che faccia parte di due classificazioni (chiamiamoli costrutti sociali etniche?) diversi e cioè, nel mio caso, bianco/nero. Sono anche bi-culturale, perché sono vissuta equilibratamente tra due culture completamente diverse. Posso essere bi-culturale senza essere, necessariamente bi-razziale. Possiamo quindi tranquillamente dire che gli individui con identità bi-culturale sono persone che hanno interiorizzato almeno due culture e non necessariamente fanno parte di minoranze etniche, ma possono essere, semplicemente, individui esposti ad una seconda cultura oltre a quella di appartenenza, e le hanno interiorizzate entrambe.
Sia le persone bi-culturali che quelle bi-razziali sono membri di due diversi gruppi sociali all’interno di una categoria di identità (cioè, appartenenza a due gruppi culturali o a due razziali) e sono quindi membri del gruppo meno standard. Credo che la maggior parte delle persone cresciute o istruite in società pluraliste sappiano che la razza (!!!! DAIII!! NON COMINCIATE AD INDIGNARVI, A RANDOM, PER L’USO DI QUESTO TERMINE. Lo tratterò esaustivamente tra qualche minuto, quindi non vi agitate) – dicevo che la maggior parte delle persone cresciute in società pluraliste sanno che la razza non determina la cultura o la lingua. La pigrizia del presupposto che tutti i bi-razziali siano anche bilingui e bi-culturali diventa più evidente quando si parla di immigrati e dei loro figli.
Ma andiamo con ordine e trattiamo questo tema in modo più in profondità.
Il termine bi-culturale descrive lo stato di avere o ereditare due o più culture o due o più tradizioni etniche. Al centro della discussione sul bi-culturalismo è il costrutto della cultura. La cultura può essere definita come un sistema appreso di significato e comportamento per un gruppo definito da confini geografici; include i costumi, i valori e le tradizioni che le persone apprendono dall’ambiente, dai membri della famiglia, dai coetanei e dalla comunità o società in cui le persone vivono. Gli individui all’interno di una cultura hanno valori, costumi, abitudini e rituali comuni condivisi; sistemi di etichettatura, spiegazioni e valutazioni; regole sociali di comportamento; percezioni riguardanti la natura umana, i fenomeni naturali, le relazioni interpersonali, il tempo e l’attività; simboli, arte e artefatti; e sviluppi storici.
Il bi-culturalismo porta con sé anche aspettative riguardo alla pratica culturale, alla padronanza o alla competenza. In sostanza, il bi-culturalismo può manifestarsi nello stato di trovarsi a proprio agio con, informato su, consapevole di e competente con almeno due culture distinte. Tuttavia, esistono due prospettive dicotomiche su cosa significhi essere bi-culturali, ed entrambe hanno prove empiriche a sostegno. Nel primo, gli individui bi-culturali percepiscono la loro doppia identità culturale come compatibile e complementare, mentre nel secondo, gli individui bi-culturali li descrivono come oppositivi e contraddittori. Gli individui bi-culturali sono stati visti anche come individui che hanno un sano equilibrio tra due o più culture o come individui confusi e in conflitto. Chiaramente, essere bi-culturali non è così semplice come trovarsi all’una o all’altra estremità di uno spettro culturale. Il bi-culturalismo può comportare sentimenti di orgoglio, essere speciali, essere unici e avere un senso di comunità e storia. Può anche includere confusione di identità, aspettative doppie o multiple e conflitti di valore.
Per molti anni si è pensato che vivere due culture avesse un impatto negativo sullo sviluppo e sulla vita degli individui. In effetti, un assunto comune è stato che gli individui che cercano di impegnarsi in due culture sperimentano confusione di identità e persino marginalità. Per aiutare a diminuire questa presunta confusione, i genitori di bambini bi-culturali sono stati spesso incoraggiati a far parlare i loro figli solo una lingua, molto spesso quella dominante. Sebbene gli stereotipi siano ancora profondamente radicati nelle nostre culture, ora è noto che essere bi-culturali offre agli individui l’opportunità di accedere a più di una cultura, e essere bilingue o multilingue è spesso un vantaggio.
Quando parlo di bi-culturalità, non posso che tirare in ballo uno stato di acculturazione riferendomi a quel fenomeno che si verifica quando individui e gruppi di culture differenti si trovano in una condizione continuativa di contatto ravvicinato, con conseguenti cambiamenti negli schemi culturali originali di uno o di entrambi i gruppi da un lato, e cambiamenti per gli individui che ne fanno parte, dall’altro. Il processo è senza dubbio bidirezionale, implicando trasformazioni non solo nelle culture dei gruppi che si confrontano, ma anche cambiamenti che riguardano la sfera psicologica di ogni singolo individui. Questo processo cross-culturale dà l’occasione all’individuo di assimilare, elaborare e interiorizzare schemi culturali anche molto distanti e incongruenti tra loro, innescando una pratica consapevolezza individuale nella negoziazione dei due lembi. Gli individui bi-culturali sono in grado di abbracciare i propri valori utilizzando strategie di coping di entrambe le culture e compiendo scambi interculturali positivi. È parte della loro identità l’accettazione di entrambe le culture che li aiuta a funzionare appropriatamente in contesti multiculturali.
L’ identità bi-culturale è una miscela unica, personale, influenzata da vari fattori che possono essere contestuali, situazionali, socioculturali e individuali. A fronte di ciò, possiamo dire che il processo di identificazione dell’ identità bi-culturale possono rivelarsi armoniosi o conflittuali. Tutto sta nelle modalità in cui questi individui sperimentano e organizzano i loro differenti e talvolta opposti orientamenti culturali. Lo sviluppo di un’armoniosa identità bi-culturale può essere una risorsa per l’individuo poiché determina modificazioni a livello cognitivo che migliorano la flessibilità di pensiero, il benessere e l’adattamento del soggetto in vari contesti. E’ anche vero che la percezione di armonia tra le due culture può essere impedita dall’influenza negativa di fattori stresso geni, sia personali (come la vulnerabilità, ruminazione e rigidità emotiva) che esterni (come discriminazioni, pressioni culturali, difficoltà linguistiche e relazionali).
Le persone spesso alludono a una connessione tra bi-razzialità, bi-culturalismo e acculturazione, e questi termini sono talvolta (erroneamente) usati in modo intercambiabile. Mentre il bi-culturalismo e la bi-razzialità possono essere visti come stati dell’essere, l’acculturazione è un processo. Inoltre, mentre un individuo con uno stato di bi-razzialità non è necessariamente bi-culturale, un individuo bi-culturale avrà almeno un’identità etnica.
Per quel che riguarda la mia esperienza personale come persona bi-culturale (per inciso, lo rammento per chi non mi conoscesse, sono Italo-Nigeriana), posso dire di aver sviluppato un’armonia tale che mi ha permesso un benessere psicologico equilibrato e sereno, un ottimo livello di autostima e la capacità di percepire una minore discriminazione soggettiva e livelli minori di stress. E questo è molto importante nell’elaborazione dei pensieri e nella capacità ideativa/creativa, oltre che fornire le basi per affrontare con più facilità le complessità cognitive, le abilità linguistiche e agevolare l’apertura nelle relazioni sociali. Essere in grado di accettare gli aspetti contraddittori della propria identità, che si presentano con sfaccettature diverse, permettendoci di definirci attraverso una pluralità di modi e non solo attraverso un incasellamento statico, e essere in grado di utilizzare le abilità acquisite in modo funzionale al contesto in cui siamo immersi, sono elementi che caratterizzano questo status.
Di contro, quando affrontiamo il discorso bi-razzialità, inevitabilmente andiamo a toccare il solito discorso sulla “razza” che parecchi non vogliono affrontare o che, quando lo fanno, cominciano con grandi discorsi rasenti al talebanesimo in cui risulta un abominio anche solo pronunciare questa parola. E allora, affrontiamolo per l’ennesima volta. Dico ennesima perché sul Blog Métissage Sangue Misto è stato affrontato una miriade di volte, in tutte le salse possibili ed immaginabili, ma, pare, che il concetto non sia ancora chiaro a molte persone. Ci proviamo di nuovo.
Il termine bi-razziale si riferisce a individui nati da genitori ognuno di un diverso background razziale.
Il termine razza è normalmente utilizzato quando si parla di animali. La parola sembra derivare dall’antico vocabolo francese haraz, che significa “allevamento di cavalli, deposito di stalloni”. Tuttavia, per lungo tempo anche gli esseri umani sono stati suddivisi in “razze” diverse, tenendo conto di differenze fisiche tanto da dare una definizione precisa al termine come “ogni raggruppamento d’individui costituito in modo empirico sulla base di caratteri somatici esteriori comuni, come il colore degli occhi, della pelle e dei capelli e così via”. Ed ecco che abbiamo la razza bianca, quella nera, quella gialla and so on…..
Con la scoperta del codice genetico che racchiude tutte le informazioni necessarie al funzionamento e allo sviluppo degli esseri umani, il DNA, si pensava che queste diversità visibili a occhio nudo fossero dovute alla presenza di geni (cioè a quei pezzetti di DNA che sono responsabili delle caratteristiche ereditarie, vale a dire trasmesse dai genitori ai figli), differenti nelle diverse “razze”. Diversi ricercatori, tra cui il genetista Richard Lewontin, fecero degli studi, agli inizi degli anni ’70, su un campione di di 7 razze diverse: i caucasici (gli abitanti affacciati sul Mediterraneo, comprendendo anche i cittadini del Nord Europa); gli africani sub-sahariani (tutta l’Africa ad esclusione degli abitanti del nord Africa); i mongolidi (Asia orientale); le popolazioni del Sud-est asiatico; gli aborigeni australiani; le popolazioni dell’Oceania (oceanici); i nativi delle Americhe (amerindi).
I risultati di questi studi dimostrarono che guardando all’interno del DNA le differenze tra le “razze” sono molto piccole, e che anzi tutte sembrano derivare da uno stesso gruppo di antenati comuni. Se ne dedusse che questi antenati siano partiti dall’Africa circa 100.000 anni fa e si siano spostati lungo i continenti, dando origine a una discendenza di uomini con caratteristiche fisiche diverse.
Le ricerche di Lewontin furono ripetute più volte da altri studiosi, soprattutto quando, anni dopo, fu possibile avere gli strumenti adatti per studiare il DNA ancora più in dettaglio. Fino ad arrivare al genetista italiano Luigi Cavalli-Sforza, che con i suoi collaboratori confermò i risultati precedenti: all’interno del loro DNA le persone appartenenti a “razze” diverse sono molto simili tra loro, e ciò a causa delle frequenti migrazioni che nel corso dei millenni hanno determinato continui “rimescolamenti” dei geni. Le differenze del colore della pelle, degli occhi e dei capelli, pur essendo le prime caratteristiche che l’occhio umano nota e utilizza per catalogare gli individui, sono dunque poco importanti rispetto al DNA, che è il vero responsabile della struttura e dello sviluppo degli esseri umani.
Cavalli Sforza precisò che il concetto di razza è scorretto “perché le razze sono un prodotto di selezione artificiale ottenuto con incroci mirati. Nell’uomo le razze non esistono per più ragioni: la fondamentale è che siamo una specie molto giovane e ci siamo divisi solo centomila anni fa in diverse popolazioni. Quattromila generazioni sono un’inezia rispetto ai tempi lunghi dell’evoluzione. Non c’è stato un tempo sufficiente a generare varietà diverse. Tanto è vero che la grande differenza biologica è tra individui, e non tra popolazioni. In cultura, all’interno di una popolazione c’è omogeneità di lingua tradizioni, costumi, il divario è minimo”.
Aggiunse poi, all’ obiezione in cui gli si faceva presente che un europeo è palesemente diverso da un asiatico o da un africano…, aggiunse che “la differenza riguarda l’esterno del corpo, che si interfaccia con l’ambiente. È l’ambiente, è il clima, è l’alimentazione a renderci esteriormente diversi, ma gli uomini sono più simili di quanto non si pensi”.
ll termine razza, quindi, non è scientifico ed è privo di fondamento sul piano dell’analisi genetica. Ciò che invece è più che evidente è che il concetto di razza è stato spesso utilizzato in senso politico per operare arbitrarie differenziazioni sul piano delle relazioni sociali e politiche ( lotte, conflitti di razza ; distinzioni, discriminazioni di razza). Le nozioni di “razze superiori” e “razze inferiori” all’interno della specie umana, nacquero per necessità politiche nel mondo postcoloniale, nell’Ottocento, con la pubblicazione del Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane (1853-55) di Joseph Arthur de Gobineau. L’idea che queste differenze fisiche, frutto di adattamenti all’ambiente, implicassero anche differenze psicologiche e comportamentali profonde, al punto da poter distinguere (e ordinare) le diverse popolazioni del mondo, oltre a essersi rivelate tesi scorrette dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana, hanno creato la base e la giustificazione per storiche tragedie. Successe così che antropologi dell’epoca cominciarono ad affannarsi a catalogare le presunte razze, e a inventare un criterio valido e universale per distinguerle tra loro. E mentre la comunità scientifica dibatteva sul nulla, l’idea di “razza” era già diventata il più potente motore della nuova economia coloniale. Il trattamento riservato alle popolazioni africane deportate negli Stati Uniti per ridurle in schiavitù, per esempio, era la diretta conseguenza della loro appartenenza a un’altra razza, considerata intellettualmente inferiore. Nel XVIII secolo, intellettuali di tutto il mondo si appellarono alla cosiddetta scala naturae, l’ordine naturale (gerarchico) di tutte le specie viventi, e collocarono le popolazioni africane un gradino sotto di tutte le altre.
L’antropometria, lo studio e la catalogazione delle misure e delle proporzioni del corpo umano, divenne la stampella scientifica su cui appoggiarsi: ogni razza poteva essere definita da un preciso set di numeri e statistiche, un’idea che non teneva in considerazione i cambiamenti tra una generazione e la successiva, e che eliminava in toto dal discorso l’evidente variabilità all’interno della stessa “razza”. Se devo dirla tutta, Antropometria era un corso che all’università ho fatto fatica a digerire, perché mi pareva talmente assurda e basata sul nulla. Scoprire poi che vi erano differenze tra una generazione e l’altra della stessa “razza”, e che i valori medi di certi parametri si modificavano con il passare delle generazioni, mi ha dato la certezza finale che il 30 preso in quell’esame fosse inutile quanto il tempo perso a studiarlo. Ha comunque avuto la sua utilità nel proseguo dei miei studi.
È importante notare che le distinzioni tra razza ed etnia sono complesse e, a volte, controverse. Per esempio, attualmente, il censimento degli Stati Uniti considera l’ispanico un’etnia piuttosto che una categoria razziale. Pertanto, un individuo con un genitore latino/un genitore e un genitore bianco, per esempio, non sarebbe considerato birazziale, sebbene lui o lei possa sentirsi come se avesse un background culturale misto. Ciò è complicato dal fatto che molti scienziati nell’ambito sociale, credono che la razza sia un costrutto sociale, con raggruppamenti razziali basati su classificazioni storiche piuttosto che su vere differenze genetiche tra le persone. Il termine multietnico, che si riferisce a individui di più origini etniche, è talvolta preferito per descrivere individui di eredità mista perché l’etnia è un termine più ampio che denota un’identità e un’ascendenza condivise tra i membri di un particolare gruppo culturale. Tuttavia, il termine multietnico descriverebbe anche qualcuno di discendenza giapponese e cinese, e questa esperienza sarebbe vista come diversa da un’esperienza multirazziale più tradizionale (ad esempio giapponese e bianca).
Il rafforzamento di questi stereotipi nella cultura popolare, anche grazie a una sapiente opera di propaganda dell’intera classe intellettuale dell’epoca, portò infine alle leggi (americane e inglesi in primis) contro i matrimoni misti. E che dire, poi, del nazismo tedesco e lo sterminio degli ebrei come conseguenza della battaglia per il mantenimento della purezza e l’affermazione della razza ariana? oppure del massacro degli Armeni? O il razzismo e la discriminazione nei confronti degli uomini di colore divergente dal bianco, in diverse parti del mondo?
Nonostante la scienza oggi abbia ampiamente dimostrato l’assenza di differenze tra gli esseri umani, i pregiudizi razziali restano difficili da estirpare e costituiscono un aspetto sui cui la politica, la sanità, la società e la scienza dovrebbero interrogarsi. Alla comunità scientifica va attribuita una parte di responsabilità, ormai ampiamente documentata, almeno per quel che riguarda alcune generazioni passate, nel non aver saputo rispettare l’obiettività della scienza e diffondere in maniera più incisiva la mancanza di evidenze a sostegno delle differenze tra gli uomini. Probabilmente, la colpa, se di colpa possiamo parlare, potrebbe essere della nostra storia culturale ed evolutiva; apparentemente, un’eredità con radici troppo profonde per sradicarle con la sola forza della ragione.
Le razze, dunque, esistono davvero, ma solo nella nostra testa. Il fatto che si cerchino altri termini da sostituire a questo, però, non dà il vero senso dell’assurdità storica con cui abbiamo fatto un percorso fino a qui. Quella di distinguere e dividere è un’abitudine umana che risale, storicamente, quantomeno agli ateniesi del V secolo, che classificavano il mondo in “greci” e “barbari”. La visione bipolare del “noi e loro” è comune a tantissime culture, ed è una realtà psicologica che secondo alcuni ha radici profonde nella nostra storia evolutiva.
Secondo questa visione, l’idea di razza ha il suo embrione tra i cacciatori-raccoglitori: “Una società nella quale è fondamentale riuscire a classificare immediatamente qualcuno che non si conosce, come alleato o avversari”. Il che dimostra che, per quanto duro voglia farci credere di essere, chi è razzista lo è soprattutto per paura.
Quindi, secondo voi, culturalmente e biologicamente, che cosa caratterizzerà (e salverà) il nostro futuro?
Personalmente, sono d’accordo con Cavalli Sforza, quando dice che saranno il meticciato, l’incrocio tra le popolazioni, lo scambio di culture e di geni a salvare il nostro futuro. Tutto, nella vita, si fonda sul rapporto tra essere vivente e ambiente. Del resto evoluzione significa miglioramento della capacità di interazione con l’ambiente. In cultura e in natura, hanno più valore gli ibridi. Ma questa questione è qualcosa di cui si dovrà discutere e approfondire maggiormente, perché la maggior parte delle persone bi-razziali non è consapevole della forza della propria bi-culturalità.
Ci si sofferma sulla disconnessione bi-culturale e l’unica comunanza che si condivide è il sentirsi incompresi e obbligatoriamente costretti ad adattarci ovunque e da nessuna parte, allo stesso tempo; di essere. Oppure, ancora peggio, si condivide un senso di colpa e una confusione, associati all’ assenza di connessione emotiva con la propria cultura, perché vissuto come estranea, contribuendo ulteriormente alla cancellazione culturale e al rifiuto che le persone bi-razziali spesso affrontano. Senza contare, per coloro che sono visibilmente di diverse provenienze, il disagio chiamato discriminazione e razzismo. Sono invece dell’idea che sia ora di cambiare la narrazione e dare un apporto significativo all ’ingenuità (diciamo cattiveria?) e alla disinformazione di taluni. Senza esposizione c’è mancanza di conoscenza e comprensione. E anche se non è nostra responsabilità educare gli altri, a volte può essere utile condividere le nostre esperienze individuali nella speranza che le persone siano disposte a istruire anche loro stesse.
Essere bi-razziali e bi-culturali non è necessariamente la stessa cosa. E per chi ci vede dall’ esterno, sarebbe magnifico non cercare di anteporre l’uno (intendo bi-culturalità) perché ci appare meno offensivo dell’altro o perché non vogliamo usare la parola razza in nessuna delle sue declinazioni per mostrarci dannatamente politically correct. Se dobbiamo davvero dare un valore alla parola bi-culturale, lasciamola per le persone, bianche , nere, gialle, dello stesso ceppo etnico o meno… poco importa, che siano cresciute in due culture e non perché vorremmo riferirci alla razza di qualcuno senza volerlo far vedere. Quanto alla parole bi-razziale, lasciatela usare da chi si sente tale e a cui piace definirsi con questo termine.
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. Mi trovi anche sul Canale Telegram, e su ClubHouse come @wizzylu.