La società giapponese è riconosciuta come una delle società di contesto più elevato con oltre il 95% della razza giapponese nella popolazione. Multilingue, multiculturale e multirazziale sono gli argomenti su cui discutere, mentre la globalizzazione è l’obiettivo finale. In un paese omogeneo come il Giappone – un luogo in cui tutti sono inseriti nella categoria di “giapponesi” o “non giapponesi” – essere Hāfu è una cosa piuttosto unica tale da raccogliere la propria distinzione e la propria comunità.
Hāfu dall’inglese half, (“metà”) è un termine giapponese usato per riferirsi ai figli di unioni tra giapponesi e stranieri. Se ne sentì molto parlare negli anni ’70, divenendo il termine predominante per indicare i giapponesi di origine multietnica. Nonostante questi ultimi siano stati spesso oggetto di discriminazione, soprattutto nel periodo successivo la fine della seconda guerra mondiale, il termine in sé non possiede connotazioni negative. Gli hāfu, di solito, sono nati e cresciuti in Giappone, frequentando le scuole giapponesi e parlando la lingua giapponese come madrelingua. Il termine viene utilizzato soprattutto dai media.
Nel libro di Robert A. Fish, Mixed-blood Japanese A reconsideration of race and purity in Japan, viene fatta una panoramica sulla terminologia usata per classificare i Mixed Nipponici. Prima della diffusione del termine hāfu – scrive Fish – vi erano altre parole utilizzate per descrivere i figli nati da unioni miste, per esempio ainoko (figlio di un miscuglio), che divenne comune dopo la seconda guerra mondiale e che finì successivamente in disuso a causa delle sue connotazioni razziste.
La mediatizzazione degli hāfu, all’indomani della guerra, nascondeva una terribile realtà. In Giappone, nessuno voleva questi bambini, spesso non riconosciuti dal padre straniero, o frutto di matrimoni forzati o violenze sessuali, e finivano sovente negli orfanotrofi, o in situazioni anche peggiori… A Negishi, il cimitero degli stranieri di Yokohama, vi è un settore dove sono sepolti circa 800 bambini hāfu. Esiste anche un monumento, ma la spiegazione in giapponese e in inglese è stata cancellata …
Il termine era usato sia per le persone che per gli animali, ed era strettamente legato alle accezioni negative di povertà, illegittimità e impurità. Dopo la fine dell’Occupazione, venne sostituito dal più neutrale konketsuji (bambino di sangue misto), ma anche a questa parola venne attribuito una connotazione negativa, in quanto associata al militarismo statunitense. Oggi si usano termini come kokusaiji (bambino internazionale) e daburu (dall’inglese double, “doppio”). Quest’ultimo non ha ricevuto il totale consenso sul suo utilizzo, ed è, anzi, rifiutato da numerosi giapponesi di origine multietnica, poiché andrebbe a contraddire la peculiare modestia propria della lingua nipponica.
È difficile stabilire quante persone di origine multietnica risiedano in Giappone, poiché il governo non identifica gli abitanti in base all’etnia ma in base alla nazionalità. Una stima riferita al 2010, comunque, indicava che un bambino su trenta era nato in un famiglia nella quale almeno uno dei due genitori non era giapponese, mentre un’altra statistica rivelava che un matrimonio su diciotto era misto; uno su dieci nella sola.
La percezione nei confronti delle persone di origine multietnica da parte dei giapponesi ha subito dei cambiamenti nel corso della storia, che vide susseguirsi periodi di indifferenza ad altri caratterizzati da insofferenza e discriminazioni. Si è passato da un periodo in cui vigeva il preconcetto che prevedeva la suddivisione tra “noi giapponesi” e “tutti gli altri“, a differenza di quanto accadeva in altre culture, per esempio negli States, in cui le maggiori differenze sociali si riscontravano tra “bianchi” e “neri.
Sempre secondo il libro di Fish, dopo la seconda guerra mondiale, i casi di discriminazione nei confronti degli hāfu divennero piuttosto comuni. I motivi principali che spinsero la società giapponese a riconsiderare la posizione dei giapponesi di discendenza mista furono:
- la crescita esponenziale del numero di questi ultimi
- la percezione dell’opinione pubblica che questo numero fosse ancora più grande di quanto effettivamente fosse in realtà
- il fatto che molti di essi fossero figli di famiglie di ceto sociale basso.
Per la maggior parte si trattava di bambini nati dalle relazioni tra giapponesi e statunitensi, i quali erano arrivati in massa nel Paese nipponico durante il periodo occupazionista. In un primo momento tali relazioni erano scoraggiate dal governo statunitense, il quale raccomandava ai propri uomini di evitare qualsiasi assunzione di responsabilità nella crescita e nel mantenimento di eventuali figli nati da relazioni con le donne del luogo. Ciò comportò un massiccio aumento dei casi di abbandono almeno fino al 1952, anno in cui le restrizioni in tal senso vennero abolite. Ciò nonostante, la maggioranza dei nippo-statunitensi che risiedeva in Giappone nel periodo post-bellico consisteva proprio nei bambini abbandonati o rimasti orfani, i quali divennero bersaglio di pregiudizi e discriminazioni.
I casi più diffusi interessavano soprattutto coloro che possedevano come caratteristica distintiva un colore di pelle diverso da quello dei giapponesi comuni, per esempio pelle nera o bianca. L’accesso a servizi pubblici, in particolare le scuole, era fortemente limitato e, nel caso vi fosse la possibilità di accedervi, essi finivano per essere bersagli di violenza verbale, venendo apostrofati per esempio con termini dai connotati spregiativi quali gaijin (straniero), kuronbo (ne*ro) o hitokui jinshu (cannibale). Vi erano casi di disparità anche in ambito lavorativo, con gli hāfu spesso relegati a lavori umili e poco retribuiti. La situazione migliorò solo a partire dagli ’70, grazie soprattutto al cosiddetto konketsu būmu (boom della razza mista), un periodo durante il quale l’industria dell’intrattenimento giapponese scritturò numerosi artisti di origine mista.
Da quel momento musicisti, modelli, star dello sport e attori di origine mista divennero personalità sempre più richieste e presenti nel mondo dello spettacolo, contribuendo alla crescita della familiarità dei giapponesi verso gli hāfu senza tuttavia eliminare, ma addirittura accrescendo, i diversi stereotipi nei confronti degli stessi. Nel Giappone degli anni settanta i giapponesi di discendenza mista potevano trovare difficoltà in ambito sociale e sentimentale, e sovente erano vittime di stereotipi riguardanti la sfera sessuale, venendo additati come promiscui e molto più attivi rispetto alla media giapponese. Le donne hāfu, anche per questo motivo, trovavano facilmente lavoro come modelle, accompagnatrici e hostess nei night club o ragazze-copertina per riviste di moda o a carattere pornografico.
L’immagine erotica associata loro malgrado, inoltre, impediva agli hāfu di trovare marito o moglie: la maggior parte di essi, cresciuti come comuni giapponesi, avevano interesse nel trovare un partner che condividesse lo stesso background culturale, ma essendo dei giapponesi solo per metà, venivano spesso rifiutati. Molti di essi perciò erano costretti a limitare le proprie relazioni a quelle con altri hāfu. Tale problematica risulterebbe essere diffusa anche nel Giappone contemporaneo, dove i rapporti sociali degli hāfu con i giapponesi “puri” sembrerebbero essere più difficili da stabilire rispetto a quelli con altri hāfu.
All’inizio degli anni 2000, l’immagine degli hāfu era fortemente associata ai figli di famiglie di ceto sociale medio-alto, poiché essi venivano sovente iscritti a scuole private internazionali o scuole militari dove, oltre a limitare gli imprevisti legati alla discriminazione e al bullismo, avrebbero potuto ricevere un’educazione adatta sia alla cultura giapponese, sia alla cultura di Paesi differenti. Ciò nonostante, vi sono altresì numerosi hāfu appartenenti a un ceto sociale più basso, e soltanto alcuni di loro hanno la possibilità di accedere a tali scuole.
La questione va inquadrata nel contesto particolare della cultura giapponese, prendendo in considerazione la mentalità del popolo giapponese, noto per essere orgoglioso della propria omogeneità etnico-culturale e razziale. Benché il Giappone si auto-consideri una “società multinazionale” permane ancora il concetto di “nazione monoetnica”, esemplificato dal controverso discorso del 2005 dell’allora primo ministro Tarō Asō, il quale descrisse il Giappone come una nazione di “una razza, una civiltà, una lingua e una cultura“. A causa di ciò numerosi hāfu, benché siano nati e cresciuti in Giappone, siano madrelingua giapponesi o posseggano il passaporto giapponese, vengono trattati alla stregua di cittadini stranieri, o classificati come kokuseki fumei (letteralmente “di nazionalità sconosciuta”). Inoltre, in una società all’interno della quale essere “diversi” viene visto come un’anomalia o quantomeno un qualcosa da evitare, le appariscenti caratteristiche fisiche degli hāfu, in molti casi piuttosto differenti dai giapponesi comuni, possono portare a casi di bullismo o ostracismo.
Il “non sembrare un giapponese“, ma anche le difficoltà nel padroneggiare correttamente la lingua giapponese, sono tra le cause più comuni di esclusione sociale tra i bambini hāfu in Giappone. Gli hāfu, che sono fondamentalmente indistinguibili dai giapponesi comuni, sia fisicamente che nel comportamento, sono quindi esenti da questo tipo di trattamento. A questo proposito non sono rare le storie di bambini di discendenza mista che, per evitare di essere maltrattati a scuola, evitano di ostentare la propria conoscenza dell’inglese (o di qualsiasi altra lingua straniera); altri chiedono al genitore di madrelingua straniera di non farne uso in pubblico, evitando così potenziali situazioni spiacevoli. A questo proposito, il film documentario Hafu del 2013 racconta le esperienze di alcuni hāfu e le difficoltà che debbono affrontare vivendo in Giappone.
Devo dire che Wikipedia ha fatto talmente bene la sua esaustiva parte informativa su questo mondo, sconosciuto ai più, almeno da questa parte dell’Occidente, che ho lasciato quasi intatte tutte le informazioni più interessanti. Ieri, però, sera seguivo una Room Americana nel nuovo Social chiamato ClubHouse e l’argomento era proprio il mondo dei Mixed. Vi erano alcuni Mixed Giapponesi, specialmente blackanese (con mix di origini nere), che raccontavano una realtà che sì conoscevo, ma mai avevo indagato così a fondo.
Complessità Legale sulla Cittadinanza in Giappone.
In questa Room di ClubHouse, i moderatori spiegavano come una delle problematiche più difficili riguardasse la complessità legale di questo paese. Molti di loro vedevano un allentamento della politica di immigrazione come un potenziale rimedio al problema della natalità, ma il Giappone, che insieme alle Coree, è in cima alla lista in uno studio dell’Harvard Institute, sui paesi più razzialmente omogenei, è in gran parte riluttante ad accettare un afflusso di stranieri.
Per quegli stranieri che risiedono in Giappone, la legge riguardante i bambini birazziali è piuttosto complessa. Sebbene i bambini possano godere dei vantaggi della doppia cittadinanza, il governo non consente all’ hāfu di mantenere la doppia cittadinanza dopo i 22 anni. Secondo l’Ufficio per gli affari legali di Tokyo, questa decisione si basa sulle preoccupazioni su ciò che accadrebbe in caso di attrito internazionale o un’azione militare tra un altro paese con doppia cittadinanza e il Giappone.
Ci sono stati dibattiti sulla revisione per consentire la doppia cittadinanza, grazie ai vincitori del premio Nobel che si sono naturalizzati all’estero, ma hanno fallito perché, ancora una volta, le persone erano preoccupate per la capacità di lealtà dei Mixed, qualora dovessero scegliere una delle due cittadinanze. La negazione della doppia cittadinanza oltre i 22 anni è stata effettivamente introdotta abbastanza di recente, in un emendamento del 1984 alla legge sulla nazionalità giapponese. Il Giappone è un paese ius sanguinis, il che significa che la cittadinanza si basa sul sangue, non sul luogo di nascita. Con l’aumento del numero di coppie di razza mista che danno alla luce bambini con doppia cittadinanza, il governo ha deciso che erano necessarie restrizioni per preservare la sovranità nazionale.
Ai cittadini BI-Mixed viene chiesto di iniziare a pensare a quale nazionalità scegliere entro i 20 anni, poiché questa è l’età che il Giappone considera l’inizio dell’età adulta. A 20 anni, un cittadino con doppia cittadinanza è considerato abbastanza maturo da prendere una decisione informata su quale passaporto conservare. Il governo ha adottato misure per garantire che la regola sia compresa da hāfu , con manifesti di sensibilizzazione e volantini che spiegano la situazione. Se un cittadino con doppia cittadinanza non riesce a scegliere la propria cittadinanza prima della scadenza, il Ministero della Giustizia invierà un sollecito per dichiarare una sola nazionalità – dopo un periodo di grazia di un mese senza risposta, la loro nazionalità giapponese viene revocata. Non c’è penalità oltre alla perdita della cittadinanza.
Esperienze, in diretta, di vita hāfu
Qualcuno, nella Room, diceva che “mancano progressi quando si tratta di adattamento e flessibilità in tutti gli aspetti. aggiunge. “Molti paesi e regioni del mondo ammettono e rispettano la doppia cittadinanza, inclusi Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Canada e Australia. La maggior parte dei paesi non pensa che un cittadino perderà la nazionalità della propria patria anche se riuscirà a ottenere la nazionalità di un altro paese “.
Un altro aggiunge: “Come hāfu cresciuto in Giappone e avendo l’aspetto di uno straniero agli occhi di molte persone in Giappone, ho sperimentato in molte occasioni, “differenziazione”, ma non discriminazione. Essere sorpresi di poter parlare fluentemente giapponese non conta come discriminazione, non credo, anche se essere esposti a tale trattamento, una costante sottile differenziazione, su base giornaliera può davvero farti pensare. Penso che qualcuno l’abbia chiamata “fatica razziale”. ”
Discutono poi, sul fatto che gli hāfu dalla pelle nera sono certamente quelli che subiscono più vessazioni e umiliazioni. Un ragazzo racconta di come una sua amica venne ustionata da alcuni compagni di classe, perché volevano schiarire la sua pelle. Dovettero ricoverarla in ospedale.
Una giornalista sottolinea che, dopo aver condotto più di 60 interviste con soggetti hāfu, il numero di coloro che avevano subito discriminazioni razziali nel corso della loro vita era “vicino allo zero”.”Ho incontrato almeno cinque persone con casi di bullismo a scuola sulla base del fatto che erano ‘diverse'”, osserva. “Ciò costituisce una discriminazione razziale?”, chiede.
L’etnia del genitore non giapponese di un hāfu può avere un ruolo nel modo in cui vengono accolti dalla gente del posto in Giappone.
Interviene una Youtuber che pubblica video sia in giapponese che in inglese; ha un padre afroamericano e una madre giapponese. Essendo l’unica persona nero-giapponese nella sua scuola, il colore della sua pelle più scura, lo distingue immediatamente dai suoi compagni di classe giapponesi dalla pelle chiara.”Ricordo di essermi seduto in classe un giorno quando l’insegnante se ne andò per un breve momento, e questo ragazzo si alzò sulla sua sedia e disse in giapponese ‘Alza la mano se non sei giapponese!‘ . Tutti mi guardarono” – ricorda il ragazzo. “Non ho alzato la mano.”
Lo Youtuber ritiene che gli hāfu caucasici-giapponesi siano più ampiamente accettati dal popolo giapponese, sottolineando che possono mimetizzarsi meglio con la loro pelle più chiara. “A prima vista, penso che i nero-giapponesi siano visti solo come neri“, dice. Ha aggiunto che i giovani sono generalmente più aperti rispetto ai giapponesi di mezza età, un’affermazione che può suonare vera in molte parti del mondo.
Un’altra ospite ammette che la maggior parte delle persone non riesce a riconoscere il suo lato giapponese.
“Nella mia esperienza quotidiana in Giappone, al primo incontro, vengo spesso trattata come una straniera, non in grado di parlare giapponese e visitatrice in Giappone. Sono stata fermata dalla polizia per strada e mi hanno chiesto se sono giapponese o no. Di solito dico loro che sono hāfu e questo sembra porre fine alle loro domande. Ovviamente, però, mi stanno isolando dalla folla perché non sembro il giapponese medio. Quando qualcuno mi riconosce e chiede se sono hāfu, sono felice! Vede la parte di me che è giapponese!”
Non è chiaro se il governo giapponese riconoscerà mai gli hāfu come cittadini con doppia cittadinanza per tutta la vita, ma una cosa è certa: il Giappone e le persone che lo popolano stanno cambiando. Con un numero crescente di bambini di razza mista nati ogni anno, sempre più giapponesi comuni saranno esposti alla sottile diversificazione omogeneità della loro patria. Forse, semplicemente, diventare più visibili sarà il primo passo verso l’accettazione del giapponese birazziale. Alla fine, scegliere di abbracciare i propri cittadini birazziali – o di evitarli – sarà una decisione con profonde implicazioni per il futuro del Giappone.
Una beauty queen blackanese: una storia per tutte
Per molte giovani donne, essere incoronate “regine di bellezza” simboleggia la realizzazione di un sogno d’infanzia. Per Ariana Miyamoto, diventare Miss Giappone non era tanto il culmine di un sogno d’infanzia, ma la prova che, almeno per una notte, lei, una hāfu era considerata abbastanza giapponese da rappresentare il suo paese etnicamente omogeneo.
E’ nata in Giappone da madre giapponese e padre afroamericano, di stanza presso la base navale americana a Nagasaki. Ben presto si sposarono e la madre di Miyamoto seguì il suo nuovo marito negli Stati Uniti. Dopo essere rimasta incinta, sua madre è tornata in Giappone. I suoi genitori alla fine divorziarono. Gli anni dell’infanzia di Miyamoto in Giappone sono stati difficili, in particolare a scuola, dove i suoi compagni di classe si sono rifiutati di tenerla per mano, le hanno gettato la spazzatura e la hanno persino chiamata kuronbo (l’equivalente giapponese di ne*ro). A tredici anni, Miyamoto si ricongiunge con suo padre in America , dove completò gli studi di scuola superiore. Tornò poi a Nagasaki per lavorare, prima come barista e poi come modella. Quando uno dei suoi amici, un compagno hāfu, si suicidò pochi giorni dopo aver condiviso le loro lotte per essere di razza mista in Giappone, Miyamoto decise di partecipare al concorso di Miss Giappone. Voleva rappresentare ciò a cui si riferisce come il “nuovo volto del Giappone“. Anche se ha vinto, le reazioni dei giapponesi alla vittoria di Miyamoto non sono state del tutto accettate.
I commenti viaggiavano dal “Non è degna di rappresentare il Giappone” a “È molto bella, ma non ha la faccia per rappresentare il Giappone” a “Yamato Nade-shiko- l’ideale di donna giapponese è scomparsa“, e, ancora, “ci sono così tante belle donne giapponesi, perché un hāfu? “.
Forse è stata scelta una hāfu perché il Giappone, sebbene spesso rappresentato come una società etnicamente omogenea, in realtà non lo è. Ci sono molti gruppi minoritari in Giappone, come gli indigeni Ainu del nord del Giappone, che sono stati storicamente emarginati e soffrono ancora di disuguaglianze educative ed economiche. In effetti, gli Ainu furono riconosciuti solo formalmente dal governo giapponese come indigeni in Giappone nel 2008, e solo allora sotto la pressione delle Nazioni Unite.
Il popolo Buraku viene spesso definito “la razza invisibile del Giappone“, socialmente discriminati a causa delle loro occupazioni, considerate “impure” poiché si occupavano di sangue e morte come macellai e conciatori. Sebbene non differiscano nel loro aspetto dai giapponesi tradizionali, hanno sofferto e continuano a subire discriminazioni quando i loro antenati vengono a galla. Nei gruppi di discussione online, il personale delle risorse umane spesso ammette che i propri dipartimenti svolgono indagini di routine sulla potenziale “contaminazione” Buraku di un candidato. Le loro scoperte pesano molto nelle loro decisioni di assunzione.
Miyamoto, che ammette di inchinarsi anche quando parla al telefono, insiste sul fatto che essendo nata e cresciuta in Giappone e sentendosi più a suo agio a parlare giapponese, è “giapponese in tutto e per tutto al 100%.” Ma Miyamoto si rende anche conto che gli hāfu sono “altri” nella società. Di conseguenza, nella sua vita di tutti i giorni, lei sceglie consapevolmente di identificarsi come hāfu, perché è indispensabile e lo apprezza.
I bambini di Mixed, in Giappone, una volta erano considerati nient’altro che “problemi sociali”, evocando immagini di impurità e povertà, ma oggi sono visti come attraenti e cool, vengono imitati col trucco e le donne desiderano ardentemente di avere bambini hāfu.
In quanto donna Mixed, Miyamoto sfida le nozioni di bellezza in Giappone, una terra che storicamente ha idealizzato la pelle bianca e i bianchi, dimostrando che anche i blackanese possono essere belli. Mentre Ariana Miyamoto e altri hāfu, agli occhi dell’opinione pubblica, stanno iniziando a normalizzare l’identità hāfu in Giappone, rendendo tali individui meno “esotici” e più ordinari, media danno segni di abbracciare la varietà dell’era globale, ed anche alcune realtà commerciali come Isetan Mitsukoshi, una delle più grandi catene di grandi magazzini in Giappone, ha recentemente scelto due hāfu (la modella Saira Kunikida e l’allenatore di rugby e giocatore Eddie Jones) come volti della loro campagna “This is Japan“. Forse, come dice Miyamoto, il “nuovo volto del Giappone” sta davvero emergendo e lo stereotipo di un volto “giapponese” comincia ad essere messa in discussione.
Con l’aumento dei migranti stranieri e dei matrimoni internazionali, anche il Giappone sta diventando più visibilmente diversificato. Secondo il Ministero giapponese della salute, del lavoro e del welfare, nel 1965, in Giappone, un totale di 4.156 matrimoni erano tra giapponesi e non giapponesi. Nel 2013, questo numero è aumentato a 21.488. Oggi, ogni anno porta più di 20.000 hafus nel mondo, che rappresentano circa il 2% delle nascite totali del Giappone. Eppure i giapponesi continuano a sostenere che la loro è una nazione etnicamente omogenea. In un certo senso, è vero: nel 2013, la popolazione straniera del Giappone rappresentava meno dell’1%. Tuttavia, il censimento giapponese non prende in considerazione la razza o l’etnia. Di conseguenza, un cittadino naturalizzato o un hāfu verrebbe semplicemente considerato “giapponese”.
Il censimento non consente a nessun gruppo minoritario di identificarsi come qualcosa di più del giapponese, perpetuando così il mito dell’omogeneità etnica. In anni più recenti, il Giappone ha visto l’ascesa della “celebrità hāfu. Sebbene gli hāfu siano stati prominenti in Giappone dalla metà degli anni ’60, tendevano a de-enfatizzare il loro status di hāfu (in particolare dopo la seconda guerra mondiale) e le sue associazioni con l’essere di classe bassa e il prodotto di militari americani e ragazze panpan (prostitute). Ora, l’immagine dell’ hāfu è cambiata radicalmente e, specialmente quelli bianchi, sono associati all’essere attraenti e multilingue, che si presume provengano da famiglie cosmopolite e della classe medio-alta. Inoltre, le celebrità hāfu sono apprezzate dalla televisione giapponese perché servono come una sorta di ponte tra il mondo straniero e la società giapponese. Sembrano “stranieri” e sono conosciuti con i loro nomi, che sono quasi sempre in inglese (ad esempio, Becky, Shelly, Anthony, Joy), ma conoscono bene la lingua giapponese, i cibi, la tradizione e la cultura.
Imparando a conoscere gli hāfu nei media, i giapponesi possono sentirsi parte di una società tollerante e globalizzata senza dover affrontare differenze culturali, razziali / etniche o linguistiche. La diversità visibile e le celebrità non hanno cambiato il fatto che gli hāfu subiscono ancora discriminazioni nella loro vita quotidiana, dall’essere vittime di bullismo a scuola al non essere mai visti come qualcosa di più di uno straniero sul posto di lavoro.
E’ estremamente difficile, per un bambino hāfu adattarsi in una società in cui, ovunque vadano, si sentano apostrofare con un “sono così carini, voglio avere un bambino hafu! “, oppure essere oggetto di persone che li fotografano in continuazione come fossero dei fenomeni da baraccone.
Gli hāfu bianchi sono considerati “altri”, quelli dalla pelle più scura, troppo spesso, sono vittime di razzismo e stereotipi razzisti. Nello sport, il Giappone accoglie gli atleti blackanese, non perché sia aperto alla diversità, ma perché i blackanese sono visti come benedetti da un “fisico naturalmente atletico”, la quintessenza dei “super atleti“. Il velocista hāfu giapponese-ghanese , Abdul Hakim Sani Brown, per esempio, è uno dei tanti atleti hāfu emergenti (la maggior parte dei quali ha madri giapponesi e padri africani), che si allena per squadre nazionali giapponesi, pur essendo escluso dalla società giapponese.
La più famosa delle hāfu è la tennista Naomi Osaka, la numero uno della classifica mondiale femminile. Nata in Giappone da madre giapponese e padre haitiano, Osaka si è trasferita negli Stati Uniti all’età di tre anni con la sua famiglia. I media e il pubblico giapponese seguono le sue gare in tutto il mondo molto da vicino con trasmissioni in diretta e commenti entusiasti . Ma la copertura mediatica e le reazioni del pubblico hanno scoperto alcuni sopravvissuti al razzismo nella società giapponese, gente che ha sentimenti discriminatori. Questo non significa che la maggioranza della popolazione giapponese non ami Naomi Osaka e altre star dell’ hāfu nell’arena sportiva giapponese. Per molti giapponesi, il fatto che lei riesca a pronunciare a malapena una frase in un giapponese corretto è, infatti, diventato parte del suo innegabile fascino.
Ma rende molto più difficile per molti appassionati di sport giapponesi e altri atleti relazionarsi con lei che con atleti giapponesi purosangue. Il giocatore di basket hāfu giapponese-beninese Rui Hachimura, cresciuto in Giappone, ha frequentato scuole giapponesi , parla fluentemente il giapponese, e si comporta in modo umile e rispettoso sugli schermi televisivi come dovrebbero fare le star dello sport giapponesi.
“Ad essere onesto, mi sento un po ‘distante da lei (Osaka, ndr), perché è così diversa. È cresciuta in un posto diverso e non parla molto bene il giapponese “, ha detto al New York Times Magazine un altro dei tennisti professionisti giapponesi, Nao Hibino. “Non è come Kei (Nishikori, ndr), che è un giocatore giapponese puro“.
Penso che alla fine, letteralmente, anche il popolo Giappone saprà cogliere il senso dell’essere Mixed e la ricchezza che questo porta in sé. Non dimentichiamo che il concetto di wa potrebbe essere considerato l’essenza stessa del carattere giapponese e denota la sensazione che i valori di gruppo siano più importanti per l’individuo e quindi è necessaria la conformità alle norme sociali per raggiungere questo stato.
Lo spirito giapponese di wa è una cosa davvero meravigliosa. Significa armonia, ma come tutte le parole giapponesi evoca molto di più. Wa è, infatti, tutto ciò che è mite, sereno e moderato, ma è anche tutto ciò che è tipicamente giapponese. E’ un prefisso, che come un sigillo si applica sulle cose e sui concetti e si può imparare, attraverso di esso, che la bellezza, la gioia e il senso civile si costruiscono con grande impegno, attraverso un lavoro continuo su se stessi, imparando la pazienza, facendo le cose con cura e mai a discapito degli altri, perché una felicità davvero sostenibile è un progetto di tutti e mai di uno soltanto.
Non è necessario credere a un’unica verità; ogni cosa va armonizzata (e quindi nessuna cosa deve spiccare in maniera clamorosa). Bisogna imparare a conciliare l’apparentemente inconciliabile. Evitare incondizionatamente lo scontro, il che implica atteggiamenti come la pazienza (nintai), un preventivo domandare scusa anche quando si sa di non avere colpa, ignorare il negativo (mushi suru), considerare costantemente l’emozione altrui (omoiyari), e essere pronti a sacrificarsi (gaman).
Quindi immaginatevi che gran bel lavoro ci aspetta. Almeno a coloro che desiderano vivere nel nome dell’armonia con la A maiuscola.
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. Mi trovi anche sul Canale Telegram, e su ClubHouse come @wizzylu.