Oggi, la nostra Métissage Clubber, Simona Trio, ci porterà nel mondo di Emma Dabiri, che con il suo libro “Don’t touch my hair”, in cui esplora i modi in cui i capelli afro sono stati culturalmente appropriati e stigmatizzati nel corso della storia, con riflessioni sulla politica del corpo, la razza, la cultura dei neri.
Emma Dabiri è un’autrice, speaker ed accademica Mixed Irlandese (madre) – Nigeriana (padre). Questo è il suo libro di debutto, ed è stato pubblicato per la prima volta nel 2019. Contribuisce spesso con articoli sulla stampa e sui media online, tra cui The Guardian, Irish Times, Dublin Inquirer, Vice e in riviste accademiche. È nota per la sua schiettezza sulle questioni di razza e razzismo.
Ora vive a Londra, dove sta completando il suo dottorato di ricerca mentre insegna e continua il suo lavoro di speaker radiofonica.
Eccovi qui la riflessione di Simona, dopo aver letto il libro di Emma Dabiri:
Il razzismo assume molte forme, le forme più sottili vengono chiamate “microaggressioni”. Uno dei valori femministi fondamentali e’ il consenso, il rispetto dell’autonomia di ognuno sul proprio corpo, compresi i capelli. Nessuno dice che non si possano apprezzare i capelli delle donne nere e nemmeno ammirarli, ma l’atto di toccare liberamente i loro capelli e’ un comportamento invasivo ed inappropriato, ed e’ ancora più offensivo toccarli senza chiedere il permesso. Come vi sentireste se uno sconosciuto vi chiedesse ti toccare i vostri capelli?
Mi sono imbattuta per caso nel libro “Dont’t touch my hair” di Emma Dabiri. Lei sostiene che nella società nera, i capelli non hanno semplicemente un valore estetico ma hanno un significato ben più sottile, legato ad un passato di sofferenza e discriminazione. Dabiri afferma che i capelli occupano una posizione di maggiore importanza nelle culture africane e della diaspora africana, più che nella maggior parte delle altre culture.
Partendo da una ricostruzione storica, dall’evoluzione dei capelli nella società nera, da quanto il Natural Hair Movement stia incoraggiando le donne nere ad apprezzare e celebrare le caratteristiche naturali dei loro capelli e a riscoprire le proprie radici storiche, le donne, attraverso questo movimento, hanno creato degli spazi per (ri)plasmare la bellezza femminile nera, influenzata per troppi secoli da standard di bellezza eurocentrici. La parola “natural” e’ stata introdotta per fermare, finalmente, il ciclo di manipolazione dei capelli afro, come le sostanze chimiche e le diverse acconciature, per conformarsi agli standard di bellezza europei.
Pensiamo al valore simbolico che e’ stato attribuito ai capelli negli secoli scorsi. I capelli esprimono in sostanza, la percezione di noi stessi in un dato momento della vita e l’immagine che decidiamo di mostrare agli altri. La comunità nera di tutto il mondo e’ stata per anni discriminata per i propri capelli; lo standard di bellezza eurocentrico, per cui i capelli lisci erano sinonimo di bellezza risale ai tempi della schiavitù’, quando gli europei denigravano le persone afro – discendenti per le loro caratteristiche fisiche, come la pelle, il naso ed i capelli. Il colore della pelle, la struttura dei capelli e le caratteristiche fisiche dei neri sono stati, per secoli, associate ad inferiorità e bruttezza, spesso usate anche per giudicare le capacità intellettuali e professionali. Tutto ciò ha spinto, sopratutto le donne, a modificare il proprio aspetto ed a avvicinarsi agli ideali di bellezza dominanti. Questi cambiamenti influiscono sulla formazione dell’identità’ e della personalità e di conseguenza sull’autostima. Ed e’ per questo che molte generazioni sono cresciute pensando di doversi conformare allo standard di bellezza eurocentrico, come la stiratura dei capelli, per essere accettati.
I capelli africani non sono solo una rappresentazione estetica di se stessi, ma contengono una traccia storica del passato delle persone nere che continua a influenzare, e, spesso, condiziona la cultura delle donne nere. I capelli africani hanno una connotazione simbolica e sociale che noi, come società occidentale, ignoriamo. I capelli hanno sempre avuto un ruolo importante nella definizione dell’identità nera, in particolare tra le comunità diasporiche, tra le culture afroamericane e afro – caraibiche. Per molti anni la comunità nera, in particolare la donna nera, ha sentito il bisogno di portare una certa acconciatura per conformarsi agli standard di bellezza dettati della società bianca. La letteratura non può essere separata dal contesto storico; per questo è importante ricordare alcuni eventi storici del passato per poter meglio comprendere il significativo ruolo dei capelli nella società tradizionale africana. I capelli neri sono legati a questioni storiche, razziali di genere e culturali. Nelle antiche civiltà africane i capelli avevano un ruolo significativo, una determinata pettinatura poteva indicare l’età’, lo stato sociale, la famiglia di appartenenza o la religione.
Gli africani portavano le trecce nella vita di tutti i giorni; si preferivano stili più elaborati per le occasioni speciali, conchiglie, fiori e perline erano usate come ornamenti, la quantità e la varietà di queste pettinature era straordinaria. Le donne africane usavano i capelli per esprimere la loro creatività, la loro personalità e il loro stato sociale. Intrecciare i capelli era una tradizione che si tramandava da generazioni in generazioni. Il parrucchiere era spesso considerato una persona degna di fiducia e aveva un posto speciale nella vita della comunità. Il tempo che si impiegava per intrecciare era considerato un momento per socializzare, un momento in cui le donne condividevano confidenze e risate.
Durante il periodo coloniale, le donne di origine africana deportate in Europa o nelle Americhe, non solo dovevano affrontare un mondo ostile che le vedeva come essere inferiori, schiave ed oggetti sessuali, ma anche una vera repressione dei loro capelli. I colonizzatori rasavano i capelli degli schiavi e questo era un vero atto di disumanizzazione che rappresentava, seppure simbolicamente, una rimozione delle cultura d’origine. La rasatura aveva probabilmente uno scopo igienico, ma tagliava il legame di connessione con la spiritualità’ che i capelli rappresentavano. Senza i capelli che li distinguevano, Ashanti, Igbo, Fulani e Wolof non erano altro che anonimi africani.
A causa delle condizioni malsane e disumane in cui vivevano, gli schiavi erano costretti a non avere ne’ il tempo ne’ la motivazione per potersi prendersi cura dei loro capelli. Tra le altre cose, i pettini, gli unguenti alle erbe e l’olio di palma usati in Africa per pettinarsi non erano disponibili nelle Americhe. Nonostante gli immensi problemi affrontati durante la schiavitù’ le donne nere fecero del loro meglio per mantenere le tradizioni ancestrali e indossare meticolose pettinature. I capelli avevano un ruolo, anche rispetto al trattamento degli schiavi. Se il capello era più morbido e si avvicinava a quello europeo, lo schiavo riceveva un trattamento migliore. Secoli di schiavitù e oppressione hanno avuto un impatto sui capelli neri, e quando la schiavitù fu abolita negli Stati Uniti nel 1865, molti neri sentirono il bisogno di adattarsi agli standard di bellezza Eurocentrici e cominciarono a stirare i loro capelli. Rispetto ai lunghi capelli morbidi e lisci degli europei, i capelli delle persone nere erano considerati poco attraenti.
Con l’abolizione della schiavitù gli afro-americani tentano in ogni modo di inserirsi nella società che fino a poco prima li aveva privati di ogni diritto. I capelli diventano quindi un modo per potersi integrare e per ottenere maggiori opportunità economiche e vantaggi sociali. Per accedere a questi privilegi molti afroamericani cedettero all’idea di stirarsi i capelli e sbiancarsi la pelle. Ed e’ in questo periodo che si diffonde l’idea che esistano “Good hair”, associando questo termine ad un tipo di capello liscio non troppo riccio che si avvicina a quello europeo.
Mentre “Bad hair” veniva utilizzato per descrivere un tipo di capello riccio, corto, non conforme agli standard di bellezza europei e per questo considerato simbolo di inferiorità.
I prodotti per la cura e l’igiene dei capelli disponibili all’inizio del 1900 danneggiavano i capelli degli afroamericani e prodotti alternativi non erano facili da trovare. Annie Turno Malone e Madam C.J Walker saranno ricordate per essere le pioniere della produzione di prodotti di bellezza e trattamento dei capelli rivolte alle donne nere. Contrariamente alla leggenda, Madam Walker non invento “the hot comb” (un metallo usato per lisciare i capelli). Fu inventato, invece, dai francesi, e resta la tecnica di stiratura più comune nelle famiglie afroamericane fino agli anni ’80. Queste pratiche oltre ad essere estremamente dannose esponevano soprattutto le donne a frequenti bruciature.
Negli anni ’60 la situazione inizia a cambiare, i capelli diventano una forma di dichiarazione di protesta politica e culturale. L’ Afro diventa un simbolo di ribellione, orgoglio ed emancipazione. Questo nuovo stile rifiutava lo standard eurocentrico di bellezza e divenne popolare tra i neri. Co esso si promuove l’idea che i capelli neri naturali sono belli ed un modo attraverso il quale si può affermare la propria identità. L’afro, principalmente associato all’attivista Angela Davis, era considerato un potente rifiuto degli ideali razzisti di bellezza e una forma di amor proprio.
Non solo i capelli sono strettamente legati a degli ideali di bellezza e alla razza, ma sono anche una questione importante per le donne nere, sia per quello che simboleggiano, sia per i trattamenti necessari per gestirli. Le donne nere sono state costrette per anni a cambiare pettinatura cercando di adattarsi agli standard di bellezza bianca che considerano i capelli neri “non professionali” e meno attraenti.
I capelli sono un fattore particolarmente importante quando si tratta di costruire la propria identità. Ogni donna nera ha la sua storia, il suo “hair journey” .
- – Simona Trio –
Desidero aggiungere una piccola nota finale a questo interessante excursus fatto da Simona.
Emma Dabiri, nata da madre bianca irlandese e da padre nigeriano di etnia Yoruba, è cresciuta principalmente in Irlanda, e in questo libro si confronta con entrambe le parti della sua eredità, dimostrando la straordinaria complessità frattale delle acconciature Yoruba indigene, conosciute come irun didi e irun kiko e, casualmente, il brutale razzismo subito durante la sua istruzione nella Dublino degli anni ’90. C’è più che sufficiente materiale, in entrambi gli argomenti, per riempire un libro, ma Dabiri affronta anche questioni di appropriazione culturale, colonialismo, standard di bellezza euro-centrici, tradizioni matematiche indigene africane e analisi del potere culturale. E’ un libro ben scritto, ben studiato, a tratti dai contorni accademici, ma non ha certamente perso l’umorismo o la personalità.