Conobbi Jeremy tanto tempo fa, ai tempi delle superiori (se la memoria non mi sta ingannando). Erano tempi in cui la pallacanestro occupava ogni meandro della mia mente. Tutto il mio immaginario e la mia dedicazione ruotavano attorno a questa disciplina, che non si presentava a me soltanto come un’occasione per sfogarsi, ma diventava una autentica e disperata via di fuga. Un pallone arancione ed un canestro che delineavano il tunnel che mi avrebbe permesso di fuggire da una realtà che non mi comprendeva e che trovavo opprimente, un tunnel il quale termine sarebbe stato il raggiungimento di un sogno e di una realtà adatta, “su misura”, alla mia persona.
Ci incontrammo, appunto, per la prima volta, ad una partita di basket.
Per quanto ignaro di ciò che mi avrebbe serbato il futuro con la sua evoluzione, io già in quel momento rimasi colpito dalla sua presenza, che nelle estreme apparenze ritenevo molto simile alla mia. Questo era più che sufficiente perché io percepissi l’impulso di dover creare un legame. Una somiglianza equivaleva ad un punto illuminato, dunque un indizio che mi poteva indicare la strada per un’altra via di fuga, che più che di fuga sarebbe diventata poi di realizzazione.
Ci incontravamo inizialmente per “barattare” vestiti, ciò che piaceva a me per ciò che piaceva a lui, magari una t-shirt per un paio di cappellini, o due paia di t-shirt per un paio di baggy jeans. Più gli incontri divennero frequenti e più si venne a costruire un legame di amicizia, che poi si estese ben al di là da quegli incontri arrangiati, consolidandosi in una vera e propria fratellanza.
Questa, forse, non è l’occasione migliore per fare celebrazioni, e sarebbe riduttivo cercare di catturare e descrivere con qualche parola tutto ciò che può irradiare un legame d’amicizia, il suo trascorso, le scoperte, le condivisioni, le divisioni, gli alti e i bassi, i guadagni e le perdite, questi e tutti gli altri termini che vengono trascesi da questa ricchezza esistenziale.
Mi limiterò a condividere solo un aspetto tra i tanti, un aspetto che mi è molto caro; in Jeremy trovai un vero compagno di esperienze. Mi ritrovavo in tante delle sue circostanze e sapevo che anche lui poteva ritrovarsi in tante delle mie. Avevo trovato una persona che poteva capirmi con estrema esattezza, non grazie allo sforzo dell’immedesimazione, ma per concomitanza. Anche lui aveva fatto e faceva esperienza di ciò che fino ad allora, per un lungo periodo, pensavo di aver dovuto affrontare in esclusiva e solitudine.
L’itinere dell’esperienza bi-razziale è simile per molti, ma lascia delle impronte diverse per ciascuno dei suoi “adepti”. C’è un’estrazione comune, ma poi ognuno cresce e matura secondo le sue influenze e la sua natura. Le esperienze marchiano nel bene e nel male, i corpi e le menti ne assorbono i nutrienti, ma anche le tossine. Questo non deve essere visto come una cosa né positiva e nemmeno negativa: se si tralasciano i pregiudizi e i giudizi, ciò che ne rimane da ricavare è un insegnamento, o una ricchezza.
La testimonianza di ciascuno serve a questo, per chi è capace a “contemplare”.
Se le note musicali fossero tutte uguali, la musica non potrebbe esistere, ma è proprio la differenza di suono nelle note a dare vita ad un fenomeno tanto prezioso ed apprezzato come la musica.
Le note sono l’esperienza di ciascuno di noi, e chi sa contemplare, sa anche godere della musica.
Per questo motivo mi sento super entusiasta di poter condurre questa intervista con Jeremy, una personalità che sicuramente non può essere contenuta in qualche risposta a delle domande scritte. Se ne può forse avere un assaggio, e conoscendolo, spero vivamente che la condivisione di una parte del suo mondo possa avvenire anche per altre vie, oltre questa via introduttiva. Oltre che ad essere un ragazzo bi-razziale, Jeremy è intraprendenza, determinazione, passione, assistenza, ma soprattutto … divertimento.
Non vorrei aggiungere altro, ma devo per un paio di ulteriori aspetti interessanti.
Ho trovato molto curioso il fatto che il fratello di Jeremy, Joshua Kwaku Asiedu, , creatore del progetto eco-sostenibile, in Ghana, Live to Learn – Learn to live fosse già stato intervistato per Metissage Sangue Misto , in tempi ben anteriori, forse prima ancora che il sottoscritto (scrivente) iniziasse ad interagire con il blog. Il mondo è veramente più piccolo di quello che immaginiamo, e per chi fosse interessato, potrebbe andare e leggersi l’intervista sulla “eco-vita” di Joshua tramite questo link.
Inoltre, non potrei concludere questa introduzione senza segnalare @themixedracediary, una pagina Instagram creata, appunto, da Jeremy, nella quale vengono postate didascalie che raccolgono i fatti, i pensieri, i sentimenti e le esperienze riguardanti la sfera del meticciato, attraverso il filtro della sua rielaborazione e della sua creatività.
Consiglio vivamente di darci un occhio. Io, personalmente, rimasi colpito la prima volta che lessi alcuni post in questa pagina: le parole non erano mie, ma sembrava che stessi leggendo me stesso.
Detto tutto ciò, iniziamo!
Chi sei?
Sono Jeremy. Sono nato e cresciuto in Italia da mamma italiana e papà ghanese.
In quale ambiente hai vissuto?
Sono cresciuto prevalentemente in un ambiente bianco nella provincia di Milano, composto maggiormente da membri di classe media. Ai 16 anni c’è stato un cambiamento drastico perché mi sono trasferito in Australia a vivere con i miei parenti ghanesi per quasi 3 anni. Sono stato immerso in una cultura di cui sapevo poco e il contesto è diventato da prevalentemente bianco a prevalentemente nero.
Che tipo di istruzione e educazione hai ricevuto?
Ho fatto le scuole fino alla seconda superiore in Italia, per poi ottenere il diploma superiore in Australia, e alla fine mi sono laureato in Scienze politiche in Svezia.
Qual è il tuo rapporto con la religione?
Sono cresciuto in una famiglia cristiana evangelica. Mia mamma segue ancora queste ideologie mentre mio padre si è allontanato ormai da anni. Io e miei fratelli ci siamo allontanati tutti dalla chiesa e abbiamo sviluppato un modo un po’ individuale di vedere le cose a livello spirituale (ognuno ha la sua idea).
Qual è (e quando) stato il tuo ricordo consapevole sulla razza? Quando sei stato consapevole di essere bi-razziale?
Penso che la mia consapevolezza della razza sia iniziata prestissimo, all’asilo:quando i bambini (che erano tutti bianchi) continuavano a sottolineare il fatto che io fossi marrone, e non lo dicevano in modo carino.
Poi, ricordo anche che alle elementari ero l’unico bambino di origini africane in tutta la scuola e la mia diversità veniva costantemente messa in evidenza.
Seleziona la casella: quale di queste categorie usi per definirti? E con chi ti identifichi? Perché? ° Africano ° Africano-Italiano ° Africano-Europeo ° Italiano_ ghanese ° Afro-latino ° Bianco ° Nero ° Birazziale ° Misto ° Multirazziale ° Altro (cosa?)
Non do troppa importanza al termine con cui mi identifico. Maggior parte delle volte dico di essere italo-ghanese e tante volte dico semplicemente di essere mixed.
Sei pienamente accettato nei gruppi che sono compresi nel termine di italo-ghanese?
L’accettazione dei gruppi varia molto dal contesto in cui ci si trova. Se parliamo della comunità ghanese al di fuori del Ghana, mi sento accettato. Se invece parliamo dei ghanesi in Ghana, sono semplicemente un bianco ai loro occhi. Mentre invece per quanto riguarda gli italiani, non mi sono mai sentito accettato. Eccezione fatta per alcuni eventi dai napoletani all’estero che mi hanno accolto a braccia aperte quando hanno scoperto che avevo una mamma napoletana. Del resto, ho sempre avuto molti contrasti con la mia parte italiana.
Ci sono circostanze nelle quali cambi il modo in cui ti identifichi razzialmente?
No, la maggior parte delle volte il cambiamento di identità razziale non avviene da me, ma dall’ambiente che mi circonda.
Quali erano gli atteggiamenti dei tuoi genitori nei confronti della “razza” durante la tua crescita?
Il topic della “razza” non è mai stato affrontato dai miei genitori. Però sono cresciuto vedendo mio padre reagire tante volte a scene di discriminazione nei suoi confronti. Detto ciò, un aneddoto: una volta eravamo in un negozio di vestiti e questo tizio disse a mio padre: “Wow! Ma come parli bene l’italiano!” E finimmo per stare nel negozio per un’altra ora… Mio padre cercava di fargli capire che il colore della pelle di una persona non determina la sua nazionalità e noi figli, che eravamo con lui in quel momento, ne eravamo la prova.
Un altro aneddoto che tengo a condividere è quando in un negozio fu chiesto il permesso di soggiorno a mio fratello per una pratica. Mio padre sentì questa folle richiesta della signora e le disse: “Ma guardi che mio figlio è italiano e quindi perché gli chiede il permesso di soggiorno?”
Sempre parlando di permessi, una volta il mio professore di educazione fisica mi chiese in modo scherzoso (tipico dark humor italiano) se mio padre, ormai in Italia da più di 30 anni, avesse il permesso di soggiorno. Inutile dirti che quando io lo dissi a mio padre, il giorno dopo lui era già alla mia scuola.
Penso che mio padre non abbia affrontato il tema della razza in casa perché non voleva crearci dei complessi a noi come figli, e voleva che noi ci sentissimo integrati al massimo. Vedendo questo, ho imparato a non tollerare nessun tipo di discriminazione.
Questa risposta mi fa sorridere, anche perché so quante storie potresti raccontare …
Lascia stare! Se ci dovessimo soffermare su tutti gli episodi di razzismo che abbiamo subito potrebbe uscire fuori un film di Spike Lee.
Racconto un ultimo aneddoto: quando ero in prima elementare, la scuola fece parte di un programma di italiano per stranieri e il mio nome fu incluso nella lista degli alunni che dovevano partecipare al corso. Appena dissi questa cosa a mio padre, il giorno dopo lui era già a parlare con la preside.
Il ragionamento intellettuale e progressivo fatto dalle maestre e dagli organizzatori è stato: bambino scuro = straniero.
Non importa dove sei cresciuto, il tuo colore della pelle indica se sei parte di loro o meno. Se un bambino era bianco con origini italiane e si chiamava Mario Rossi, anche se non parlava italiano perché cresciuto altrove, lui in quella lista non sarebbe stato inserito.
Quando non sei accettato, che tipo di emozioni provi? Accettazione? Rabbia? Rifiuto? Confusione? … Che cosa?
Fino a poco fa questa “non accettazione” causava in me tantissima rabbia. Ero pronto a sprecare il mio tempo a cercare di far capire a chiunque il perché certe cose vanno dette e altre no. Penso che questo rifiuto dalla parte bianca è ciò che mi ha catapultato ad essere super fiero di essere “nero”, sin da piccolo. Non potevo permettere che loro potessero avere la meglio su di me, e quindi mi son sentito di dover scegliere un’identità fin da subito per avere un senso di appartenenza.
Dopo aver vissuto un anno in Ghana però, questo senso di fierezza è venuto un po’a calare a causa delle discriminazioni (che non potranno MAI essere paragonate a quelle subite in Europa) che ho subito durante l’esperienza. Ciò mi ha veramente fatto realizzare di essere mixed, e che è difficile scegliere solo un’identità se ne rappresenti più di una.
Penso che sia molto interessante il fatto che tu abbia vissuto (anche se non per lo stesso tempo) in entrambe le terre dei tuoi genitori. A parte questo aspetto discriminatorio che tratteremo a breve, ti ha lasciato qualcosa il Ghana? Ti ha arricchito?
Il Ghana mi ha fatto capire com’è vivere in una società non occidentale, dove certi schemi non vengono più seguiti, dove domina la spontaneità senza programmi rigidi. La spontaneità nella società occidentale è una cosa che ormai sta scomparendo.
Inoltre, mi ha fatto molto effetto vedere tante persone non avere opportunità e comunque riuscire a creare qualcosa dal nulla, anche se quel qualcosa potrebbe essere visto come poco o modesto dalla prospettiva occidentale.
Ma soprattutto, il Ghana mi ha aiutato a capire meglio la realtà da cui viene mio padre.
Ad ogni modo, facendo un passo indietro, concordo sul fatto che risulta difficile scegliere un’identità se ne si rappresenta più di una, ma pensi che nella crescita personale sia giusto o necessario farlo?
Secondo me è necessario sceglierne una, perché se no non ti senti saldo in una posizione ed è come se il vento potesse trascinarti qua e là.
Per farmi capire meglio: Il mio essere fiero delle mie radici africane, mi ha aiutato a non far condizionare la mia identità dai pregiudizi.
Il fatto di essere fiero del mio essere africano mi ha permesso di sopravvivere in un ambiente bianco e razzista. Perché se non avessi preso una posizione salda, a fronte del primo pregiudizio sarei andato in una crisi esistenziale.
Wow … Questo pensiero mi fa riflettere. Sto cercando di raccogliere delle riflessioni per scrivere un pezzo sull’importanza del processo d’identificazione e credo che la tua risposta centri il bersaglio perché descrive un passo cruciale (se non il più cruciale) nella costruzione o determinazione della propria identità. Ritengo che molto spesso non si è consapevoli di fare questa scelta o non ci si accorge, perché forse è istintiva. Appunto come dici tu, permette di sopravvivere in un determinato ambiente.
Sembra però che tu ne fossi già consapevole.
Nell’introduzione di questa intervista ho accennato a quanto lo sport (nel nostro caso il basket) fosse stato importante per me. E’ stato lo stesso anche per te?
Si.
Il basket è molto importante per me. Potrei definirlo come il mio primo amore. Sono molto devoto alla pallacanestro perché mi ha permesso non solo di sognare e vedere il mondo al di fuori dalla scatola in cui vivevo, ma anche di sentirmi molto rappresentato. Guardavo l’NBA e maggior parte dei giocatori (più dell’80% afroamericani) ci assomigliavano e questa rappresentanza ha permesso a noi di sentirci importanti in un posto che cercava di farci sentire al contrario. Ovviamente la mentalità razzista italiana ha sporcato molto il mio rapporto con la pallacanestro, aldilà dei compagni razzisti, ho avuto anche allenatori molto ignoranti che sparavano commenti come “voi negri sapete solo saltare” (per citare uno dei tantissimi commenti fatti da questi presunti educatori). Commenti fatti indossando scarpe di Kobe o di Jordan… non aggiungo altro.
Nonostante ciò, il basket mi ha anche permesso di conoscere tantissime persone in giro per il mondo e tutt’oggi lo reputo la mia forma di meditazione: mi piace andare al campetto, spesso da solo, e fare 2 tiri a canestro; mi libera molto dai pensieri ed è ciò che ha sempre fatto quando ero adolescente;mi sentivo incastrato in questa bolla e pensavo che lo sport fosse l’unica cosa che potesse farmi uscire.
Aggiungo anche che, dove sono cresciuto io, non c’era molto da fare e tanti ragazzi, includendo i miei amici del tempo, già provavano droghe che andavano aldilà della semplice erba.. fortunatamente la mia dedizione per lo sport mi ha sempre tenuto lontano da queste cose e penso fortemente che se non fosse stato per questa disciplina, mi sarei potuto incastrare in un certo stile di vita che non mi avrebbe portato ad una bella fine. Per questo insisto sempre che i ragazzi facciano sport, personalmente è come se mi avesse salvato la vita.
Ti capita mai che le persone sbaglino a classificare la tua provenienza/”razza”? Se è così, come ti classificano di solito?
Le persone non indovinano MAI da dove vengo …
Per la maggior parte vengo scambiato per: brasiliano, dominicano, cubano, afro-americano o nord-africano. Mi capita spesso di camminare ed essere salutato con un “Salam Aylaikum” da nord-africani, oppure essere approcciato in spagnolo da latini.
Aggiungo anche (e potrò non essere creduto), che una signora in Ghana mi ha chiesto se fossi cinese e un’altra, in un’altra occasione, se fossi filippino. Anni fa mi avrebbe dato fastidio questa cosa, ma ora ci rido sopra e penso che sia bellissimo il fatto che la mia identità possa fluttuare così velocemente in base a chi ho a che fare.
Nonostante la gente non indovini mai le mie origini, non mi sono mai e ripeto mai spacciato di essere di una nazionalità che non ero.
Perché sottolinei questo aspetto? Pensi che ci siano tanti POCs (people of color) che si spacciano di essere di una nazionalità che non sono?
Si, tantissimi. Penso che sia dato dal fatto che l’Africa viene sempre dipinta negativamente dai media occidentali. Di conseguenza, essere americani o latini sembrerebbe più figo che essere africani. Quindi penso che tante persone di origini africane scappano dalle loro radici nel tentativo di essere accettati da chi vede l’Africa negativamente.
Ti senti parte di una minoranza etnica?
Si. Secondo me il mondo è dominato dalla cultura occidentale/bianca, quindi qualsiasi cosa che sia diversa da essa, è percepita come minoranza. Però sono consapevole che i BiPOCs/POCs (people of colour) sono molto più numerosi degli occidentali.
Hai lottato / lottato per capire a quale “razza” appartieni? Puoi spiegare perché?
No. Perché avevo già preso una scelta definitiva fin da piccolo.
Quindi, per precisare, quale sarebbe questa scelta?
Per spiegarmi meglio, vorrei raccontare uno dei tanti episodi di razzismo che ho subito:
Mi è capitato di sentirmi dire da un mio compagno di squadra di basket che io sarei la feccia della società “perché non solo sono negro ma anche terrone”. Il mio sistema di autodifesa è stata la dissociazione da queste persone. Ho sempre visto nei bianchi la potenzialità di potermi ferire con questo genere di frasi, anche dai familiari (ma non voglio entrare in merito).
Quindi, ho scelto di associarmi con la mia identità africana.
Queste tipo di aggressioni non succedevano una volta ogni tanto, ma erano proprio all’ordine del giorno. Tanto che, tutt’oggi, io non mi sento italiano perché mi sono distaccato da una comunità che non mi ha mai visto come tale.
In Italia, purtroppo, c’è questa cultura di fare “dark humor” e generalmente, questi “aspiranti comici”, tendono ad essere razzisti, alcuni senza neanche accorgersene perché guidati dalla loro ignoranza e tanti altri, invece, sanno benissimo cosa stanno dicendo, ma sanno che non ci saranno ripercussioni.
In Italia ci sono tanti neri ma è come se la loro presenza non si facesse sentire. Quindi, grazie anche alla mancanza d’integrazione, questa cosa permette a tanti italiani di dire e fare quello che vogliono e quando vogliono. Un bianco a Londra o a Parigi starebbe più attento a come parla.
Per concludere, io mi sento più africano perché la mia esperienza è molto più simile a quella degli africani in Italia. Questa similarità dà a me un senso di appartenenza alla comunità africana. La stessa similarità però non è presente nella parte italiana e questo mi crea delle complicazioni nel potermi connettere con essa.
Date le tue esperienze in parti distanti del globo. Come pensi vengano visti i mixed altrove? Hanno la stessa considerazione che hanno in Italia?
E’ solo in Italia che non vengo visto come uno del posto se non apro bocca. Mentre negli altri posti dove ho vissuto, mi veniva chiesto “di dove sei?” solo e soltanto nel momento in cui riconoscevano l’accento che non era loro familiare.
In Italia mi è capitato varie volte di essere approcciato in inglese da persone che non parlano inglese, perché a prescindere non riuscivano a riconoscere il fatto che uno come me possa essere italiano. All’estero invece mi è capitato di essere approcciato nella lingua locale, perché presumevano già che io fossi del posto.
Per me vivere in Italia è come vivere in una bolla, che per quanto possa essere punzecchiata, non scoppierà mai.
Sei mai in conflitto con la tua identità culturale e razziale?
Non penso di essere del tutto in conflitto, ma la mancanza di piena accettazione da entrambe le parti mi porta un pò a pormi delle domande.
Ad esempio? Quale sarebbe una di queste domande?
Una di queste domande è se per noi mixed esiste realmente un posto che possiamo chiamare casa.
E secondo te esiste?
Secondo me esiste solo nelle condizioni in cui un l’ambiente che ti circonda è in grado di farti sentire realmente a casa.
Ma se la tua esperienza in Italia fosse stata diversa, cioè se ti avessero accettato come italiano senza esitazioni e senza dare conto al colore della tua pelle, pensi che saresti stato più propenso a connetterti con la tua parte italiana e magari ad esporti come italiano essendo fiero della tua italianità?
Bella domanda. Essendo un’ipotesi, la mia risposta non può che essere solo ipotetica.
Ti direi di si. Ripeto, l’ambiente determina molto il sentimento che si prova nei confronti del paese.
Cosa ne pensi delle parole molto discusse e maltrattate “Mulatto” e “Half Caste”?
Non sono un fan del termine “Mulatto”, considerando la sua origine storica. Quando si tratta di noi bi-razziali uso spesso il termine “mixed”.
Pensi di essere discriminato perché sei bi-razziale? Perché?
Penso che essere bi-razziale ha sempre i suoi pro e contro. Ovviamente in Europa non sei visto come mixed, ma come nero. Di conseguenza, anche a te come “mixed” vengono attribuiti i pregiudizi che generalmente vengono attribuiti agli africani.
D’altro canto, in Ghana (e parlo solo del Ghana perché non posso parlare per altri contesti in cui non ho vissuto) sono il bianco dall’Europa con i soldi e quindi c’è una discriminazione più a livello economico. Cioè, sei un bersaglio per chi chiede soldi, parenti che vogliono fare i furbi o tante persone che si fingono amiche perché pensano che tu sia figlio di Dangote o pensano che tu puoi portarli in Europa. Non è per forza una discriminazione, ma porta a limitare la possibilità di avere rapporti genuini.
Appunto, questa è una questione che volevo già trattare in precedenza. Qualche domanda fa, tra le risposte, hai accennato di aver subito delle discriminazioni in Ghana, ti riferivi a questo o avresti anche altri esempi da proporre? E quali pensi che siano le sottigliezze/differenze rispetto alla discriminazioni che subisci in Italia/Europa?
Si, mi riferivo a questo. La differenza sta che in Europa le discriminazioni nei confronti degli africani sono legate all’odio e a un complesso ossessivo di superiorità immaginaria e subconscia, mentre invece in Ghana sono guidate dalle opportunità che una persona può ottenere da una persona che ha semplicemente la pelle più chiara.
Pensi invece di avere qualche privilegio perché sei bi-razziale? Perché?
Penso che il privilegio di essere mixed esista. Tanti di noi vengono visti come esotici, soprattutto le ragazze. In più, credo che tant* bianch* si mettono con i neri perché vogliono figli mixed, reputandoli “adorabili”… e lo dico perché l’ho sentito dire più volte del dovuto. In più, a livello relazionale, tanti di noi finiamo in quella categoria di “nero, ma non troppo nero” mettendo più a suo agio una persona di un’altra etnia a stare con noi, o a presentarci a casa.
Pensi che la tua categoria razziale definisca “cosa” sei?
Penso che la categoria razziale definisce gran parte della propria esperienza. Il come le persone ti percepiscono porta ad avere degli impatti sulle tue opportunità. Perché se sei asiatico puoi avere certe agevolazioni in un contesto e zero in altri. E lo stesso vale per qualsiasi altra etnia o intreccio di etnia.
Ti è mai stato chiesto di scegliere una sola “razza” perché non puoi essere entrambe le cose? Cosa hai risposto?
Si, mi è stato detto da una mia zia Ghanese che io e i miei fratelli dobbiamo scegliere se essere ghanesi o italiani. Non sapeva che io avevo già scelto, e lo avevo fatto in modo inconscio.
Come reagisci alla microaggressione in generale? A domande o uscite come “Posso toccarti i capelli?”, “Sembri così esotico”, “Non sei come gli altri misti”, “Ma parli bene l’italiano”
La mia reazione alle micro aggressioni è sempre stata guidata dalla rabbia, ragione per il quale ho sempre seguito leaders come Marcus Garvey, Malcolm X, Muhammad Ali, Louis Farrakhan e altri rivoluzionari che parlavano da una posizione motivata dalla rabbia. Ma ora sto capendo che la rabbia non deve essere il fattore motivante per il cambiamento. La rabbia è semplicemente un emozione che, anche se necessaria, quando viene presa in considerazione per troppo tempo può causare più danni che miglioramenti.
Ora preferisco agire più in modo pacifico, se viene fatto un commento ignorante, non mi reputo nella posizione di poter avere una conversazione di un certo tipo con una persona che esprime commenti del genere … Risparmio energie e dormo meglio.
Quali sono i vantaggi di essere bi-razziali?
I vantaggi di essere bi-razziali sono vari. Quelli che mi vengono in mente ora sono che hai accesso a più di una realtà (o cultura). Si ha la possibilità di essere un ponte tra culture e nel mio caso, mangio le zeppole di San Giuseppe un giorno, e Kontomire stew with rice il giorno dopo.
Quali sono le sfide per essere bi-razziali?
La prima sfida che vedo esser comune nelle famiglie bi-razziali è la separazione dei genitori. Quasi tutte le persone mixed che conosco hanno i genitori separati, e penso sia dato da vari fattori, maggiormente da una mancanza di comprensione della cultura altrui.
Già avere a che fare con più di un’identità non è facile, mischiandola con la separazione dei genitori, spinge ancora di più noi mixed a dover prendere decisioni a livello culturale generalmente in base al genitore con cui viviamo o con cui andiamo più d’accordo.
Un’ulteriore sfida è il fatto che tante coppie miste non sono pronte ad avere figli mixed. Intendo dire che tante di queste coppie mettono su famiglia pensando che il mondo sia fiori e rose e che i loro figli non sperimenteranno una serie di discriminazioni. Secondo me, questa inconsapevolezza crea dei disordini familiari perché va a finire che la mamma o il papà non capiscono cosa attraversa il figlio, il che può portare ad avere dei complessi più seri più avanti.
Infine, la sfida più grande è sapere chi sei. Penso che tanti di noi si chiedano cosa siamo realmente. Se siamo di un paese o dell’altro, se siamo neri o se siamo bianchi. Alla fine penso che non esista una risposta corretta o sbagliata. Ognuno è libero di percepire sé stesso come meglio crede.
Ancora una volta, hai aperto una breccia. La separazione delle coppie miste è un tema che mi sta particolarmente a cuore e che ha avuto l’opportunità di essere approfondito tramite questo blog.
Concordo in pieno con te e penso che sia molto importante evidenziare il fatto che l’inconsapevolezza e la mancanza di comprensione da parte dei genitori non fanno altro che accrescere la confusione e il sentimento di non appartenenza nei figli. Forse semplicemente il cercare di prevenire queste mancanze potrebbe gettare luce su gran parte dei problemi che i figli potrebbero riscontrare, e chissà, forse potrebbe aiutarli a trovare degli indizi per rispondere alla fatidica domanda di chi o cosa si è veramente.
Quale messaggio vorresti dare alle nuove generazioni miste?
Il messaggio che ho per la nuova generazione mixed è di ricordarvi che non siete soli, ci sono altri milioni di mixed che affrontano gli stessi vostri problemi a livello esistenziale e che non può a essere la società a decidere chi siete. Quello lo potete solo decidere voi per voi stessi.
Già, non si è mai soli e credo che questo spazio ne sia una prova. Jeremy, ti ringrazio di cuore per la tua partecipazione e spero vivamente che ci sarà ancora l’opportunità di condividere ed esporre altre esperienze e nuove riflessioni.
No grazie mille a te. E penso che questa piattaforma sia molto importante perché noi mixed non condividiamo spesso la nostra esperienza e sarebbe bello in un futuro sentire più esperienze, sperando che questo possa portare ad avere un dialogo più ampio.
Intervistatore: Obichukwuka Leandro Lyone, in arte Dugiotto. Potete leggere la sua storia nella nostra intervista La cosmologia birazziale di Obichukwuka Leandro Lyone.