Quanto razzisti siete? Potrebbe non piacervi la risposta (con test).

Come si forma il razzismo nel nostro cervello e come riconoscere il proprio grado di razzismo.

Le discussioni sul razzismo possono spesso mettere a disagio le persone. Può far emergere sentimenti di colpa e metterli sulla difensiva. Per molto tempo, ci si aspettava, implicitamente, che le persone di colore diverso dal bianco, subissero sia i danni del razzismo che la responsabilità di non mettere a disagio le persone bianche parlando del suo impatto sulle loro comunità.

 

Con la crescente consapevolezza delle discriminazioni, della brutalità della polizia in certi luoghi e delle vessazioni in nome del colore della pelle, c’è oggi, una maggiore disponibilità ad affrontare questo argomento, compreso il riconoscimento del proprio razzismo. Negli ultimi anni, sempre più ricerche hanno mostrato come i pregiudizi razziali influenzino il nostro mondo, da come gli insegnanti educano gli studenti a come gli ingegneri creano nuove tecnologie a come i medici diagnosticano i pazienti.

 

L’ingiustizia razziale ha un impatto su tutti i campi, dall’istruzione, al lavoro, all’alloggio fino ai semplici rapporti umani. Per comprendere meglio questi sistemi, dobbiamo esaminare i nostri pregiudizi e il ruolo che svolgono. La nuova scienza del pregiudizio, infatti, suggerisce che tutti noi portiamo pregiudizi dentro di noi e tutti abbiamo gli strumenti per tenerli sotto controllo.

 

Vi ricordate la storia di uno degli esperimenti più famosi di Jane Elliott, ex insegnante elementare, attivista, femminista ed educatrice dell’antirazzismo?

 

Siamo nel 1968 in una piccola scuola di Randall, nello Iowa. Jane Elliott è un’educatrice e un’attivista per i diritti civili. Quando Martin Luther King viene ucciso per lei è un durissimo colpo e, sconfortata, si domanda com’è possibile sradicare la mentalità razzista. Il giorno seguente all’omicidio decide di spiegare ai bambini della sua classe cosa sia il razzismo. Fa degli esempi, racconta fatti, descrive sentimenti ma sente di non riuscire a trasmettere il messaggio. Randall è una piccola città, non ci sono persone di colore, e i bambini difficilmente possono conoscere episodi di intolleranza. Allora Jane chiede ai suoi studenti se vogliono capire veramente come si sente una persona discriminata e loro dicono di sì.

 

Jane divide i bambini in due gruppi: da una parte quelli con gli occhi azzurri, dall’altra quelli con gli occhi marroni. Poi si inventa di sana pianta una motivazione scientifica per cui quelli del primo gruppo sono superiori. In ottemperanza a questa finzione I bambini dagli occhi chiari godono di una serie di privilegi: hanno i posti migliori in classe, possono bere prima dalla fontana, vengono sgridati raramente mentre vengono enfatizzate le loro capacità. I bambini con gli occhi scuri invece sono prima “marchiati” con un collare, poi segregati in fondo alla classe e, infine, sgridati duramente per ogni minimo errore. Ovviamente ogni rapporto tra i due gruppi è vietato ma solo i bambini dagli occhi marroni vengono puniti sistematicamente se violano le regole dell’esperimento.

 

Nel giro di una sola settimana i bambini dagli occhi azzurri migliorano i propri risultati scolastici e iniziano ad avere atteggiamenti arroganti e prevaricatori verso i compagni dagli occhi marroni, che invece peggiorano i propri rendimenti e si mostrano impacciati e timorosi.

 

Dopo sette giorni però Jane inverte i ruoli. Adesso sono i bambini dagli occhi marroni a essere ritenuti superiori. Ma quest’ultimi, visto che conoscono bene cosa significa essere discriminati, sembrano essere molto meno duri con i colleghi dagli occhi chiari. Dopo qualche altro giorno Jane dice ai bambini che nessuno è superiore e spiega loro che il razzismo era proprio quello che avevano vissuto.

 

L’esperimento divenne presto famoso. Jane fu duramente attaccata da insegnati e genitori, che l’accusarono di aver sottoposto i bambini a una condizione profondamente stressante e umiliante. Negli anni seguenti però Jane fu chiamata tante volte a ripetere il suo esperimento, che divenne oggetto di articoli, documentari e ricerche universitarie, che ne dimostrarono la possibile utilità nel combattere i pregiudizi. I bambini del primo esperimento, diventati ormai adulti, dissero che quell’esperimento aveva cambiato per sempre il loro modo di vedere gli altri contribuendo a farli diventare persone che nella vita avevano sempre combattuto il razzismo.

 

 

In primo luogo, definiamo il razzismo

 

Il primo passo nella conoscenza di sé è definire cosa significa essere razzisti, definire il razzismo stesso e come questo accade nel nostro cervello.

 

Il razzismo continua ad essere un problema significativo in gran parte del mondo. Capire come il razzismo si verifica nel cervello può aiutarci a trovare modi per superarlo. I nostri cervelli spesso classificano le persone come simili o diverse da noi stessi. Una parte del cervello, chiamata amigdala, diventa attiva quando vediamo qualcuno che pensiamo sia diverso, e questo può portare a trattare quella persona ingiustamente. Ma un’altra parte del cervello, chiamata corteccia prefrontale, è in grado di calmare l’amigdala, e possiamo aumentare il suo potere usando una strategia di pensiero chiamata rivalutazione cognitiva. Ancora meglio, potremmo essere in grado di impedire alle persone di diventare razziste insegnando ai bambini ad apprezzare le differenze, quindi la loro amigdala non viene attivata da persone diverse da sé stesse. In combinazione con la fissazione di regole e sistemi iniqui intorno a noi, queste strategie del cervello possono aiutarci a sconfiggere il razzismo.

 

Trattare qualcuno ingiustamente a causa del loro colore della pelle (razzismo individuale) e un sistema di regole e pratiche che trattano le persone ingiustamente a causa del loro colore della pelle (razzismo istituzionale), oppure assistere a tutte e situazioni razziste che accadono nella nostra comunità …. ci porta, inevitabilmente, a chiederci perché non sia semplicemente possibile rimuovere il razzismo dal cervello delle persone razziste?

 

Purtroppo, non è così semplice. Il razzismo non proviene da una singola parte del cervello, ma nasce da molte parti di essa che lavorano insieme e interagiscono con il mondo. La buona notizia è che ci sono scienziati che studiano come questo accada e come potremmo essere in grado di aiutare i cervelli a diventare meno razzisti, o addirittura a prevenire il razzismo in primo luogo.

 

Il nostro cervello è davvero eccezionale nel classificare le cose in categorie. A volte questo è utile, come quando sei un bambino e hai bisogno di imparare la differenza tra cani e gatti, o cose che sono sicure da mangiare e cose che non lo sono. Ma può diventare un problema quando il nostro cervello usa quegli stessi sistemi automatici per mettere le persone in categorie con considerazioni come “la gente come me” e “la gente differente da me”. La tendenza del cervello a classificare le persone come simili a sé (gruppo interno) o diverse da sé ( gruppo esterno) e a trattare le prime in modo diverso dalle seconde, si chiama, scientificamente, “pregiudizi intergruppo” .

 

Ad esempio, se sei in una squadra sportiva, probabilmente tiferai per le persone della tua squadra più delle persone dell’altra squadra, giusto? Questo perché il tuo cervello ha messo le persone della tua squadra nella tua categoria gruppo interno.

 

Naturalmente, il tifo per la tua squadra sportiva non è un problema. Ma potrebbe diventare un problema se iniziassi ad essere intollerante con le persone dell’altra squadra, o se iniziassi a pensare che le persone della tua squadra sono migliori di tutti gli altri. Sarebbe ancora peggio se la tua città inventasse regole che dicono che la tua squadra potrebbe andare in alcuni posti che l’altra squadra non è stata autorizzata a fare, o se la gente ha iniziato a fare film e spot pubblicitari che suggeriscono quanto i giocatori dell’altra squadra siano persone cattive.

 

Ed è esattamente quello che succede con il razzismo. Vedere le differenze non è un problema, infatti è bello notare tutta la meravigliosa varietà di tonalità della pelle e texture dei capelli! Non sarebbe noioso se fossimo tutti uguali? Ma è un problema quando le persone al potere mettono altri che assomigliano a loro nei loro gruppi interni e creano regole che trattano ingiustamente quelli di altri gruppi. Ad esempio, in molte parti del mondo, le persone con toni della pelle più chiari hanno una storia di regole che discriminano  le persone con tonalità della pelle più scure. Proprio come essere cattivi con le persone dell’altra squadra sportiva, ma molto peggio, perché il colore della pelle è qualcosa che non si può cambiare. La pelle è qualcosa con cui si è nati e una bella parte di chi si è,  non solo qualcosa che si può indossare e togliere come fosse una maglia sportiva!

 

Il razzismo individuale non è dannoso quanto quello il razzismo istituzionale (sistemico)

 

Dopo la morte di George Floyd diversi media, hanno ripreso a parlare di “razzismo sistemico” negli Stati Uniti, e di come appaia difficilmente inestirpabile da un ambito come quello delle forze dell’ordine americane. L’associazione fra neri e criminalità, a causa della propaganda razziale di lunga data, ha avuto e continua ad avere effetti devastanti sulla percezione e sui pregiudizi degli americani bianchi, soprattutto in contesti giudiziari. Se a un gruppo di bianchi viene chiesto di esprimere una opinione sulla severità delle pene carcerarie, è molto più probabile che questi si dichiarino favorevoli alla pena più severa (ergastolo) quando si tratta di un imputato afroamericano rispetto a un bianco.

 

Le persone hanno idee diverse su come sbarazzarsi del razzismo. Alcuni dicono che l’attenzione dovrebbe essere concentrata sul razzismo istituzionale – nelle scuole, nella polizia, sul posto di lavoro – e non sui sentimenti delle persone. Troppe persone bianche, però,  vedono il razzismo sotto l’aspetto psicologico, concentrandosi su ciò che le persone sentono dentro e sulle manifestazioni personali di ostilità razziale, come gli insulti razziali. Analizzano il fatto che nel momento in cui esprimiamo un giudizio su una persona è molto probabile, quindi, che quello che esprimeremo sarà un pregiudizio, ossia qualcosa che ci siamo preformati nella nostra mente sulla base di quelle che sono esperienze nostre o del contesto sociale a cui apparteniamo. Ed è del tutto inconscio e automatico. In realtà vi è un razzismo ben più profondo, che si annida tra le pieghe delle istituzioni: quello sistemico. Un razzismo che è presente a livello normativo all’interno di una società dove la discriminazione e le ingiustizie agiscono ad un livello più profondo,  più complesso da individuare e definire, ma non meno pericoloso.

 

Non si parla quindi di un odio interpersonale, ma di un vero e proprio sistema in cui cultura, potere, tradizioni, politica e istituzioni si intrecciano, e che mantiene una parte della popolazione (identificata su base etnica) in una posizione svantaggiata, in favore di quella dominante, ovvero bianca.

 

 

Chi è chi nel cervello

Cosa succede all’interno del cervello quando classifichiamo le persone in categorie gruppo interno e  gruppo esterno? Gli scienziati hanno scoperto che una piccola parte del cervello chiamato amigdala si attiva quando vediamo qualcuno nel gruppo esterno, qualcuno che consideriamo diverso da noi stessi. Una piccola area del cervello coinvolta nell’elaborazione delle emozioni e, tra le altre cose, rispondendo a persone che sono classificate come membri del  gruppo esterno.

 

Alcuni scienziati pensano che questo sia dovuto al fatto che consideriamo le persone nel gruppo esterno  come una minaccia, anche quando, in realtà, non lo sono, mentre altri scienziati pensano che l’amigdala sia solo brava a rilevare qualsiasi cosa nuova o sconosciuta. L’amigdala è coinvolta in molte altre cose importanti, come elaborare le nostre emozioni, quindi non possiamo semplicemente liberarcene per risolvere il razzismo!

 

Ma gli scienziati hanno anche scoperto che un’altra parte del cervello sembra avere il compito di calmare l’amigdala, compresa la risposta dell’amigdala alle persone del  gruppo esterno. Quella parte calmante è chiamata corteccia prefrontale – un’area nella parte anteriore del cervello coinvolta nella pianificazione, nel processo decisionale e nell’autocontrollo, compresa la regolazione della risposta del gruppo esterno dell’amigdala. Quando le persone assumono atteggiamenti razzisti, può significare che la loro corteccia prefrontale non sta facendo un ottimo lavoro di regolazione della loro amigdala. Quindi, possiamo aiutare la corteccia prefrontale a fare meglio il suo lavoro?

 

Aumentare la corteccia prefrontale

Ci sono alcuni studi che suggeriscono che possiamo aiutare la corteccia prefrontale a fare meglio il suo lavoro! Pensala in questo modo: ti sei mai sentito davvero arrabbiato con qualcuno e hai voluto colpirlo, ma poi ti sei fermato? O hai mai guardato un film dell’orrore e volevi scappare, ma poi ti sei ricordato che eri davvero al sicuro? Questi sono esempi della reazione dell’amigdala, e poi della corteccia prefrontale che la calma, in modo da poter agire nel modo che si desidera invece di seguire automaticamente le istruzioni dell’amigdala.

 

La stessa cosa accade quando l’amigdala di qualcuno reagisce a una persona nel gruppo esterno e la sua corteccia prefrontale la calma. È come  se l’amigdala dicesse: “Ehi, quella persona è diversa, quindi forse sono una minaccia!” e la corteccia prefrontale rispondesse, “no, sono diversi ma va bene così!” (Naturalmente, l’amigdala e la corteccia prefrontale non possono parlare, ma questi sono i tipi di segnali che si stanno inviando l’un l’altro all’interno del cervello). Ricordate che, solo perché la vostra amigdala agisce non significa che è giusto o che la si deve ascoltare!

 

Sappiamo che se ti ricordi di certe cose mentre guardi un film di paura – cose come “è solo un film, non è reale, sono al sicuro“- questo aiuta la corteccia prefrontale a fare meglio il suo lavoro. Gli scienziati chiamano questo riesame cognitivo, una tecnica che può essere utilizzata per aiutare a regolare le emozioni cambiando il modo di pensare a una situazione. Sappiamo che la rivalutazione cognitiva funziona aumentando i poteri della corteccia prefrontale, in modo che possa fare un lavoro migliore di calmare l’amigdala, quindi, potremmo usare una strategia simile per aiutare la corteccia prefrontale a funzionare meglio nel cervello di qualcuno per fermare il razzismo?

 

 

Costruire un cervello meno razzista

Alcuni studi hanno cercato di utilizzare una rivalutazione cognitiva e strategie simili per ridurre il razzismo. Ad esempio, quando gli scienziati negli Stati Uniti hanno mostrato ai bianchi le immagini dei neri che già gli piacevano, o li hanno incoraggiati a pensare ai neri come individui piuttosto che come un unico grande gruppo, i bianchi hanno mostrato meno attivazione dell’amigdala. Inoltre, raggruppare le persone in squadre di razza mista ha cambiato la loro attivazione amigdala in un modo interessante: l’amigdala ha reagito in base alle squadre assegnate piuttosto che ai gruppi razziali, suggerendo che potrebbe essere possibile ridurre il razzismo solo aiutando i bianchi a pensare ai neri come parte del loro gruppo.

 

 

Ma il rovescio della medaglia è che questi effetti non durano tanto a lungo. Dopo che la gente smette di usare la rivalutazione cognitiva, ritornano ai loro vecchi modi di pensare. Quindi cosa possiamo fare per aiutare i cervelli a diventare meno razzisti per sempre?

 

Sembra che le persone interessate ad essere meno razziste usino, anche inconsapevolmente, queste strategie. Paradossalmente, insegnare cosa sia il razzismo, e far sentire motivati ad arginarlo, può aiutare le persone ad attivare la loro corteccia prefrontale in modo più efficace. Questo include aiutare le persone a capire che l’intera idea di “razza” è stata creata da persone bianche che volevano il potere e il controllo, e non c’è davvero alcun motivo per definire i nostri gruppi interni e quelli esterni in base a questo parametro.

 

 

 

Un futuro senza razzismo?

Qualche anno fa, alcuni scienziati ebbero un’idea brillante. Si resero conto che tutti questi studi sul razzismo nel cervello erano stati fatti con gli adulti, e si chiesero, e se invece studiassimo il cervello dei bambini?

 

Indovinate cosa hanno scoperto? A differenza degli adulti, l’amigdala nel cervello dei bambini non reagisce in modo diverso alle persone in base al loro colore della pelle! I bambini notano il colore della pelle, naturalmente, ma sembra che i loro cervelli non inizino a usare il colore della pelle per assegnare le persone al gruppo interno o a quello esterno fino a quando non crescono. E la parte più interessante? I bambini e gli adolescenti con gruppi più diversi di amici avevano un’amigdala meno reattiva indipendentemente dalla loro età. È come se il loro cervello si fosse reso conto che non c’è motivo di dividere le persone in categorie in gruppo interno e gruppo esterno basandosi sul colore della pelle, dal momento che avevano già molti amici con diversi colori della pelle.

 

Questa scoperta ci dice che il razzismo è insegnato: il nostro cervello non deve automaticamente assegnare le persone a categorie gruppo interno e gruppo esterno in base al colore della pelle. Possiamo apprezzare le differenze invece di usarle per dividerci. E questa è una buona notizia, perché significa che mentre tutti abbiamo il potenziale per diventare razzisti, abbiamo anche il potenziale per creare un futuro in cui nessuno è razzista. Studi come questo possono aiutarci a trovare il modo di circondare i giovani cervelli di condizioni che prevengono il razzismo piuttosto che contribuire ad esso, e, quindi, col tempo, potremmo essere in grado di eliminare del tutto il razzismo.

 

Tuttavia, è importante ricordare che il razzismo non avviene solo all’interno del cervello. Il razzismo è anche integrato nelle molte regole e nei sistemi ingiusti creati da cervelli prevenuti, spesso mantenuti da persone che non si rendono nemmeno conto che stanno contribuendo al problema. Anche se qualcuno non intende essere razzista, potrebbe comunque seguire regole ingiuste che hanno conseguenze razziste per gli altri. Quindi, mentre lavoriamo per porre fine al razzismo nel cervello, dobbiamo anche lavorare per porre fine al razzismo intorno a noi. Mentre fissiamo queste regole e questi sistemi, il nostro cervello noterà nuovi modelli nel modo in cui le persone vengono trattate, il che può aiutare a ridurre ulteriormente i pregiudizi intergruppo, avvicinandoci a un mondo giusto ed equo sia dentro che fuori dalla nostra testa.

 

Ora, volete testare quanto siete razzisti? Ecco a voi un test molto interessante creato dalla Project Implicit, un’organizzazione senza scopo di lucro e una rete collaborativa internazionale di ricercatori che indagano sulla cognizione sociale implicita, o pensieri e sentimenti che sono in gran parte al di fuori della consapevolezza e del controllo consci. E’ un prodotto di ricerca che ha fornito nuovi modi di comprendere atteggiamenti, stereotipi e altri pregiudizi nascosti che influenzano la percezione, il giudizio e l’azione. I ricercatori e collaboratori di Project Implicit traducono quella ricerca accademica in applicazioni pratiche per affrontare la diversità, migliorare il processo decisionale e aumentare la probabilità che le pratiche siano allineate con i valori personali e organizzativi.

 

Il Test d’Associazione Implicita che qui vi propongo rende possibile l’esplorazione delle dinamiche di distinzione capacità-intenzione che è come la differenza tra il nascondere volontariamente qualcosa a qualcuno o nasconderla inconsciamente a se stessi. L’IAT misura atteggiamenti e credenze implicite che le persone non vogliono o non sanno dichiarare.

 

Test di Associazione Implicita (IAT)

https://implicit.harvard.edu/implicit/italy/takeatest.html

 

 

 

 

  Luisa Wizzy Casagrande, Biracial, Bicultural, Mixed & Matched with an Italian and Nigerian Heritage. Sono un’imprenditrice seriale, multidimensionale, poliedrica, multipotenziale, con molti interessi e innumerevoli passioni. Non sono programmata per fare solo una cosa nella vita.

Ho una formazione di Antropologia Biologica, Co-Fondatrice e CVO di DOLOMITES AGGREGATES LINK NIG. LTD, investitrice, ricercatrice freelance di studi, cultura, tradizione e patrimonio africani, e fondatrice di Métissage Sangue Misto,  WebMag  e Lounge Community riservata. Oltre all’Azienda Mineraria, mi occupo di Consulenza sulla Diversità Culturale e Developmental Mentoring, sviluppando programmi di mentoring one-to-one, tagliati su misura per singoli individui, Istituzioni Scolastiche, Organizzazioni Multiculturali e Aziende.

 

 

 

References

 

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