Photo Credit: Martino Ghielmi

Andiamo tutti in Africa con ViA!

Quattro chiacchiere con Martino Ghielmi

Photo Credit: Martino Ghielmi

 

Quando parli di Africa, scatta nelle persone un doppio senso di amore. Da una parte quel famoso ed incomprensibile (per me) significato del “mal d’Africa“; incomprensibile perché non capisco come possa uno soffrire di un male, asserendo poi, con gioia e sollazzo, che “quando sono lì sto benissimo“. Se stai benissimo non hai bisogno di star malissimo, poi. La nostalgia non è un male; è semplicemente uno stato d’animo, intrisa di struggente malinconia, finché vuoi, ma decisamente tollerabile. Non certo una malattia!

 

Dall’altra parte c’è quest’idea tutto romantica di un’Africa fatta di safari, tramonti, bell’atmosfera e dune del deserto da percorrere sul dorso di un cammello, quando sappiamo, benissimo, che è molto, ma molto di più. E’ sicuramente senso di libertà (poi qui abbiamo moltissime declinazioni di libertà), semplicità, umiltà, imprevedibilità, opportunità e, ingovernabilità, oltre a tutta una serie di altri immensi aggettivi da accompagnare a questo Continente.

 

Conobbi Martino proprio agli arbori del suo progetto, quando ancora stava dando forma ad un’idea che mi parve subito necessaria per un paese come l’Italia. Non mi trovai davanti il classico personaggio con idee strampalate o reminiscenze da libri di Wilbur Smith. Anzi! Mi parve subito un ragazzo sveglio, pieno di inventiva e voglia di fare la differenza, ma ciò che mi colpì in lui era tra le pieghe di quello che lui pensava fosse l’Africa. Cioè che,  “l’Africa non esiste“! Già… è stato uno dei pochissimi giovani italiani, dal quale ho sentito un’affermazione del genere. Martino aveva capito che l’Africa era un enorme continente, fatto di diverse nazioni, ognuna con culture e tradizioni diverse una dall’altra. Cosa scontata, eppure i più continuano a trattarlo come fosse una sola nazione, con un’unica cultura e con un’unica lingua.

 

Oggi l’ho intervistato per voi, nell’intento di dare uno scenario ed un punto di vista, decisamente autorevole, di una persona che l’Africa la cerca di connettere in lungo e in largo, e che è riuscito a muovere una bellissima sinergia tra imprenditori, persone di cultura o semplicemente simpatizzanti.

 

ViA MeetUp Padova. Martino Ghielmi con Imarenakhue Lilian Ehigie e Luisa Wizzy Casagrande

 

Chi è Martino?

Nasco a Milano il 22 Settembre 1985 in una famiglia di musicisti.Nei primi anni ho un forte rapporto con mia nonna materna, genovese eclettica e multi-potenziale(e per questo fuggita dalla Liguria!) che mi espone ad una grande varietà di stimoli: attualità, politica, musei, arti visive, scienza, letteratura. Mia nonna muore, neanche sessantenne, quando ho solo otto anni. Ho portato avanti la sua eredità con una dieta culturale piuttosto “onnivora”.

A dieci anni lasciamo Milano per Orino, piccolo paese di collina tra Varese e il Lago Maggiore, dove passo alcuni anni all’aria aperta: tra le esperienze di “studio” più utili, lunghe esplorazioni e raccolta di legna nei boschi e l’edificazione di una vera e propria “città-Stato” abusiva in giardino, con leggi, moneta, borsa valori, Olimpiadi, ecc.

Studio Relazioni Internazionali in Cattolica a Milano e continuo due attività cruciali: leggere e viaggiare. Nel 2006 il primo giro nel continente africano: in Kenya. L’occasione viene dal fratello maggiore del mio amico d’infanzia che sposa una ragazza kenyana.

Poco convinto dalle sirene della “cooperazione allo sviluppo”, vado a lavorare per una multinazionale di consulenza aziendale, esperienza formativa anche se simile alla naja, e dal 2013 nell’alta formazione,arrivando a lavorare con dodici Paesi tra Africa Orientale e Occidentale.

 

Racconti di essere nato in una famiglia di artisti. Cosa ha significato questo nelle tue scelte di vita? Come mai non hai seguito queste orme?

Sicuramente l’esposizione alla musica classica, o meglio barocca, ha stimolato la mia curiosità. Io stesso, per tanti anni, ho studiato musica (prima violoncello poi, da autodidatta, pianoforte) e da bambino spesso dicevo che avrei voluto diventare compositore.

Sono musicisti di professione anche mio zio e, oggi, mia sorella minore. Nel tempo mi sono accorto che seguire queste orme non sarebbe stato rispondere correttamente alla mia vocazione.

Credo di essere una persona troppo poco precisa e metodica per fare il musicista. Mi ha sempre appassionato di più l’improvvisazione che eseguire musica scritta da altri.

Che tipo di studente eri? E che tipo di adolescente eri?

Mediamente irrequieto. In terza elementare ho fondato un giornalino mensile, si chiamava “Il Distrattone”, che ciclostilavo e vendevo a 500 lire e copia. Dopo pochi mesi alcuni genitori si sono lamentati che i figli chiedevano soldi a casa per acquistare da me e la preside ha convocato i miei. Mi hanno spiegato che, pur essendo una lodevole iniziativa, alcuni miei coetanei non conoscevano il valore del denaro. Ergo mi proibivano di vendere a scuola.

Ho continuato a vendere fuori dal cancello, anche perché alcuni dei miei clienti erano abbonati 😉

Alle medie e alle superiori venivo spesso definito “intelligente che non si impegna”, entrando in conflitto con l’autorità tutte le volte che non ne riconoscevo l’autorevolezza. Da questo una bella sfilza di note sul registro, un 7 in condotta (terza superiore) ma mai un debito. Da bravo mezzofondista, una volata finale per uscire alla maturità con 100/100 dopo aver avuto sempre la media tra il 6 e 7.

 

Photo Credit: Martino Ghielmi

 

Com’era il tuo rapporto con gli amici e compagni di percorso?

Ho sempre avuto una certa facilità a conoscere sconosciuti e tessere relazioni. Meno a tessere amicizie profonde, ma negli anni ho imparato, soprattutto grazie a mia moglie Maddalena, il valore di queste ultime.

Che rapporto hai con la tua terra natia?

Sono nato a Milano ma ho sempre considerato il Varesotto “terra natia”, nel bene e nel male. Mio nonno paterno, figlio di un manovale emigrante in Francia, è stato il primo laureato del villaggio negli anni ’50 a Gurone, frazione di Malnate (VA). Una storia di riscatto sociale guidata dallo studio e dal lavoro che ho poi ritrovato in tanti angoli del pianeta.

Ad un certo punto della tua vita ti sei “fissato” con l’Africa, tanto d’aver dato vita ad una Community incentrata sul rapporto con il Continente. Come mai? Cosa hai trovato in Africa da fartelo tuo?

La mia curiosità per il continente africano deriva dai campi di atletica, sport che inizio a praticare a inizio anni 2000 con mio fratello Benedetto. Mezzofondista senza lode, ma molto appassionato, inizio a chiedermi cosa ci sia dietro il predominio globale di etiopi e kenyani.

Nel mio primo viaggio in Kenya svaniscono i miei sogni di gloria sportiva, che comunque coltivo per anni dietro le quinte come organizzatore e procuratore (arrivando comunque a far vincere la Stramilano 2014 e 15 ad atleti seguiti da me). Scopro invece un mondo di energia e determinazione che approfondisco iscrivendomi alla specialistica in Studi Afro-Asiatici (Università degli Studi di Pavia) e trascorrendo un anno di lavoro e ricerca a Nairobi.Da quel momento, pur con diversi cappelli, continuo a lavorare con il continente.

Nel 2017, stufo dell’ignoranza che riscontro in Italia rispetto al continente africano, apro il blog vadoinafrica.com e il gruppo FB di networking per agevolare sinergie costruttive tra imprenditori e professionisti.

 

Photo Credit: Martino Ghielmi

 

Cos’è, dunque, VIA? E cosa NON è?

Una Community fedele al motto “Conoscere. Connettere. Creare.”. Siamo dunque uno spazio web per conoscere meglio il continente (blog, pagine social, canale YouTube), un gruppo per connettere interessi e due strumenti professionali per creare valore come imprenditori: la membership VBL e la rete di servizi che offro insieme a una rete di professionisti.

 

Dici spesso, e ne hai fatto il porta bandiera di VIA, che l’Africa è il futuro. In che senso? E dove lo collochiamo il suo passato ed il suo presente?

In realtà penso che sia anche il presente. Ad ogni modo, il futuro è sempre possibile solo in connessione con la conoscenza e rilettura del passato. Da questo il mio invito a studiare seriamente la storia africana.

 

Al di là dell’esperienza professionale in Africa, cos’hai sperimentato di tanto profondo da metterla al centro della tua vita (dopo tua moglie) e dedicarti a sviluppare sinergie con l’Italia?

Come accennavo prima, ho scoperto un mondo di energia e determinazione da cui ho tratto grande beneficio. In ciò che faccio, in primo luogo, voglio omaggiare le tante persone, note e meno note, che mi hanno regalato qualcosa della loro forza vitale, della loro umanità.

 

Quando si parla di Africa, non si riesce a tralasciare il nesso costruito (e di cui si ciba) dall’Occidente colonizzatore in cui fatalismo, accettazione di un volere divino impossibile da prevedere, tradizioni e superstizioni diventano il feticcio su cui immolare ogni giustificazione dell’arretratezza del Continente. Tu che ne pensi?

Parlare di Africa in Italia è molto complesso, non c’è dubbio. A livello di inconscio collettivo occidentale siamo pieni di scheletri nell’armadio e dunque di sensi di colpa e non detto.

Credo sia importante affrontare questi temi, senza i quali sarà difficile aprire nuove fasi nel rapporto tra continenti e culture, senza però finire a parlare per frasi fatte e luoghi comuni.

 

ViA MeetUp Padova. Martino Ghielmi con Chiara Barison, Imarenakhue Lilian Ehigie e Luisa Wizzy Casagrande

 

Sei bianco. È fuori discussione. La critica più feroce mossa alla tua persona é di non essere sufficientemente nero per conoscerci, per conoscere la nostra terra ed i meccanismi che la governano da secoli. E quindi, non sufficientemente titolato per parlare d’Africa. Tu cosa rispondi?

Si tratta di una critica molto comprensibile, visto un passato costellato di “africanisti”, studiosi e soloni accademici europei che hanno contribuito a classificare, conquistare e mantenere soggiogati (militarmente e culturalmente) i popoli africani.

Per questo motivo ci tengo a dire che non sono un “esperto d’Africa”, anzi invito a diffidare da chiunque si ponga in questi termini, ma semplicemente un connettore, un catalizzatore di una dinamica di conoscenza e scambio che, nel 2020, credo debba avvenire senza troppe mediazioni.

Detto questo, penso anche che il punto di vista “esterno” (come può essere quello di un nero africano per l’Europa, proprio come il mio di europeo bianco per l’Africa) può distinguersi in termini di novità e qualità.

Al di là che questo tipo di critica, basata sulla bianchitudine e/o sulla negritudine di una persona, abbia un senso o meno, cosa ne pensi del razzismo?

Sin dalle mia “scuola di vita” della città-Stato delle scuole medie ho visto in opera la potenza della divisione identitaria, noi vs loro. Amo questa citazione di Yuval Noah Harari (storico e autore del notevole “Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità“):

“Noi” e “loro”. Noi siamo persone come te e me, che abbiamo in comune la lingua, la religione, i costumi. Noi ci sentiamo tutti responsabili gli uni degli altri, ma non responsabili di “loro”. Da loro siamo sempre stati distinti, a loro non dobbiamo niente.

Non vogliamo vedere nessuno di loro nel nostro territorio, e non ci importa un bel niente di ciò che può accadere nel loro territorio. Si può dire che loro sono a malapena degli esseri umani.

Nel linguaggio del popolo Dinka del Sudan, il termine dinka significa semplicemente “popolo”. I popoli che non sono Dinka non sono popoli. I più aspri nemici dei Dinka sono i Nuer. Cosa significa il termine nuer nella loro lingua? Significa “popolo originario”. Nelle ghiacciate terre dell’Alaska e della Siberia nordorientale, vivono gli Yupik. Cosa significa il termine yupik nel linguaggio degli Yupik? Significa “il vero popolo”.

In origine, siamo quantomeno tutti xenofobi. Il razzismo, che una certa fase di modernità occidentale ha cercato di costruire come “scientifico” verso i popoli “altri”, è la possibile conseguenza di questa xenofobia originaria che ognuno di noi ha inscritta nel proprio DNA sin dai tempi del Paleolitico.

ViA MeetUp Milano

 

E in Italia? Come la percepisci l’esistenza di un clima discriminatorio, da una parte, e dell’eccessivo politically correct, dall’altro? Una panoramica su tutti i tipi di discriminazione, non SOLO su quella razziale.

Credo che l’Italia sia “il Paese europeo più africano” e anche “il Paese africano più europeo”. In questo senso ritengo che tante dinamiche di discriminazione e pregiudizio siano più simili fenomeni di xenofobia che si riscontrano in alcuni contesti nordafricani che al razzismo istituzionale che giace, sapientemente nascosto, sotto le fondamenta di contesti apparentemente più “evoluti” come il Regno Unito, gli USA o la Francia.

Per farti un esempio, in Italia non c’è alcuna limitazione in termini di università che puoi frequentare se sei nato in un quartiere di periferia. Certo, ci sono enormi barriere indirette di tipo economico e culturale. Ma in tanti altri Paesi, in apparenza più “progressisti”, l’istruzione di qualità è riservata a chi vive in determinate aree geografiche dove, guarda un po’, affitti e prezzi delle case sono inaccessibili per chi non fa parte dell’élite locale.

Gli italiani sono in fondo un popolo di emigranti straccioni, tipicamente vittima di discriminazioni, che ha rimosso questa memoria storica proprio perché dolorosa e fonte di grande umiliazione.

Non dimentichiamo che, fino a poche decine di anni fa, eravamo classificati come “People of Color” dai WASP anglosassoni e reclutati in massa per le miniere in Belgio e Germania con pratiche simili al Nord Africa. La stessa origine delle istituzioni statali italiane ha diversi tratti più simili all’occupazione coloniale subita da molte società africane che ai processi di creazione degli altri Stati-Nazione europei.

Cosa pensi della mescolanza tra i popoli, e, nella fattispecie, delle nuove generazioni miste, bi-razziali e multirazziali? Che ruolo potrebbero avere nello sviluppo positivo di una Società?

Credo che basti un semplice test del DNA per scoprire che, in fondo, siamo tutti multirazziali (qualunque cosa questo significhi). Semplicemente la gran parte di noi, a livello psichico, nega questa realtà per chiudersi nella più facile scorciatoia identitaria.

Provocazione a parte, credo che le persone che sono direttamente discendenti (figli/nipoti) di popoli ed etnie differenti possono apportare enorme valore a una società, soprattutto se fanno lo sforzo di coltivare entrambe le appartenenze culturali per dare vita a qualcosa di nuovo.

Quali sono, secondo te, e vista dalla prospettiva di un italiano autoctono della vecchia generazione, gli errori che spesso commettono gli afro-discendenti d’Italia, nell’autodeterminarsi e trovare la propria posizione in questo Paese?

Mi porti su un terreno molto complesso, a partire dal termine “afro-discendente” che non so quanto sia appropriato per descrivere una realtà di comunità che, fortunatamente, hanno ancora forti radici nei singoli Paesi di origine (Senegal, Ghana, Nigeria, Etiopia, ecc.).

Ad ogni modo, da osservatore esterno, credo poco alle soluzioni “comunitariste”, che ritengo sterili copia-incolla di qualcosa che (non) funziona nei contesti anglosassoni, e ancora meno alle ricette “one-size-fits-all”.

Consiglio invece a ciascuno di percorrere la strada, ben più faticosa, di conoscersi nella propria irripetibile unicità. Di capire cosa si sa fare meglio e investire su questo. Migliorarsi. Appassionarsi a risolvere problemi per gli altri (caucasici inclusi!) e crescere come persone, aziende, comunità.

Credo ci siano grandi spazi legati all’imprenditoria di origine africana in Italia, che non vengono colti semplicemente perché tanti giovani italo-africani, cresciuti in Italia, hanno respirato quel clima di indolenza e sfiducia nel futuro che ahimè caratterizza l’Italia degli ultimi decenni. Vedo troppa gente perdere tempo dietro illusioni di “startuppismosiliconvalleyano, tanto rischiose quanto lo sono i percorsi di “attivismo” che, di fatto, necessitano sempre dell’aiuto delle istituzioni per sopravvivere e crescere. Dimenticandosi che fare gli imprenditori significa essere indipendenti e, in fondo, andare a dar fastidio a qualcuno per creare qualcosa di nuovo, di unico.

Studiare e fare impresa è anche il modo più logico per creare nuova ricchezza e, con questa, finanziare battaglie culturali, sociali e politiche.

Che consigli ti sentiresti di elargire alla nuova generazione 3.0, dall’alto della tua esperienza euro-africana, fin qui acquisita?

Abituarsi a rischiare ogni giorno. Meglio fare dieci piccoli salti e cadere cinque volte, che sognare di farne uno grande restando bloccati in attesa del “momento giusto”.

Il momento giusto per iniziare? Oggi. Quello per non fermarsi? Domani.

Per chi è imprenditore, consiglio di essere attivo nel nostro gruppo Facebooke di seguire Vadoinafrica Business Summit, grande evento online in arrivo il 2-3 Ottobre.

 

Per scoprire la rete italo-africana creata da Martino: www.vadoinafrica.com/community

Grazie Martino, per la tua disponibilità. E’ stato un vero piacere ospitarti in un blog che tratta della multi-razzialità da tutti i punti di vista. E grazie per l’opportunità che dai alle persone di creare rapporti tra di loro, sicuramente professionali, ma anche, e soprattutto umani.

 

Grazie a te Luisa e avanti così!

 

Un regalo per te, Martino!!!

 

 

 

@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy ,  MBA Metissage & Métissage SangueMisto. 

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