Inizialmente, agli arbori, la mia vita professionale doveva ruotare attorno all’Archeologia Africana e agli studi di Africanistica, che avrebbero incluso le nozioni che avevo assimilato di Antropologia Evoluzionistica/Fisica. Poi, la vita, fa il suo mestiere e ti gioca i suoi tiri mancini, scompigliando, deliberatamente o meno, il tracciato che ti eri segnata. Ciò nonostante la forte passione è rimasta, come la collaborazione incessante, con altri studiosi, in vari progetti, soprattutto progetti che, in gergo, chiamiamo “Auto-archeologia“, cioè studi e ricerche svolte dalla stessa persona, in un team di altre persone, con lo stesso scopo e finalità.
E’ con particolare interesse che oggi vi presento, Rachel Ama Asaa Engmann, una professoressa associata in African Studies Critical Social Inquiry e direttrice del progetto del patrimonio archeologico di Christiansborg, in inglese, in lingua Ga eTwi. Ha ricevuto un B.A. in antropologia alla Columbia University, un master in antropologia museale alla Columbia, un master in patrimonio alla Stanford University e un dottorato in archeologia alla Stanford University. È particolarmente interessata alla decolonizzazione degli approcci al patrimonio. Ha tenuto numerose conferenze e seminari in Africa, Stati Uniti, Europa, Asia, Caraibi e Medio Oriente, oltre che ad aver pubblicato diversi libri e articoli su African Art, African Archaeological Review, Africa, African Studies Review, Cambridge Archaeology, Community Archaeology and Heritage, African Diaspora Archaeological and Heritage, UNESCO Annual Report e molti altri.
Racconta che da bambina è cresciuta con la convinzione che la sua famiglia discendesse da un missionario cristiano danese di stanza sulla costa della Guinea (l’attuale Ghana). Circa 13 anni fa, sua zia le disse di andare a “The Castle” e di cercare il suo nome inciso su un muro. Intendeva il cognome di famiglia, Engmann. Un po’ perplessa, prese appuntamento per visitare il castello, che, all’epoca, era occupato dal presidente del Ghana. Al castello incontrò il consigliere speciale del presidente e le fece visitare il castello. La zia aveva ragione. Nel cortile, scoprì una cisterna d’acqua con su scritto il nome, Carl Gustav Engmann.
Consultò, così, lo storico di famiglia, il prozio Jorgen, che aveva compilato un immenso albero genealogico. Si recò, poi, agli archivi nazionali danesi, a Copenaghen, dove esaminò i manoscritti d’archivio relativi al castello di Christiansborg e alla costa della Guinea, risalenti al diciottesimo secolo. Carl Gustav Engmann non era, come la sua famiglia aveva sempre pensato, un missionario. Lei era la pronipote di Carl Gustav Engmann, governatore del castello di Christiansborg (1752–1757) e di Ashiokai, la figlia di un capo Osu.
Il castello di Christiansborg, patrimonio mondiale dell’UNESCO, è un’ex stazione commerciale del XVII secolo, sede del governo coloniale danese e britannico e ufficio del presidente della Repubblica del Ghana. Rachel è la prima ricercatrice a cui è stato concesso l’accesso al castello di Christiansborg per condurre il primo scavo archeologico del sito. In qualità di ricercatrice principale e discendente diretta, lavora con altri discendenti diretti Danesi-Ga e tracciano le loro genealogie familiari, sia attraverso archivi scritti, che storie orali, tra il XVII e il XIX secolo. I Danish-Ga erano direttamente e indirettamente coinvolti nella tratta degli schiavi transatlantica in modi molteplici e complessi. L’eredità dei loro discendenti è quella dei commercianti di schiavi, tuttavia, regolarmente assenti nella documentazione storica scritta. Il suo progetto archeologico studia la tratta degli schiavi transatlantica danese dal punto di vista dei commercianti di schiavi Danesi-Ga. Pertanto, la storia e le eredità che porta alla luce non sono solo la sua storia, ma le storie di molti altri come lei.
Il suo scritto “Autoarchaeology: Decolonizing Thought, Method and Praxis” nel Journal of Community Archaeology and Heritage del 2015, introduce un approccio esperienziale, work-in-progress e decolonizzante, al patrimonio archeologico del castello di Christiansborg che lei stessa chiama autoarcheologia.
Il Castello
Il castello di Christiansborg si trova a Osu, Accra, in Ghana, sulla costa dell’Africa occidentale, precedentemente e notoriamente conosciuta come la tomba dell’uomo bianco. Imponente fortificazione imperiale, il castello comprendeva un cortile, quartieri residenziali, magazzini, segrete, cappella, la “scuola dei mulatti“, cisterna e torre dell’asta. Danesi, Ga e Danesi-Ga vivevano, lavoravano e facevano schiavi nel castello. Vi era un governatore, civili, un chirurgo, un cappellano e soldati. Il lavoro degli “schiavi del castello” (ad esempio domestici, artigiani, operai e canoisti) includeva anche la supervisione degli africani prigionieri che erano stati incarcerati nel castello, prima della loro deportazione nelle Americhe.
Il commercio al castello dipendeva da alleanze politiche ed economiche strategiche tra Ga, Danesi e, più tardi, Danesi-Ga, individui e comunità. I danesi erano attori europei minori che affrontarono una feroce concorrenza olandese e inglese sulla costa, una crisi economica, debolezze militari e pesanti perdite in mare. Pertanto, i Danesi hanno collaborato con il popolo Ga per promuovere le loro ambizioni politiche ed economiche. Allo stesso modo, i Ga sfruttarono le possibilità socioculturali, economiche e politiche rappresentate dalla tratta degli schiavi transatlantica.
Al castello, oro, avorio e africani in cattività venivano scambiati con una combinazione di polvere d’oro, conchiglie di ciprea e/o oggetti commerciali (ad esempio pistole, polvere da sparo, liquori, ferro, articoli per la casa, oggetti in ottone, stoffa e perline). Il castello di Christiansborg era così vitale per l’economia danese che tra il 1688 e il 1747, venne coniato una moneta danese che raffigurava un’immagine del castello, con l’iscrizione “Christiansborg”.
Tra il 1660 e il 1806, la tratta degli schiavi transatlantica danese trasportava circa 100.000 – 126.000 africani, circa il 2% del commercio di schiavi transatlantico totale. Gli schiavi africani furono trasportati alle isole di St. Croix, St. John e St. Thomas, nelle West Indie danesi.
Durante la tratta degli schiavi transatlantica danese, le relazioni sociali e familiari Danese-Ga ebbero un ruolo significativo. Gli uomini danesi stabilirono rapporti con donne Ga e avevano figli Mixed Danesi-Ga. Gli individui e le famiglie Danesi-Ga , erano élite politiche e commerciali che formavano importanti comunità costiere creole cosmopolite. Come Danesi-Ga, i loro nomi, status, potere e ricchezza furono rappresentati attraverso la pratica sociale e materiale. Ad esempio, l’uso di oggetti personali, vestiti, mobili e articoli per la casa importati, era solo un mezzo attraverso il quale veniva eseguita e messa in atto l’auto identificazione. Ciò era significativo, poiché distingueva tra i commercianti di schiavi che approfittavano della tratta degli schiavi e quelli che erano ridotti in schiavitù.
L’ auto-archeologia nell’era dei Trowel
In auto-archeologia, le posizioni tematiche di un ricercatore, un professionista e un discendente sono detenute dalla stessa persona. Mette in primo piano esplicitamente il Sé. Poiché il lavoro archeologico è uno sforzo collettivo, il Sé in questione non appartiene solo al ricercatore primario; qui, possiamo parlare di molti Sé.
L’auto-archeologia è, contemporaneamente, archeologica, antropologica e autobiografica. Utilizza i processi di ricerca tradizionali dell’archeologia storica e dell’etnografia archeologica, ma è esplicito su quanto sia inestricabilmente intrecciato il personale con questo processo. Di conseguenza, il suo obiettivo risiede nella nozione di esperienze personali ed emotive condivise. È un processo e un prodotto autocosciente e riflessivo, che riconosce esplicitamente i discendenti diretti di un sito del patrimonio, come produttori di conoscenza, sottolineando allo stesso tempo le molte, intricate e contingenti narrazioni e contro-narrazioni che circondano la produzione di conoscenza.
Il lavoro archeologico al castello comprende scavi, fotografie, riprese di documentari ed etnografia nell’ambito del progetto del patrimonio archeologico di Christiansborg. Insieme, si progettano domande di ricerca, ipotesi e interpretazioni del materiale raccolto.
Rachel spiega: “ad oggi, abbiamo scavato un vasto insediamento precoloniale. Ciò include le fondamenta della casa e una cucina. Abbiamo anche recuperato una vasta collezione di manufatti locali ed esteri: perle di commercio africane (prodotte in Italia e Olanda); ceramiche cinesi, europee e locali; pipe in argilla africane ed europee; cristalleria europea. Altri piccoli reperti includono ardesia da scrittura, resti faunistici, semi, metalli, pietra, daub, conchiglie di ciprea e altre conchiglie. Questi oggetti forniscono la prova dei modi in cui il castello era solo un nodo all’interno di un’ampia rete commerciale globale. Con l’assistenza di pescatori locali, abbiamo trovato un cannone immerso nella sabbia, caduto dal castello sopra, sulla spiaggia sottostante. Sotto il castello, abbiamo anche scoperto l’ingresso a un tunnel sotterraneo che si dice conduca alla vicina Richter House, precedentemente di proprietà di un commerciante di successo, Mixed Danese-ga . Questo tunnel indica che gli africani prigionieri venivano trasportati dalla casa, direttamente su navi di schiavi in mare, ed evitare, così, la fuga o l’insurrezione. Una simile strategia clandestina significava anche che la tratta di esseri umani continuò a perpetuarsi, anche dopo l’abolizione della schiavitù”.
Decolonizzazione del patrimonio archeologico
L’auto-archeologia conferisce un’opportunità e una prospettiva uniche, nonché l’accesso a forme e pezzi di conoscenza che spesso non sono facilmente condivisi. Lo studio dei commercianti di schiavi vive, a livello microstorico, e crea un copione alternativo all’approccio euro-africano, enfatizzando le voci, le scelte e le risposte locali nella storia della tratta degli schiavi transatlantica. Privilegiare i discendenti diretti dei commercianti di schiavi euro-africani, come produttori di conoscenza e narrazioni, arricchisce la comprensione delle storie e dei retaggi di traumi e violenza. Getta nuova luce sulle questioni del retaggio, della discendenza, della vergogna e del senso di colpa trans-generazionali. L’auto-archeologia si impegna anche a riconoscere e includere i discendenti diretti nella ricerca e nel lavoro sul campo. In definitiva, contesta la legittimità, l’autorità e gli autoproclamati diritti esclusivi degli archeologi come amministratori, interpreti e narratori del passato materiale. E così facendo, l’auto-archeologia rappresenta solo un approccio a un patrimonio archeologico decolonizzato.
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. Mi trovi anche sul Canale Telegram, e su ClubHouse come @wizzylu.