Ieri sera ero a cena con un bellissimo gruppo di amici, di tutte le provenienze e dai vissuti molto variegati. Cena altrettanto variegata, a base di menù nigeriano, indiano e portoghese, con qualche richiamo alla cucina turca e berbera; un pot-pourri per rimarcare come in casa mia non vi sia mai una mono-culturalità, nemmeno nei pasti e che, anche il cibo è cultura, perché stimola la curiosità e la conoscenza tra gli individui di origini e tradizioni diverse. La tavolata era comunque composta, tutta, da persone che hanno viaggiato e vissuto in altre nazioni, chi per lungo, chi per corto tempo, sufficiente, però, ad aver acquisito una capacità di comprensione e di analisi di certe dinamiche culturali.
Non potevamo quindi che parare sul tema del giorno: l’enorme polemica suscitato dal nuovo teaser/trailer del nuovo film di Beyoncé. Un argomento che ha stupito pure me, per i pochi elementi su cui la polemica è montata. Stiamo parlando di un teaser di 1 minuto e 10 secondi, dove 4 fotogrammi (dico 4!!!!) con tema cultural/ancestors ha scatenato l’inferno. E’ uscito di tutto e di più e la cosa mi ha decisamente fatto capire come il genere umano, di qualsiasi estrazione culturale sia, sia naturalmente propenso alla provocazione, alla polemica ed alla contrarietà, a prescindere. Ma andiamo con relativo ordine. E tenetevi ben presente tutti i concetti chiave che scriverò in maiuscolo al fine di far vi capire il contesto di questa bizzarra discussione.
Il 28 Giugno, Beyoncé Giselle Knowles, altrimenti chiamata Queen B, Queen Bee, Yoncé, Queen Bey o Honey B, coniugata Carter (per capirci, con il rapper multi tutto Jay-Z, da cui ha avuto 3 figli, Blu Ivy ed i gemelli Sir e Rumi), ex voice delle Destiny’s Child (gruppo che io ho personalmente adorato per buona parte della mia vita!), ha annunciato il suo nuovo visual album, Black is King, che arriva dopo anni rispetto a Lemonade (2016) e appena dopo il singolo Black Parade, uscito il 19 giugno, ovvero nel giorno di Juneteenth, quello in cui si commemora la fine della schiavitù e si celebra l’emancipazione dei neri dalla schiavitù stessa.
Ma cos’è esattamente un visual album?
Si tratta di un termine utilizzato da iTunes per indicare quei dischi che non contengono soltanto musica ma anche tracce video. E Beyoncé può essere considerata la regina di questo progetto: nel 2013, senza preavviso e senza pubblicità, aveva pubblicato il suo primo visual album su iTunes, registrando un record assoluto di vendite nelle prime 24 ore.
Black is king si basa sulle musiche di “The Lion King: The Gift”, e vede nel cast gli artisti che hanno partecipato all’album e alcuni ospiti speciali. I video delle canzoni “My Power”, “Mood 4 Eva” e “Brown Skin Girl” sono stravaganze dotate di eleganza e anima. Il film è una storia per i posteri che informa e ricostruisce il presente. Un’unione di culture e credi condivisi tra le generazioni. Una storia di come queste persone così provate abbiano un dono straordinario e un futuro importante. E un’unione tra passato e presente.
Queen B, ha spiegato quanto e come abbia lavorato nell’ultimo anno per un progetto che ha scritto, diretto e prodotto personalmente e che sarà disponibile su Disney+ a partire dal 31 luglio 2020 ed è stata anche l’occasione per dimostrare come ogni esperienza della sua carriera lasci per lei il segno. Black Is King, come recita il comunicato stampa, “reinventa le lezioni di “The Lion King” per i giovani re e regine di oggi alla ricerca delle loro corone“. Beyoncé, appena l’anno scorso, aveva partecipato alla colonna sonora del live-action di “The Lion King” e aveva dato la voce a Nala. La lezione di quel film d’animazione non l’ha dimenticata e, anzi, l’ha fatta sua per creare, sulla falsariga di quella trama, un’epopea dei neri che la Storia non ha mai raccontato. Parla di amore, ricerca di se stessi e della propria identità ATTRAVERSO LA GUIDA E LA FORZA DEGLI ANTENATI. E tutto questo perché ognuno ritrovi il proprio orgoglio, un posto nel mondo, la propria casa, il proprio trono e la propria corona. Basta pensare a Mufassa quando dice a Simba “Ricordati chi sei. Tu sei mio figlio e l’unico vero re!“.
Potremmo parlare all’infinito delle tematiche nobili de “Il Re Leone“, come, per esempio, gli insegnamenti e le lezioni di vita che Simba acquisisce nella metamorfosi della sua vita. O l’Hakuna Matata di Timon e Pumbaa (si può davvero vivere senza pensieri?) in cui è rinchiusa tutta la filosofia del reagire alle apparenti avvilimenti della vita con coraggio anziché da impotenti spettatori dinnanzi a ciò che sfugge al nostro controllo; o, ancora, l’esortazione del saggio babbuino Rafiki a sottolineare quanto è fondamentale ricordarsi chi si è e quanto sia impossibile fuggire dalle proprie origini per quanto lontano si tenti di scappare. Alla domanda “Tu chi sei?” non dovremmo esitare come Simba, ma essere fedeli a noi stessi, imparare dai traumi del passato e crescere in un giusto mix di spensieratezza e responsabilità: lasciarsi scivolare addosso quello che non possiamo controllare, vivere possibilmente “senza pensieri”, e allo stesso tempo rialzarsi e prendere di petto le situazioni difficili. Solo così potremmo vincere l’unica sfida della vita, quella appunto con noi stessi.
E che dire, infine, del concetto rinchiuso nel “cerchio della vita”? Come il sole che sorge e poi tramonta, ogni essere vivente è parte integrante del grande cerchio della vita. Ogni essere vivente sulla terra, prima o poi, è destinato a scomparire ma, come spiegato anche da Mufasa, diventerà erba e quest’erba diventerà il sostentamento di altri esseri viventi per poter continuare il cerchio della vita. Per quanto piccola ed insignificante possa sembrare la propria esistenza, rispetto alla grandezza della natura, della storia, e di tutto quello che c’è stato prima di noi e che ci sarà dopo, è necessaria affinché il cerchio possa esistere e rigenerarsi, giorno dopo giorno, come un “fiore che fine non ha”. E in questo immenso ciclo di vita, speranza e morte, è bene ricordare che i “grandi re del passato ci guardano da lassù”.
L’opera di Beyoncé RE-IMMAGINA I TEMI DEL “RE LEONE” per accompagnare le giovani regine e i giovani re di oggi nel viaggio personale alla ricerca della propria corona. Il film è stato in produzione per un anno, con un cast e una troupe (in maggioranza Nigeriana, Ghanese e Sud Africana) che rappresentano la diversità e l’inclusione. Tra gli artisti coinvolti, oltre al marito Jay-Z e la figlia di otto anni Blue Ivy Carter, ci sono anche Kendrick Lamar, Childish Gambino, Pharrell, 070 Shake, Tierra Whack, Jessie Reyez, e un’ottima selezione dei migliori artisti africani in circolazione come Wizkid, Shatta Wale, Burna Boy, Mr. Eazi, Tiwa Savage, Teckno, Yemi Alade, Busiswa, e Salati (Tutta gente di calibro che stimo profondamente, anche se non mi piace l’arte di qualcuno).
E’ un viaggio attraverso la BLACK CULTURE che CELEBRA la BELLEZZA delle ANCESTRALI e attuali tradizioni, L’ECCELLENZA NERA e la loro resilienza. I viaggi delle famiglie nere, attraverso il tempo, sono onorate in un racconto sul viaggio trascendente di un giovane re, attraverso tradimento, amore e identità. I suoi antenati lo aiutano guidandolo verso il suo destino, e con gli insegnamenti del padre e la guida del suo amore d’infanzia, guadagna le virtù necessarie per reclamare la sua casa e il suo trono. Queste lezioni senza tempo sono rivelate e riflesse attraverso le voci nere di oggi.
Le forti immagini del trailer ci trasportano immediatamente all’interno del viaggio intrapreso dall’artista. Colori, danze, abiti, profumi e usanze che SONO PROFONDAMENTE RADICATE nel TERRITORIO AFRICANO.
Nella caption Instagram, in cui presenta il lavoro per Black Is King, lei stessa dice che non si sarebbe immaginata che questo potesse avere uno scopo più grande di quello per cui era nato:
“Buona domenica! […] Black Is King è un lavoro fatto d’amore. È il mio progetto di passione che ho filmato, ricercato e montato giorno e notte l’anno scorso. Ho dato il massimo e ora è vostro. È stato originariamente filmato come un pezzo della colonna sonora di “The Lion King: The Gift” e voleva celebrare la grandezza e la bellezza degli antenati neri. Non avrei mai immaginato che un anno dopo, il duro lavoro svolto per questa produzione avrebbe avuto uno scopo più grande.
Gli eventi del 2020 hanno reso la visione e il messaggio del film ancora più rilevanti. E questo accade mentre le persone di tutto il mondo si impegnano in un viaggio che ha valore storico. Siamo tutti alla ricerca di sicurezza e di luce. Molti di noi vogliono cambiare. Quando i neri raccontano la loro storie si possa spostare l’asse del mondo e raccontare storia VERA di ricchezza generazionale e di ricchezza di anima, quella che non è raccontata nei nostri libri di storia.
Con questo visual album ho voluto presentare pezzi della storia nera e della tradizione africana, con un tocco moderno e un messaggio universale. E ho voluto mostrare cosa significa veramente trovare la tua identità personale e costruire un retaggio.
Ho trascorso molto tempo esplorando e assorbendo le lezioni delle generazioni passate e la ricca storia delle diverse usanze africane. Mentre lavoravo a questo film, ci sono stati momenti in cui mi sono sentita sopraffatta, come molti altri nel mio team creativo. È stato, però, importante creare un film che instillasse orgoglio e conoscenza.
Spero solo che guardarlo vi ispiri a continuare a costruire un’eredità che abbia un enorme impatto sul mondo. Prego che tutti vedano la bellezza e la resilienza della nostra gente.
Questa è la storia di come le persone DISTRUTTE abbiano doni STRAORDINARI. Grazie a Blitz, Emmanuel, Ibra, Jenn, Pierre, Dikayl, Kwasi e tutti i brillanti creativi. Grazie alla Disney per aver dato a questa donna nera l’opportunità di raccontare questa storia.
Questa esperienza è stata un’affermazione di uno scopo più grande. Il mio unico obiettivo è che lo vediate con la vostra famiglia e che siate orgogliosi”.
Ancora una volta Beyoncé, figlia MIXED di un discografo afro-americano e una stilista di discendenza creola, ha fatto da amplificatore alla voce dei neri, lei che si è sempre esposta in prima persona. Lo ha fatto durante la pandemia per il Covid-19, quando ha raccontato come la comunità nera fosse una delle più colpite negli Stati Uniti, e lo ha fatto in diverse occasioni in passato, quando per esempio ha celebrato Halloween 2018 con delle foto su Instagram in cui lei vestiva i panni di Florence Griffith-Joyner, velocista che nel 1988 conquistò il podio delle Olimpiadi di Seul, e con Jay-Z, che faceva riferimento al pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968.
Tutto questo, evidentemente non è stato sufficiente. Gli Haters, i polemici ed i pignoli dell’ultima ora si sono presentati al cospetto di Twitter e tutti gli altri social , sciorinando tutta una serie di accuse, dissensi, rivendicazioni, riprensioni ed attacchi verso 1 minuto e 10 secondi di filmato. Alcuni intellettuali hanno iniziato a contestare Beyoncé come persona, la rappresentazione e la mercificazione del suo essere nera (O NON NERA ABBASTANZA!!!), l’omogeneizzazione e la romanticizzazione dell’Africa.
Lo stesso è iniziato sulla mia tavolata con i miei ospiti multietnici-culturali-razziali. Samira inizia a polemizzare sul fatto che il trailer le ha ricordato The Gift del 2019 in quanto entrambi i progetti integrano e amalgamano la cultura africana. Dice: “Quando ho ascoltato l’album, The Gift, la mia prima critica è stata che Beyoncé ha RACCONTATO SOLO il Sudafrica e la Nigeria, i due principali paesi che sono spesso “conosciuti” al di fuori dell’Africa. Ma c’è molto di più nel continente che quello. Questo teaser è “troppo”.
Ha cercato di riunire una pletora di culture e costumi diversi in una rappresentazione singolare dell’Africa, qualcosa che attribuisce a un effetto del colonialismo. “
Hannah rincara la dose: “La gente pensa all’Africa come a un paese, ma l’Africa è composta da 54 paesi e diversi gruppi etnici e questi diversi gruppi etnici hanno una loro storia e un loro modo di vivere. Quindi Beyoncé parla di un intero continente come di questo grande gruppo familiare, non ha senso “.
Bruno, che ammette (SOLO ALLA FINE) di non aver nemmeno visto il teaser, ma ha letto “qualcosa su Twitter”, arriva, poi, con la ciliegina: “il trailer attinge a un effetto collaterale del colonialismo, un processo in cui le nostre terre sono state rubate, interrompendo la nostra storia, cultura e le nostre vite e siamo convinti che ciò che eravamo prima del colonialismo fosse migliore. Questa idealizzazione non è per nulla veritiera. L’Africa prima del colonialismo non era un paradiso. L’Africa prima del colonialismo non era un luogo in cui tutti erano un re o una regina. L’Africa prima del colonialismo era piena di imperialismo africano – regni che si combattevano, schiavitù nei regni, oppressione di classe, oppressione delle donne – quindi ciò che Beyoncé ci ritrae è quel racconto che,” Oh, eravamo tutti re e regine “.
Sammy coglie la palla al balzo per ricordarci come Beyoncé ha emulato, nella sua “Coachella”, regine africane come Cleopatra e Nefertiti, spesso usate come esempi di donne che hanno prosperato in un’epoca in cui la maggior parte della popolazione era, in effetti, oppressa . Ci ricorda come queste regine che adoriamo, idolatriamo, romanticizziamo e con cui vogliamo relazionarci, senza renderci conto del contesto da cui provengono, sono spesso oggetto di esempio per dire che “prima del colonialismo, le donne africane erano immense”.
Al che Viola, giustamente chiede, cosa intendano precisamente Bruno e Sammy con questo discorso.
Viene prontamente accontentata. “Cleopatra – dice Bruno – non era una tipica donna media africana. Beyoncé non ci ha mostrato una tipica donna media africana. Non tutti i neri erano un re, non tutti i neri avevano il potenziale per essere un re. Ciò è particolarmente importante da ricordare considerando che, nel contesto del continente africano, alcuni gruppi etnici vivono ancora con dolore i traumi generazionali che i loro antenati hanno subito durante questi periodi di monarchia. Il mio antenato era uno schiavo nel regno prima del colonialismo, quindi che dovrebbe significare per me Black Is King? “
Sammy, poi, aggiunge, che questa glorificazione e romanticizzazione sono problematiche che scoraggiano il progresso, poiché inducono le persone a guardare al colonialismo come causa di tutti i mali, non riuscendo considerare gli altri fattori che, invece, potrebbero averlo influenzato/causato. È problematico, anche perché ci impedisce di immaginare un’Africa migliore. Rimanendo ancorati all’idea di un passato glorioso, pensiamo che ciò che eravamo fosse migliore. Quindi ci impedisce di andare avanti; ci impedisce di vedere che ciò di cui il continente africano soffre oggi, non è solo a causa del colonialismo. Ciò che il colonialismo ha fatto, non è stato introdurre le varie forme di oppressione (quelle c’erano già); è stato, invece, modellarle in base alla religione ed ai diversi modi di essere europei.
Samira continua dicendo che Beyoncé gioca una visione antiquata del continente africano e delle persone dei paesi occidentali. Sta contribuendo a quel tipico comportamento del white savior, che non è mai stato nel continente africano, ma ora ci viene e si comporta come se sapesse di cosa hanno bisogno gli africani. Ma lo sanno i neri d’America – argomenta – che gli africani si svegliano alla mattina e twittano come loro?
Io, ormai, avevo il latte alle ginocchia, ma come ogni eccellente padrona di casa, ho mantenuto il mio classico a-plomb ed ho lasciato che la discussione seguisse il suo corso. Interessante per certi versi, ma di una zero attinenza con il tema principale. Nei miei pensieri si è finalmente inserita Patty, l’intellettuale più umile e moderata che io abbia mai conosciuto (a parte Noam Chomsky e il Prof. Steven Strauss J ).
“C’è anche la questione dell’appropriazione culturale, ragazzi!!”. Dice. A me vien già male! Giuro! Avevo le mani tra il mio viso, ormai, sconcertata e terribilmente basita!
Continua Patty: “E’ sconvolgente il fatto che Beyoncé non abbia nessuna connessione con il continente africano; non ha nemmeno mai fatto un tour lì“……. ALTOLA’!!!! Non sono riuscita a star zitta.
“Patty – borbotto stizzita – che io sappia al 100%, ha fatto concerti in Egitto, Etiopia, Sud Africa e in Nigeria (qui c’eroooooo!!!) il 7 Ottobre 2006, presso il Lagos Polo Club ha cantato l’inno nazionale nigeriano, portando tutti i presenti alle lacrime per la voce strepitosa che aveva.“
Ascoltatela per bene!!!!
Per un attimo si sono accorti che c’ero anch’io, l’unica persona lì presente che forse era intitolata a parlare di Africa, avendolo sì, studiato profondamente, sui libri, come loro, ma essendoci anche nata, cresciuta, vissuta ed attualmente cittadina a tutti gli effetti; mie intime, personali e famigliari sono le esperienze vissute qui, dal villaggio remoto in mezzo alla foresta al nuovo litorale di Banana Island…. e con uno sguardo un po’ così.. tra il “vuoi dire qualche cos’altro?” e il ” dicevo….”, Patty continuò imperterita:
“E va beh! Fare una visita di due giorni in Nigeria, non significa conoscerla. Vedere qualcuno (Queen B) che non fa parte del Continente e che cerca di incarnare, contemporaneamente, diverse culture, mette in imbarazzo, poiché non conosce il contesto in cui sono inserite. Non è possibile , per un artista senza radici nel continente, attingere autenticamente alla cultura e rappresentarla in modo rispettoso e non mercificato. Lei è stata bravissima ed autentica in Lemonade e Coachella, perché ha studiato molto bene la storia del dolore black americano e lo ha usato con cura perché ha potuto relazionarsi con esso. Ne fa parte. Quindi lo ha potuto vendere autenticamente. “
Nella tavolata è piombato un silenzio surreale e, mi sono accorta solo poi, che avevo tutti gli occhi puntati addosso. Evidentemente si aspettavano tutti un mio intervento. Ed io ero più che pronta!!!
Ok! Giovanotti e giovanotte. Avete scuoiato questa Queen B, in tutto e per tutto. Mi concedete solo una semplice domanda? Quale avrebbe dovuto essere il suo atteggiamento nel realizzare questo film? Cosa avreste fatto voi, al suo posto?”. Ero sicura di aver preso miei gattini nel sacco. Ero curiosa di sapere, praticamente e tangibilmente quale sarebbe stata la loro soluzione.
Bruno, con piglio deciso, disse che Beyoncè avrebbe dovuto trovare persone africane nel continente o al di fuori del continente che conoscano le storia, la cultura e le tradizioni di ogni singola nazione; persone (studiosi) con i quali trovare un modo per collegare ciò che significa decolonizzare il panafricanismo nell’ arte.
Tutto qui, chiesi io? E gli altri che dicono? Le risposte, ovviamente, erano tutte, in un modo o nell’altro, allineate a quelle di Bruno. Samira, si decise, finalmente, di chiedermi che ne pensavo.
Sappiate che anch’io ho la mia copia del libro usato nelle riprese, acquistato in un bottegghino a Ikoyi (Nigeria), qualche annetto fa!
Innanzitutto lasciatemi dire che stiamo e stanno tutti parlando, criticando e giudicando un film che ancora non è uscito e di cui non sappiamo nulla da poterci permettere di entrare così, a gamba tesa, nella storia pre-coloniale dell’Africa. Fare questo, semplicemente perché sono passati 4 fotogrammi in cui vi sono pitture in faccia, piume e pelli leopardati sui corpi e danze tribali in atto.. beh.. mi pare alquanto superficiale e indice di una voglia irrefrenabile di sciorinare tutta l’enciclopedia storia-culturale economica che si è studiato all’università.
Avete portato tutte argomentazioni piuttosto valide, ma, dal mio punto di vista, molto discutibili. Il titolo del film è Black is King, e riflette l’arte dei neri, con influenze della cultura nera e americana. Qualcuno ha mai sentito parlare di self-reflection? Quella capacità di esercitare l’introspezione e di cercare di conoscere meglio la propria natura e la propria fondamentale essenza?
1)”Trovare persone con le quali realizzare un modo per collegare ciò che significa decolonizzare il panafricanismo nell’ arte?” Quindi state sostenendo che il cast, lo staff e la troupe di cui si è avvalsa Queen B (Nigeriani, Ghanesi, Sud Africani, qualche Mozambicano e di altre nazionii) non sono sufficientemente africani? Non sono abbastanza afferrati sulla storia, cultura e tradizioni del loro paese e della loro nazione? Bene.
2) L’Africa ha 54 Nazioni. Ebbene? Avrebbe dovuto rappresentare ogni singola tradizione di ogni singola nazione? E che dire poi delle singole etnie (in Nigeria ne contiamo 200) che fanno parte della stessa nazione? Ma seriamente fate un discorso del genere? Non vi sembra retorica miserabile di bassa lega? Eppure si parla tranquillamente di “europeo” in termini generali, nessuno vi polemizza contro chiedendovi di specificare ogni singola nazione, perché (e parlo in termini generalizzati) i paesi europei possono essere usati in modo intercambiabile. Invece, se si tratta di Africa, diventa fondamentale vivisezionare il discorso?
Prendere degli elementi comuni che identificano quello che è stata la storia (perché di storia parliamo, DI ANTENATI) del continente non va bene? Gli abiti in pelle leopardata, per esempio, ha accomunato tutti i re dalla fascia sub sahariana fino alla punta Sud estrema. I riti tribali, pure. Accomunano tutte le popolazioni africane, con segni, disegni ed accessori particolarmente identificativi. Non viviamo nella savana? Seriamente? E dove viviamo? Tutti in Banana Island o Eko Atlantic? E la ricostruzione scenica in cui è ambientata la narrazione di questo bambino dovrebbe essere in questi posti? Solo per acquietare il vostro senso di wakandanesimo? BLACK è un AGGETTIVO, NON una NAZIONE! Black è un modo di essere ereditato dai nostri antenati, quegli stessi antenati che irrispettosamente state denigrando, oggi, nelle loro usanze, tradizioni e cultura. Mi dà un po’ l’impressione di quei discorsi in cui ti si dice che sei nero, ma non abbastanza nero per essere nero.
3) Appropriazione culturale? E quale sarebbe, scusate? Se mi avete negato tutto ciò che richiama e rievoca il passato degli antenati, di che appropriazione culturale stiamo parlando? Pitture sulla faccia, no! Pelle di leopardo, no! Correre nella savana, No! E quindi? Di cosa si sarebbe appropriata, se l’Africa non è più quello che ha rappresentato? I neri accusano i neri di appropriazione culturale. O meglio, gli africani nel continente, accusando gli africani nella diaspora di appropriazione culturale. La cultura africana è il fondamento della cultura nera, non può appropriarsi di nulla perché è la sua stessa cultura. Si sta tuffando nelle sue radici, celebra la sua eredità e la mostra in modo artistico.
In questa fase sarebbe invece molto più interessante discutere sugli effetti e su come questo disco influenzerà il panorama per gli artisti africani coinvolti; un panorama a lungo trascurato, escluso dall’intrattenimento tradizionale. I film come “The Lion King” e “Black Panther“, nonostante l’affermazione planetaria, non hanno avuto successo nel cambiare le situazioni e le realtà degli artisti africani da cui sono ispirati. Beyoncé sta finanziando un progetto che mette in mostra e mette in primo piano la cultura, l’arte, le parole e le voci degli artisti africani.
Queen B non sta cercando di parlare PER gli africani. Sta parlando ad un pubblico afro-americano a cui è stata tolta, COMPLETAMENTE, l’identità e che si trova, da secoli, in grande difficoltà nel ricostruire la propria origine. Sappiamo che le voci che saranno presenti nel progetto saranno in gran parte musicisti africani, registi africani, stilisti africani e ricercatori africani. Uno come Busiswa sicuramente sa molto di più sull’esperienza Xhosa di chiunque altro, e questo, Beyoncé lo sa, motivo per cui partecipa al progetto.
L’arte dovrebbe riflettere LA NOSTRA esperienza o almeno l’esperienza di coloro che ci circondano; l’esperienza di Queen B non può provenire da nessun’altra esperienza che non sia Black. Non è un’esperienza radicalmente sua, perché parla di una Black Africa? Lei (e tutti gli afro-americani) dovrebbero avere accesso, senza essere giudicati di appropriazione culturale, al Continente Africa a causa di legami ancestrali. Hanno tutto il diritto di avvicinarsi, imparare , contribuire e partecipare alle culture con cui si identificano, dovrebbero avere il loro spazio. Criticarli per questo è decisamente non capire e non entrare in emaptia con la lacuna culturale della perdita delle proprie radici. Consiglierei a tutti di rivedersi le storie di Kunta Kinte in “Radici” giusto per rinfrescarsi la memoria e, magari, riuscire ad entrare nelle pieghe del dolore di non capire chi sei o a chi appartieni, storicamente parlando. Lei, come tutti gli afro-americani, è una discendente di africani venduti a causa dell’avidità; lasciatela ritrarre la bellezza che vede in Africa DALLA SUA PROSPETTIVA CREATIVA IN COLLABORAZIONE CON ARTISTI AFRICANI. Se ritenete di saper fare meglio, accomodatevi, producete anche voi un bel film e fatelo nel modo giusto. Fateci vedere esattamente come si fa.
Un progetto con queste premesse, dovrebbe invece essere sostenuto e celebrato nel suo significato più semplice. Il messaggio di questo progetto è semplice ed è quello di cambiare la narrazione che vuole il nero schiavo dalla nascita; non sono partiti come schiavi, dall’Africa, ma erano tutti re e regine prima di essere costretti alla schiavitù. Con re e regine non vuole significare persone con una corona in testa e con poteri politici ed economici, bensì persone libere.
E’ pure curioso che tale critica arrivi proprio da altre donne nere; si dovrebbe essere unite, proteggersii a vicenda nel mandare il messaggio, invece sono proprio loro a cercare di abbatterla. Cosa c’è che non va in questo odio? In questo bisogno costante di polemizzare?
Quando ci erigiamo a giudici di quest’artista, accusandola di “wakandificare” il Continente africano, non stiamo prendendo in considerazione la storia di ogni singolo afro-americano, che sente un forte impulso a ritrovare la propria identità. Ho, invece, la netta sensazione che gli stessi africani che si erigono a giudici, abbiano trascurato gran parte della propria cultura a favore della cultura occidentalizzata. Ed è per questo che si infastidiscono appena si cerca di rievocare gli antenati e le nostre trazioni ancestrali. Per alcuni è una vergogna. La maggior parte degli africani, nel continente, non conosce la sua vera storia, prima dell’età coloniale e vogliono misurare il successo del loro paese sulla base degli standard dei loro colonizzatori. Vogliono mostrare gli edifici, i bei ristoranti e club che l’Africa, usarli come metro di misura della ricchezza di un paese. Il Sudafrica, per esempio, chi lo possiede realmente? Inseguendo sempre la nostra storia e voler essere associati all’evoluzione europea non ci rende un vero africano!! Questo atteggiamento è tipico di menti indottrinate e colonizzate.
La “wakandaficazione” non è certo iniziata con Black Panther né con Beyoncé. Nel corso della storia, una grande quantità di artisti, luminari, intellettuali hanno portato avanti progetti e battaglie nel tentativo di relazionarsi con il continente. E poi… Wakanda è una versione glorificata di ciò che pensiamo possa essere l’Africa.
Usare Queen B per smantellare lo sforzo delle celebrità e tutto lo star system che si sogna di avvicinarsi alla storia, alla cultura e alle tradizioni delle 54 nazioni africane, è una cosa che ancora non avevo mai visto con questa foga. Praticamente, in un minuto e 10 secondi, Beyoncé viene messa alla gogna equiparandola a atleti, leader dei diritti civili, attori / attrici, autori, reality star, amministratori delegati, la luna, il sole … non vi sembra un’esagerazione? E poi … diciamo tutta, diamine!!! Non cogliete il punto!! E’ UN TRAILER di un film (entertainment – divertimento) che deve ancora uscire e che è legato/ispirato dal “Re Leone“, ciò sta a significare che non è rappresentativo SOLO dell’Africa moderna! Tutto questo sdegno e scandalo la trovo eccessivo e fuori binario, e come africana (nigeriana, per la precisione) piuttosto ridicola. Quando pensiamo da dove arrivano i nostri antenati, mica ce li immaginiamo da un Africa occidentalizzate in jeans, t-shirt e Twitter? Suvvia!!! Siamo seri!
Accettiamo lo sforzo di produrre una visione di un’artista (che può piacere o non piacere) a modo suo. E’ arte. E come tale è soggetta a critiche e giudizi soggettivi. Ma tirare in ballo la storia, il colonialismo, lo sfruttamento di un immagine stereotipata per costruire un trattato di antologia storica-antropologica della peggior fattura, mi sembra, tecnicamente, un gran bel sforzo per oscurarsi nell’oblio totale del nonsense.
Quoto serenamente ed orgogliosamente l’hashtag #blackempowerment.Tutto il resto è fuffa!
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage SangueMisto.