Per una come me che viaggia molto di frequente a tutte le latitudine e longitudini, non è difficile imbattersi in persone particolarmente stimolanti e fuori dai canoni e standard a cui siamo abituati nel paesello Italia. E’ normale. Come è normale e naturale allacciare conversazioni, apparentemente banali, ma intrise di una conoscenza reciproca, che, spessissimo, apre a mondi fino ad allora sconosciuti.
E così è stato in questi ultimi anni di lavoro su Métissage Sangue Misto. Ci eravamo lasciati un po’ di tempo fa con le storie, esperienze di vita e conversazioni, più o meno complesse, di Métissagers e Mixed in terra Italica. Interviste che hanno sortito un bell’effetto di interesse e coinvolgimento, anche in quella fascia di lettori del Blog che nulla ha a che fare con l’essere culturalmente e razzialmente misti, ma che trovano nelle nostre storie molti spunti di riflessione e di stimoli sul significato di “essere ponti” anziché persone che abbattono muri.
Io sono dell’idea … ma che dico! Ne sono fermamente convinta che nessun incontro è casuale. Ogni relazione, professionale, amicale, parentale o altro, ci offre la possibilità di scorgere una lezione da apprendere, di osservare le nostre dinamiche e superarle. Sono una preziosa palestra per la nostra evoluzione. Ciò che è raro non è tanto l’incontro quanto il riconoscimento reciproco e la capacità di vivere questa esperienza serenamente.
E che cosa ci impedisce di riconoscerci? Sicuramente ed inevitabilmente, noi stessi. Le nostre paure. E soprattutto ciò che di noi rifiutiamo. Ecco perché il viaggio alla ricerca dell’altro è soprattutto un viaggio alla ricerca di noi stessi, al recupero di quelle parti di noi meno amate che ci rendono difficile vivere pienamente una qualsiasi esperienza relazionale. Quando succede che noi per primi rifiutiamo noi stessi, è chiaro che gli altri abbiano difficoltà ad accettarci. In realtà, quei modi di essere (apparentemente) sbagliati stanno tentando di portare un equilibrio nella nostra vita; forse stanno lì per difenderci, o per renderci meno vulnerabili, o per farci funzionare bene nella società e, per quanto incredibile possa sembrare, stanno cercando di aiutarci.
Nel tentativo di colmare un nostro bisogno, vengono però attuate dinamiche che non sono quelle giuste e che spesso ci arrecano dolore o frustrazione impedendoci di dare e ricevere. Accettare quei modi di essere vuol dire, allora, porsi in ascolto di noi stessi ed entrare in contatto con il bisogno che ne è alla base. Ascoltandoci possiamo capire quale bisogno stiamo cercando di colmare e ci predisponiamo a trovare un modo nuovo per soddisfarlo. È importante allora ricordare che ogni atto d’ascolto è prima di tutto un atto d’amore. Soltanto imparando ad ascoltare noi stessi e a conoscerci possiamo veramente ascoltare l’altro e ri-conoscerlo. Ogni atto d’amore rivolto a noi stessi è un atto d’amore che facciamo all’altro. È qui che iniziamo ad incontrarlo prima ancora di averlo incontrato davvero.
La vita è costellata di eventi che consideriamo troppo spesso coincidenze. Io penso, invece, che quelli che sembrano fatti casuali, possono essere letti come simboli, segnali di quello che si può scegliere di fare nella propria esistenza. Se ci si rende conto di ciò e lo si coglie come un’opportunità, la vita può cambiare e donarci maggiore consapevolezza e libertà nelle scelte. Le coincidenze sono segnali per riflettere su di noi e fare un’autoanalisi, cogliere un segnale per effettuare un cambiamento, individuare segni che la via che si sta percorrendo è quella giusta. Per affrontare gli eventi della vita, a volte dolorosi, o gioiosi, o imprevisti, occorre imparare a dare un significato e a cogliere i messaggi delle coincidenze: possono divenire un mezzo per conoscersi in profondità e per intraprendere un cammino di consapevolezza e di maggiore maturità a livello psicologico e spirituale.
Ed è quello che mi è successo con l’incontro casuale, in un viaggio, con Habbia, una donna nata da una relazione adolescenziale e che ha avuto una vita non proprio lineare. Mi sono portata a casa una grande lezione di vita (come quelle che porto sempre con me nei miei incontri casualmente naturali) e voglio proporvi, qui, il suo fiume in piena, durato il tempo di un volo intercontinentale. Non aggiungo altro, perché non vi è nulla da aggiungere, se non tutte le considerazioni che ho già fatto più in su. Vi chiedo solo di godervi il suo racconto (tagliato nelle sue parti più crude, per un senso profondo di rispetto che ho per questa sconosciuta!!), disfandovi di tutti i vostri pre-giudizi e giudizi. Ponendovi, semplicemente, in ascolto (diciamo in lettura?) e metabolizzando una storia che, per molti, è distante mille miglia dal proprio modo di essere e di vivere.
HABBIA MI RACCONTA DI SE’
Mi ci è voluta la maggior parte della mia vita per accettare la mia realtà di essere Mixed. Nonostante abbia preso parte alla terapia per molti anni, non riuscivo ad arrivare alla radice del motivo per cui mi sentivo sempre confusa e fuori luogo e perché mi rifugiavo così spesso nell’alcool. In fondo, sapevo cosa c’era che non andava, ma non l’ho riconosciuto finché non sono tornata sobria e ho ripreso conoscenza con la bambina che era ancora ferita dentro.
Sono nata da genitori adolescenti all’inizio degli anni ’90. Mia madre è latina e mio padre era afroamericano. Mia madre ha lavorato duramente per completare la scuola superiore, ottenere la sua certificazione e fare, contemporaneamente, due lavori, mentre mio padre era completamente assente; era un genitore assente. I miei nonni sono stati quelli che mi hanno cresciuta. Anche se li amo con tutto il cuore, è stato un modo impegnativo crescere con loro. I miei nonni sono nati e cresciuti in Sud America, dove il colorismo e il razzismo erano e sono vivi. Mi hanno amato e mi hanno dato il mondo, si sono presi cura di me meglio dei loro figli, ma alcuni dei loro commenti hanno lasciato un segno indelebile.
In spagnolo, mi dicevano: “quando sarai più grande, ti pagheremo per farti fare un lavoro di naso per renderlo un po’ più piccolo” o “arriccia un po’ le labbra, in questo modo le tue labbra non sembrano così grandi .” Queste sono cose terribili da dire a un bambino, ma non erano le uniche cose che hanno detto. Mi chiamavano anche la loro bella, splendida, bella ragazza o “Mi Morena“, che si traduce con la mia ragazza dalla pelle scura. Questo però mi ha lasciata confusa. Le mie caratteristiche “nere” erano un problema o erano affascinanti? Perché sembrava essere un problema per un minuto e, in quello successivo no. Tuttavia, quando si trattava di alcuni individui della mia famiglia allargata, conoscevo esattamente la loro posizione, poiché mi rinnegavano per essere il prodotto di un uomo afroamericano.
Quando sono cresciuta e sono andata a scuola, ho scoperto quanto fossi “diversa”. Un giorno, mia madre è venuta a prendermi all’asilo e un compagno di classe si è avvicinato e le ha chiesto: “Sei la mamma di Habbia?” Lei sorrise: “Sì, lo sono“. Rispose: “Ma tu sei bianca“. Ho guardato lui e mia madre, poi me stessa, e ho capito che ero diversa da loro. Per gli altri al di fuori della mia famiglia, questo non era “normale”. Mia madre ha continuato a sorridere e ha risposto: “Beh, la mia pelle è bianca, ma suo padre è nero, ed è per questo che ha il suo colore“. Detto questo, ha capito ed è tornato a suonare. Dopodiché, ho notato quanto fossi diversa dalla mia famiglia. Ero l’unica con la pelle scura.
Quando sono cresciuta e sono andata alla scuola elementare, le cose peggiorarono. Non mi adattavo ai ragazzi neri perché non ero abbastanza nera e “parlavo come i bianchi“. Non mi adattavo ai ragazzi spagnoli perché ero nera. Gli unici bambini che mi hanno fatto sentire accolta sono stati i bambini bianchi, quindi erano quelli con cui ho interagito principalmente.
Più crescevo, più venivo molestata con un “sei un Oreo“, “sei disperato perché vorresti essere bianca“, “sei la persona di colore più bianca che conosca“, “sei sicura di essere nera?” , “Non puoi essere spagnola e nero”. Mi sentivo come se non avessi identità. Non ero bianca, non ero accettata nelle comunità nere o spagnole, non interagivo con la parte di mio padre perché davano fastidio. Mi sentivo sola. Così, dopo anni di confusione e incertezza, ho iniziato ad esagerare con le feste, mi imbattevo in compagnie discutibili, divenni promiscua e trovai (oltre che viverla) un nuovo tipo di realtà. Si chiama illusione. Non la consiglio a nessuno.
La confusione che circonda la mia identità è solo una parte del motivo per cui sono caduta nella miseria della dipendenza. Ci sono momenti in cui odio aver passato quello che ho fatto, ma una parte di me è contenta di aver dovuto sopportare l’angoscia. Una volta che sono diventata sobria e ho analizzato queste parti del mio passato, invece di ignorarle, mi sono resa conto che solo perché sono una donna di colore diverso, non significa che debba adattarmi a nessuna comunità. Posso creare il mio. E non importa quanto grande o piccolo, sarà abbastanza, perché io sono abbastanza. Lo sono sempre stata e lo sarò, non importa quello che gli altri possono pensare o sentire.
Habbia
Sono un’imprenditrice multidimensionale, poliedrica, multipotenziale, con molti interessi e innumerevoli passioni. Appartengo alla tribù delle “donne rinascimentali”, dinamiche e vibranti e non vorrei che fosse diversamente. Non sono programmata per fare solo una cosa nella vita.
Ho una formazione in Antropologia Biologica, Co-Fondatrice e CVO di DOLOMITES AGGREGATES LINK NIG. LTD, ricercatrice e freelance di studi africani, cultura, tradizione e patrimonio, e fondatrice di Métissage Sangue Misto, un utile WebMag, una comunità riservata, basata sui principi dell’intelligenza Emotiva e Intelligenza Culturale, del mentoring e dell’auto-potenziamento dell’identità delle persone Mixed e multiculturali. Métissage Sangue Misto è stato fondato in Italia, per celebrare e aiutare le persone miste e multiculturali a trovare ispirazione e vivere la propria dualità/pluralità valorizzandole. IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. , Telegram Channel, e ClubHouse (come @wizzylu), sono spazi sicuri che ho creato, dove navigare in una profonda ricerca di sé stessi attraverso piccole grandi scoperte, condividendo l’esperienza del “vivere misto” ed agendo come un ponte tra due (o più) culture.