L’11 Febbraio era la settima Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza. Una giornata voluta dall’Assemblea generale dell’Onu, a fronte del fatto che, nel mondo, le donne sono il 33,3% dei ricercatori e sono presenti solo per il 12% nelle Accademie scientifiche. Una giornata nata per combattere il pregiudizio, privo di fondamento scientifico, secondo cui il genere femminile è “meno portato” per queste materie.
E’ il cosiddetto “Matilda Effect”, coniato, nel 1993, dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter, in cui sintetizzava il “peso” attribuito alle donne nei comparti della scienza, della tecnica e della matematica, peso che viene, sistematicamente, sminuito. O attribuendo i risultati del lavoro femminile ai colleghi uomini, o “snobbando” le ricerche delle scienziate, citate in misura nettamente inferiore rispetto a quelle degli scienziati.
I divari e i pregiudizi di genere sono ancora prevalenti nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM – acronimo, appunto di Science, Technology, Engineering and Mathematics ). Gli stereotipi di genere presentano ostacoli per le donne nelle STEM e continuano a svolgere un ruolo nella continua discriminazione e sottorappresentanza delle donne nelle relative professioni.
Non ho una laurea STEM, ma la mia attività, nel settore minerario (imparato sul campo grazie ad un Mentore d’eccezione quale era mio padre!), rientra tra queste materie ed è la dimostrazione di quanto considerare le donne “poco adatte” ad una professione prettamente maschile, sia frutto di pregiudizi e stereotipi inconsistenti. Lo ha spiegato molto bene, qualche giorno fa, una carissima amica, L’ Ing. Claudia Chiti, in un’esternazione-post su LinkedIn (e che ringrazio di cuore per avermi permesso di condividerlo, integralmente, qui ), sottolineando quanto il problema sia prettamente culturale e quanto il Gender Dream Gap, iniziato nell’infanzia, col tempo, non fa che peggiorare. Un pregiudizio estremamente dannoso che condiziona il futuro delle donne ricercatrici e impegnate in questo settore.
Claudia scrive:
Da oggi mi firmo “Ing.”.
Poi vi dirò “chiamiamoci per nome”
Lo dichiaro subito, poi cercherò di spiegarlo, come mi riesce, dopo: da oggi, e a quasi 25 anni dalla laurea in Ingegneria, mi firmo “Ing. Claudia Chiti” e voglio essere chiamata Ingegnere. Ecco.
Non importa se Ingegnere o Ingegneressa. Su questo lascio libera scelta (già!) e non è il tema di questa riflessione.
Decido io, poi, quando potete chiamarmi Claudia. Probabilmente subito dopo le presentazioni, forse in futuro, magari mai. Questa decisione resta valida finché continuerete a chiamare “Ingegnere” solo i Colleghi maschi.
Non voglio più che gli altri, in ambito lavorativo, decidano di rivolgersi a me per nome o appellandomi “Signora” (fino a qualche anno fa era “Signorina”, ora sono anagraficamente passata di grado) o magari “dottoressa” (pur in modo educato e gentile, ci mancherebbe!) quando un qualsiasi Collega maschio resta sempre e comunque “Ingegnere”, non è mai stato “Signorino” e che nessuno si azzardi a chiamarlo “Signore”, dimenticando cotanto Titolo!
Mi sono laureata in Ingegneria Civile all’Università di Pisa, nel lontano 1998. Viaggio per lavoro da 20 anni in 4 continenti, parlo 3 lingue, ho due Master, uno in Economia e Management (Pisa, 2010), l’altro, il prestigioso Executive MBA di SDA Bocconi, nel 2019. Sono una delle poche Dirigenti donna con ruoli tecnici-strategici nel mondo delle multinazionali dei prodotti da costruzione da 15 anni.
Chi mi conosce bene in ambito lavorativo sa che vado spesso dicendo, presentandomi, che “sono Ingegnere, ma solo per finta”: mi schernisco -falsamente modesta- per far capire da subito che con me si può parlare di marketing strategico, organizzazione, management a tutto tondo. Non faccio calcoli complessi, ormai non ne sarei più capace e comunque non ho mai voluto fare il tecnico puro (anche se sono stata per lunghissimi anni Direttore Tecnico di una grande azienda).
Tornando al punto: decido io come presentarmi, esponendomi come voglio alle valutazioni altrui sul mio reale valore.
Mondo anglosassone: ci si chiama tutti per nome. “Hi John!” (al CEO del gruppo da 10 mld di €), “Hi, Paul!” allo stagista appena entrato dalla porta secondaria. OK. Funziona.
In Italia: tutta un’altra storia, anche se proviamo a fingerci moderni, socievoli, avanzati e integrati: la comunicazione ed i rapporti hanno tratti ancora molto formali in molti settori. E questo si combina con l’ancor più fastidioso tema del maschilismo: eh no, non ditemi che è superato. Sono esattamente 24 anni che bazzico in questi ambienti, ho negato l’evidenza fino a qualche anno fa, poi la vita mi ha dimostrato che di maschilismo trabocca tutto questo settore in ogni suo pertugio e che le eccezioni, molto rare e dunque preziosissime, non fanno che confermare lapalissianamente la triste “regola”.
In questo mondo ci si rivolge spesso chiamandosi per nome e superando i formalismi, ma questo solo ad un livello più superficiale. Quando la relazione entra (per necessità) in forme di organizzazione gerarchica o va a pesare i ruoli, allora il gioco si fa un po’ (o molto) diverso. Io poi mi riferisco ad un settore, quello delle Costruzioni, dove l’ancora della tradizione è ancora molto pesante e addirittura – nel 2022, in una delle economie più avanzate – si fatica ancora tantissimo, ad attrarre prima e valorizzare poi, professioniste donne.
Ho ricevuto una educazione molto tradizionale, in cui valori da neanche mettere in discussione erano il lavoro “a tutti i costi” ed il rispetto per le “gerarchie” (anagrafiche, istituzionali, professionali).
D’altro canto i miei genitori, nati e vissuti nella provincia toscana, hanno sempre avuto sufficiente apertura da non trovare distinzione di possibilità per chiunque a ricoprire ruoli e posizioni, ne’ per genere (maschile, femminile) ne’ per altre “categorie” (giovane/meno giovane, bianco/nero/giallo, ecc.): mio babbo adorato mi ha più che incoraggiata a iscrivermi a Ingegneria (avevo le carte in regola, con un 60 alla maturità scientifica, ma esitavo perché negli anni ‘90 il tasso di insuccesso a Ingegneria a Pisa era rilevante e io non volevo troppo pesare sulla mia famiglia), quando le donne erano sotto il 20% degli iscritti, soprattutto a Civile; babbo e mamma non hanno battuto ciglio, sempre a inizio anni ‘90 e sempre nella nostra casa in un paesino di campagna, quando ho annunciato che il mio fidanzato era Senegalese; anzi, hanno sempre creduto fermamente in lui (che era ancora uno studente, per un PhD alla Sorbona, per carità, ma pur sempre studente, che si manteneva con borsa di studio e ogni genere di lavoro); oggi è un Diplomatico, un alto Funzionario ONU, ed ha dimostrato che la fiducia era estremamente ben riposta.
Sarà per la mia educazione molto rigida, che insegnava ad avere un grande rispetto reverenziale “per il Lavoro e chi te lo dà” o forse sarà per il mio carattere che, forte in apparenza, in realtà cela continui inarrestabili processi interni di autocritica, che ho tremendamente accettato, dal primo giorno di lavoro e per tantissimi anni, lo spietato maschilismo di un capo molto influente, carismatico, intelligentissimo e anche maledettamente narcisista, manipolatore e prepotente. Raffinatissimo “mobbista” subìto da generazioni di dirigenti e collaboratori per un equilibrio da lui gestito in modo diabolicamente perfetto tra “bastone e carota”, tanto che i rari consulenti che sono stati ammessi alla sua corte, pur eccellenti, hanno tutti fallito amaramente: qualcuno si è ritirato a pascolare nel Sulcis per riflettere sul proprio fallimento… argh!
Per una lunga fase iniziale, per manipolazione di questo Sommo Capo, sono stata “Ingegnere”, con il costante rimando a “Lei è Ingegnere, non può capire di marketing e commerciale”. A dispetto di ciò, negli anni a seguire invece ho ricoperto ruoli commerciali e di marketing strategico a livello corporate, su mercati complessi internazionali.
Quando ero troppo cresciuta e avevo più che dimostrato (con una fatica ben maggiore rispetto a colleghi maschietti) che con basi tecniche molto solide e riconosciute ampiamente ero ormai rilevante nella definizione di strategie commerciali, allora sono diventata “la Claudia”. Lì si è proprio rotto qualcosa e la mia enorme responsabilità è di averlo permesso. L’educazione, l’abitudine di tanti lunghi anni, poi diventata rassegnazione, a essere trattata diversamente pur non volendo ammettere mai nel mio intimo ne’ agli altri che potesse dipendere dal mio essere donna, essendo io una delle rare dirigenti e in ruolo tecnico in un settore profondamente tradizionale e maschilista…
Per anni. Il collega maschio, dirigente come me, con un team di maschi diplomati come lui, era “il Geometra Xxxxx”. Io, laurea in Ingegneria, lingue, Master, team di 20 laureati, incarichi internazionali… semplificata d’ufficio a “la Claudia”.
E io, colpevolmente e scioccamente, l’ho permesso. Non mi piaceva affatto, era ingiusto e scorretto, ma l’ho permesso.
Se vi state dicendo che in fondo non è importante, che son dettagli, è perché siete totalmente incapaci di empatia e di immaginare, in un ambiente in cui nomi ed etichette contano tanto e fanno la differenza, come quello che ho descritto per quel contesto, il peso che questa dinamica ha. Il “Sommo Capo”, per di più, era uno che emise provvedimenti disciplinari verso chi aveva osato chiamarlo “Signor Xxxx” e non “Dottore”… mi spiego?
A mia figlia, 12 anni, dico: non fare come me. Non permettere quello che io ho permesso.
Nel frattempo, e successivamente, ho avuto comunque l’enorme fortuna di “girare il mondo”, oltre che con viaggi turistici, anche e sempre più per lavoro. Ho vissuto (da donna, don’t forget) ambienti professionali e culture molto poco formali (“Hi, John” subito dopo essermi presentata al CEO di business da miliardi di €) come pure aziende e contesti estremamente rigidi e gerarchici; dalle rigorose gerarchie teutoniche alle permanenti e rigide categorie e classi sociali di alcuni Paesi del Medioriente e del Sud del mondo; dall’ambiguo “friendly style” di piccoli feudi delle fiandre ai formalismi di contesto africani dove trovi imprenditori locali, dirigenti, alti funzionari che non rinunciano a dichiarare e pretendere rispetto e reverenza per posizioni conquistato con unghie e denti in contesti durissimi ma che sono anche disposti il più delle volte a lasciarsi “agganciare” in una relazione più autentica e informale quando hai passato l’esame dell’approccio culturale rispettoso delle tradizioni.
Oggi ho una consapevolezza diversa, legata all’età ed alle esperienze maturate. Oggi so meglio cosa sia giusto o non giusto per me e soprattutto so cosa vorrei per mia figlia, che ancora non ha 13 anni, ma anche per le brillanti e stupende giovani donne che trovo a lavorare intorno a me e con me.
La mia decisione di farmi chiamare Ingegnere (e tutto quello che, si sarà capito, ciò significa), a questo punto della vita e della carriera professionale è più ludico che di sostanza, lo ammetto, per quel che riguarda direttamente me. Però il contenuto sotteso a questa decisione è molto serio e da oggi non mi stancherò di farci attenzione, per me e per le altre donne, di oggi e di domani.
Non posso che solidarizzare con lei e con tutte quelle donne, come noi, le quali, nel 2022, si trovano, ancora, in balia di questi ostacoli che continuano a svolgere un ruolo nella continua discriminazione e sottorappresentanza delle donne nelle professioni STEM. Le cose non sembrano essere migliorate molto e a dirlo sono numerose ricerche che attestano come la strada da percorrere, dal punto di vista culturale ed economico, sia ancora lunga. Le esperienze con pregiudizi e stereotipi di genere sono aggravate durante le carriere delle scienziate e hanno dimostrato di emergere già alla scuola materna. Uno stereotipo dominante è che i ragazzi siano più bravi in matematica e scienze rispetto alle ragazze, cosa che gli studi dimostrano non vera. Inoltre, i tratti stereotipati degli scienziati come l’obiettività e la razionalità sono generalmente coerenti con i tratti normativi di genere maschile. In confronto, le donne sono viste come altamente comunitarie (cioè più gentili, più calorose, empatiche) e meno razionali (cioè analitiche, indipendenti e competitive) e quindi hanno meno probabilità di avere le qualità e le caratteristiche di personalità necessarie per essere scienziate di successo. Stereotipi di genere come questo non solo influenzano le scelte di carriera per le donne nelle STEM, ma anche il loro mantenimento in questo campo, in quanto devono superare discriminazioni e pregiudizi profondamente radicati. Questi stereotipi di genere sono intrinsecamente influenzati dalle norme sociali dominanti che posizionano le materie STEM come orientate agli uomini, inclusa la copertura mediatica di scienza e tecnologia. Le percezioni pubbliche della scienza sono modellate dall’esposizione alla scienza e ai modelli di ruolo, nonché dai contesti culturali e dalle credenze degli individui che sono esposti.
Donne e discipline STEM: i pregiudizi culturali
Come mai le donne sembrano essere meno inclini alle materie tecniche, scientifiche e matematiche?
Le motivazioni di questa “distanza” sono di diversa natura, ma paiono avere un’origine comune nel background culturale e familiare delle società odierne. Le ragazze, infatti, sembrano sperimentare minor motivazione e fiducia in loro stesse nell’intraprendere un percorso di formazione scientifica e, in particolare, la matematica. Alle “insicurezze” personali si sommano poi i condizionamenti sociali e familiari e gli stereotipi di genere, secondo i quali i campi STEM sono spesso visti come maschili e le donne sarebbero meno predisposte alle materie scientifiche.
Questi pregiudizi, ancora oggi abbastanza diffusi e ai quali si sommano stereotipi di genere presenti anche nella categoria degli insegnanti (che, spesso, sottovalutano le capacità matematiche delle ragazze a partire dall’età prescolare) finiscono col condizionare bambine e ragazze. E’ un dato di fatto che gli insegnanti nelle scuole primarie, prevalentemente donne, spesso hanno ansia per la matematica che trasmettono alle ragazze e spesso valutano le ragazze più duramente per lo stesso lavoro, presumendo che le ragazze debbano lavorare di più per raggiungere lo stesso livello dei ragazzi. Il mito, poi, del cervello matematico è una delle idee più autodistruttive nell’istruzione, in generale: la ricerca non mostra differenze biologiche cognitive innate tra uomini e donne in matematica. Molte bambine perdono la fiducia nella matematica già in terza elementare. I ragazzi, d’altra parte, sono più propensi a dire di essere bravi in matematica in seconda elementare, prima che le differenze di rendimento siano evidenti. Nella scuola elementare esiste un divario matematico di genere, ma in realtà è evidente solo tra i ragazzi provenienti da aree a reddito più alto e prevalentemente bianche, che ottengono risultati significativamente più alti in matematica, anche rispetto alle ragazze che frequentano quelle stesse scuole.
Nell’immaginario collettivo, dunque, donne e discipline scientifiche non sarebbero compatibili. L’impossibilità di proporre e promuovere modelli di pensiero comune differenti limiterebbero l’avvicinamento delle ragazze alle materie STEM. A ben guardare, poi, non sono solo i pregiudizi sociali e familiari a ostacolare il ruolo femminile nei settori tecnici e scientifici. Nel mondo del lavoro, infatti, le donne soffrono ancora di un forte gap salariale (16% nell’Unione Europea) dovuto anche al fatto che godono di un minor potere contrattuale. Questo è a sua volta determinato dalla “convinzione” culturale secondo la quale devono essere le donne a sobbarcarsi interamente il “peso” di famiglia e figli.
Quando, poi, si parla di carriera e maternità, sia in ambito STEM che non-STEM, le donne sono ancora una volta svantaggiate. Infatti devono o scegliere tra l’una e l’altra o subire “rallentamenti” nelle promozioni, sperimentando in alcuni casi anche il licenziamento. Un mix di discriminazioni palesi e celate, quindi, che evidenzia come le donne siano ancora oggi discriminate tanto nell’ambito accademico quanto in quello lavorativo. E questo nonostante i tanti progressi fatti per raggiungere la parità di genere.
Non dimentichiamo anche la cultura dominate dagli uomini quale altro fattore che perpetua questo divario: poiché un minor numero di donne studia e lavora nelle STEM, questi campi tendono a perpetuare culture inflessibili, escludenti e dominate dagli uomini che non supportano o attraggono le donne e le minoranze.
Le ragazze, poi, hanno meno modelli di ruolo che possano ispirare il loro interesse in questi campi, vedendo esempi limitati di scienziate e ingegneri nei libri, nei media e nella cultura popolare. Ci sono ancora meno modelli di ruolo delle donne di colore in matematica e scienze.
Donne di colore (diverso dal bianco) in STEM
Per le donne di colore in STEM la situazione è maggiormente gravosa. Alcune hanno superato i pregiudizi razziali, il razzismo, il sessismo ed il pregiudizio di genere nel tempo per farsi un nome e contribuire a grandi cause, ma la strada è ancora tortuosa. Le donne di colore sono sottorappresentate e, rispetto ad altri sottogruppi, sono significativamente assenti nelle professioni STEM. La doppia presenza di fattori come la razza e il genere sono ancora, nel 2022, elementi che influenzano, fortemente, l’istruzione e le esperienze di queste donne emarginate. Sono fattori, insieme ai loro effetti simultanei, socialmente definiti come ostacoli fisici e intellettuali e spesso vengono affrontati isolatamente e raramente esplorate a fondo. Nel tentativo di dare una voce d’impatto a cose spesso non raccontate, male interpretate e narrazioni strumentalizzate di donne di colore, ci troviamo davanti ad una realtà che non vuole esaminare la riluttanza, l’esclusione, la dis-opportunità e la sotto-istruzione delle studentesse di colore, dalla scuola materna all’università.
Anche qui, uno dei motivi principali per cui le donne di colore non scelgono di entrare nei campi STEM è dovuto alla mancanza di role models, che le porta a sentirsi come se non appartenessero a questi settori. La frase “non puoi essere ciò che non puoi vedere” ricorre più e più volte, con prove che dimostrano che c’è un fondo di verità in questo cliché. Se i colleghi e le persone in posizioni di influenza e potere in STEM sono per lo più uomini bianchi della classe media, è facile capire perché le donne, in generale, e quelle di colore, nella fattispecie, possano sentirsi come se non appartenessero a queste sfere o avere difficoltà a immaginarsi in queste posizioni. Naturalmente, questo non significa che le donne di colore non seguano questi percorsi di carriera, ma può portare a un senso di disillusione. Avere role models, anche qui, che condividano la loro identità razziale, è essenziale per far sentire le donne di colore come se appartenessero a questa possibilità, quando studiano materie STEM all’università, e possono fare un’enorme differenza per le aspirazioni delle giovani, il che è un grande passo avanti per lavorare verso una forza lavoro STEM più inclusiva ed equilibrata.
Bisogna essere aperti e pronti ad abbracciare il cambiamento che prima o poi, inevitabilmente, avverrà. C’è necessità di avere un supporto intersezionale poiché ci sono sempre battaglie da combattere, ma ci sono sempre molti successi da raggiungere, e lo si può fare con una forte rete di tutoraggio e di supporto da parte di chi ci è già passato. Come Katherine Globe Johnson, matematica, informatica e fisica afroamericana, che contribuì allo sviluppo dell’aeronautica statunitense e ai programmi spaziali, già dal primo utilizzo dei computer elettronici digitali da parte della NASA. Scoprì il suo talento e la sua passione per la matematica in tenera età, ma ha avuto la fortuna di avere una famiglia e insegnanti che l’hanno fortemente incoraggiata e supportata, ricordandole, costantemente, chi fosse, da dove venisse e perché facesse quello che faceva. Ricorda alle nuove generazioni d donne come essere consapevoli del proprio valore e della materia che si conosce, abbracciando la propria identità, le proprie passioni , il proprio scopo ed essere sempre aperti all’apprendimento, siano gli atteggiamenti più consigliati per intraprendere queste carriere.
Quali sono le implicazioni dell’essere una donna visibile in STEM?
Consideriamo, ad esempio, le percezioni degli stereotipi che vengono applicati alle donne che parlano pubblicamente della loro ricerca e/o del loro lavoro. Gli stereotipi di genere sono condivisi da tutti e tendono a semplificare eccessivamente la realtà, creando giudizi delle persone basati sulle capacità percepite, piuttosto che effettive. Le donne sono stereotipicamente definite con i tratti comuni della cordialità, la gentilezza e l’educazione (sesso debole, no?), mentre agli uomini vengono stereotipicamente assegnati tratti razionali, come competenza e assertività, quest’ultima considerata molto più coerente con i campi STEM competitivi. Se un gruppo è stereotipato negativamente (ad esempio, visto come in qualche modo minore), l’appartenenza a questo gruppo può influenzare la salute psicologica, le prestazioni e il proprio senso di identità e appartenenza. Questo è particolarmente vero se i role models hanno alti livelli di coscienza dello stigma; un’aspettativa di giudizio a causa dell’appartenenza a un gruppo specifico, indipendentemente dal comportamento o dalle prestazioni. La coscienza dello stigma può essere un indicatore importante della vulnerabilità delle donne all’influenza negativa della minaccia stereotipata nei contesti del mondo reale.
La consapevolezza di essere percepiti negativamente o “altro” può influenzare l’identità, sia come identità di genere particolare, sia come persona che fa scienza. Studi precedenti hanno anche scoperto che i membri di gruppi emarginati possono penalizzare ulteriormente coloro che mostrano questi tratti di identità emarginati . Pertanto, i membri dei gruppi emarginati possono essere riluttanti a mostrare i tratti che li identificano come membri di quel gruppo, negando i tentativi di aumentare la diversità e l’inclusione sul posto di lavoro. Ad esempio, gli studi hanno scoperto che le donne nel mondo accademico sono valutate più in base alla personalità che alle capacità, rispetto ai colleghi maschi, e dovrebbero essere più educative ed empatiche. Non solo questi stereotipi hanno implicazioni per le carriere delle donne se non si conformano all’essere “attive”, ma come gruppo emarginato, possono penalizzare altre donne che mostrano questo stereotipo. Inoltre, i risultati che sfidano lo stereotipo (ad esempio, le donne sono brave in scienze) sono spesso scontati o attribuiti ad un aiuto esterno.
Gli stereotipi portano le persone a trattare uomini e donne in modo diverso, a mantenerli secondo standard diversi e a perpetuare il pregiudizio di genere nella società, anche nelle STEM. Queste percezioni e valutazioni sono sostenute da pregiudizi sia espliciti che impliciti, con questi ultimi più automatici, meno consci e controllabili rispetto ai primi. Studi precedenti hanno dimostrato che anche le donne che lavorano all’interno della scienza hanno uno stereotipo implicito secondo cui la scienza è un’area maschile e le donne “appartengono” alle arti. È stato riscontrato che i pregiudizi impliciti che rafforzano gli stereotipi di genere diventano evidenti fin dalla giovane età e appaiono in tutti i generi, le culture e il tempo.
Gli stereotipi di genere influenzano negativamente il potenziale percepito di una donna e anche il modo in cui vengono valutate, anche in materiali di lavoro, come le lettere di referenze. Nello specifico, nelle valutazioni dell’insegnamento, le donne hanno sperimentato un pregiudizio negativo nelle valutazioni e sono state valutate in base a criteri diversi rispetto agli uomini, inclusi l’aspetto e la personalità. Gli articoli, nelle riviste specializzate e prestigiose, sono citati meno quando gli autori chiave sono donne, mostrando una evidente sottorappresentazione delle paternità femminili. Nonostante questo, ci sono alcuni uomini – e probabilmente alcune donne – nelle facoltà STEM che sono riluttanti ad accettare la ricerca e l’evidenza del pregiudizio di genere nelle STEM stesse. Tuttavia, i pregiudizi di genere possono avere tutti impatti gravi e duraturi sulla persona presa di mira e gli effetti cumulativi possono essere estremamente dannosi sia per la carriera che per sé stesse. Le donne che comunicano pubblicamente il proprio lavoro possono essere particolarmente vulnerabili a questi diversi tipi di molestie. Gli stereotipi di genere possono amplificare le molestie e la discriminazione nelle STEM, specialmente quando quegli stereotipi sulle donne non si sovrappongono a quelli sulle percezioni di cosa significhi essere uno scienziato.
Il pregiudizio di genere e il sessismo sono pervasivi e ben documentati nei campi STEM, sconvolgendo e incidendo in modo sproporzionato sulle donne, in particolare le donne di colore e LGBTQ+ e non individui binari. Il tipo più comune di molestia nei campi STEM è la molestia di genere, che può comportare azioni irrispettose, umiliazioni e commenti negativi che trasmettono la falsa narrativa secondo cui le donne sono inferiori alle loro controparti maschili. In discipline come l’ingegneria, possono soffrire di (in)visibilità in cui sono altamente visibili come donne ma le loro abilità come ingegneri sono contestate. Poi ci sono le api regine, anche in campi non STEM; le donne che hanno raggiunto posizioni di leadership in organizzazioni dominate dagli uomini e poi si sono allontanate dalle giovani donne, sono d’accordo con gli stereotipi negativi e rafforzano efficacemente la disuguaglianza di genere.
Gli effetti negativi degli stereotipi di genere si estendono alle attività di comunicazione pubblica delle donne nelle STEM. I media di tutto il mondo hanno tradizionalmente sottorappresentato le donne in STEM e dove erano rappresentate l’attenzione tendeva a concentrarsi sul loro aspetto o sui loro ruoli femminili come mogli e madri. Anche in Finlandia, che ha un forte impegno per l’uguaglianza di genere, i media intervistano prevalentemente scienziati di sesso maschile in qualità di esperti. Le donne sperimentano stereotipi negativi e pregiudizi quando parlano o scrivono del loro lavoro, anche nell’insegnamento e nelle presentazioni, negli articoli di ricerca, su YouTube e sui social media .
Ma che percezione hanno le donne in STEM degli stereotipi che potrebbero essere applicati a chi parla pubblicamente del proprio lavoro?
Comprendere le percezioni degli stereotipi applicati a coloro che comunicano pubblicamente la propria scienza consente una comprensione più sfumata del potenziale impatto che può avere essere visibili o essere un modello di ruolo. Cerchiamo di capire come questa comprensione possa consentire lo sviluppo di meccanismi migliori per supportare le donne nelle STEM.
Generalmente le donne STEM passano attraverso tre categorie di giudizio stereotipizzato: “Stronze e prepotenti“, “mancanza di “Credibilità” e giudicate in base alla personalità e all’ aspetto. Tutto questo nasce dal fatto che molte aspettative di servizio, gravose per le facoltà femminili, non sono così apprezzate nelle decisioni di promozione e incarico, perché attribuite agli stereotipi secondo cui le donne sono più premurose, materne, amministrative e orientate alla divulgazione. La cosa decisamente curiosa è che non sono solo gli uomini a perpetuare il problema. Le donne si sentono giudicate e trattenute anche da altre donne, in particolare quelle che sono passate a posizioni di leadership, il che supporta la tendenza, di cui parlo spessissimo, dei gruppi minorizzati a “controllare” i propri membri che esibiscono uno stereotipo. Semplicemente, le donne possono giudicare più duramente le altre donne che dimostrano uno stereotipo, o può essere la prova del fenomeno dell’ape regina, o più probabilmente è semplicemente un pregiudizio implicito alla base. La conoscenza dell’esistenza di stereotipi negativi, per quanto ingiustamente etichettati, può impedire alle donne di parlare per paura di essere etichettate dallo stereotipo, di sostenere per conto di altre donne o di apparire pubblicamente a titolo professionale.
Il pregiudizio si presenta anche in parole qualificanti come “troppo“, “meno di” o “più“, che stabiliscono una linea invisibile in cui un comportamento è accettabile e quando non lo è. Le qualificazioni sono arbitrarie e spesso differiscono da persona a persona. Parole come queste possono incoraggiare una mentalità noi-contro-loro e creare una divisione tra i gruppi, propagando un ambiente in cui persistono gli impatti dei pregiudizi e in cui le donne sono tenute a un doppio standard. Chi può decidere cosa è “troppo” o “troppo poco“, o se qualcuno è “più” o “meno” di qualcun altro? E’ chiaro che esiste una quantità o un livello preferito di queste caratteristiche; una corda tesa su cui le donne in particolare devono bilanciarsi. Tuttavia, considerando che non esiste una designazione accettata dell’importo “preferito”, è spesso dettato da chi ha una posizione di potere o privilegio, modellato dai propri pregiudizi e stereotipi.
Donne e materie STEM: un divario da colmare
Il gender gap riscontrato nelle discipline STEM non è una questione puramente“femminile” o di genere. Può avere importanti ripercussioni anche sulle società di domani. A evidenziarlo è la stessa Commissione Europea che sottolinea come le discipline scientifiche e matematiche siano “fondamentali per guidare la doppia transizione verso un’economia verde e digitale, in un momento di rapida innovazione tecnologica”.
La Commissione, convinta che il futuro è nelle tecnologie, sta cercando di incentivare la partecipazione femminile, stimolando le ragazze a superare ostacoli e pregiudizi e ad approcciarsi con maggior fiducia alle discipline STEM. Infatti, ha già disposto una Gender Equality Strategy 2020-2025, con lo scopo di promuovere l’uguaglianza di genere sia nell’innovazione che nella ricerca. L’obiettivo è quello di rendere più egualitario il coinvolgimento ed il progresso delle donne negli ambiti tecnologici e scientifici, ma anche di contribuire a non replicare nell’ambito del “digitale” le disparità oggi esistenti nel “reale”. Nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale (AI), ad esempio, le donne sono poche, situazione che sta condizionando molto lo sviluppo di queste tecnologie. Nonostante ci sia ancora molto da fare per “migliorare” il rapporto tra donne e materie STEM, non mancano dei “casi” che attestano come le donne e la scienza siano tutt’altro che incompatibili.
Cito un esempio per tutti, il “caso” Perseverance. Il più emblematico e ultimo in ordine di tempo, riguarda la missione spaziale Mars 2020 della NASA che ha consentito di inviare su Marte il rover Perseverance, che ha il compito di testare l’abitabilità del pianeta rosso. Ebbene, dietro un progetto così ambizioso e delicato ci sono ben sette donne che con la loro intelligenza e il loro impegno hanno giocato un ruolo fondamentale nell’attuazione della missione. Si tratta di professioniste creative e coraggiose che, in diversi ruoli, hanno contribuito enormemente a rendere possibile l’arrivo di Perseverance su Marte, dimostrando come la scienza e la tecnica non siano una prerogativa esclusivamente maschile, e non sono di certo un caso isolato.
Where do we go from here – Soluzioni?
I modelli di ruolo possono essere addottati come mezzo per affrontare gli stereotipi prevalenti, tuttavia sembra che l’elemento altrettanto importante dell’inclusione venga ignorato. Incoraggiando le donne a essere visibili e a comunicare pubblicamente il loro lavoro, e poi tenerle a un doppio standard nella comunicazione, etichettandole come stronze, prepotenti o immeritevoli, dimostra il nostro totale fallimento. Promuovendo soluzioni che includano più donne nelle STEM come role models, senza affrontare gli stereotipi negativi sottostanti che dovranno fronteggiare, potremmo effettivamente mettere quelle donne in una posizione più precaria.
Riconoscere e comprendere gli stereotipi sfaccettati, e spesso in contrasto, che le donne in STEM affrontano quando comunicano in pubblico è il primo passo per cambiare la narrativa e sviluppare meccanismi migliori per supportare queste donne. Qualsiasi tentativo di sostenere una maggiore equità e inclusione di genere, quindi, deve anche riconoscere i nostri pregiudizi e stereotipi profondamente radicati e riconoscere come potrebbero influenzare il nostro comportamento e il nostro giudizio riguardo a noi stessi e agli altri. Creare reti di sostegno per le donne e dare loro strumenti e spazio per affrontare il pregiudizio di genere nelle STEM può aiutare a combattere la discriminazione. Tuttavia, per cambiare veramente il sistema dobbiamo addestrare tutti, compresi noi stessi e in particolare coloro che ricoprono posizioni di potere e privilegio, a essere spettatori efficaci contro i pregiudizi di genere, le molestie sessuali e la perpetuazione di stereotipi negativi.
Poiché, come abbiamo visto, la ragione di una sottorappresentazione sta nei pregiudizi di cui le stesse ragazze sono vittime sin da bambine, a causa di contesti familiari e scolastici impostati sulla differenza tra maschio e femmina, dobbiamo sradicare quegli stessi stereotipi attraverso una cultura della parità e del rispetto delle differenze nelle famiglie, a scuola, sui luoghi di lavoro e nello spazio pubblico. In quest’ottica, l’educazione a scuola diventa il primo grande passo per garantire a tutte le bambine la possibilità di conoscersi, sperimentarsi e perseguire i propri sogni, così da colmare una volta per tutte il dream gap, che impedisce loro di diventare ciò che vogliono essere e realizzare pienamente il proprio potenziale.
Guardando tanto al passato quando al presente, il contributo femminile alle scienze, alla tecnica, all’ingegneria e alla matematica è fondamentale e per il futuro ci si deve augurare che tale contributo sia riconosciuto e non più ostacolato. I prodotti culturali hanno una profonda influenza nel modo in cui vediamo, capiamo e trattiamo le persone, specialmente chi è diverso da noi, e la rappresentazione nei media è importante nel modo in cui i giovani costruiscono le loro aspettative e sognano il futuro. Le immagini e le parole che si trovano nei libri hanno un ruolo enorme nel fornire messaggi impliciti ed espliciti a piccoli lettori e lettrici. Ci sono libri perfetti per le bambine incuriosite da materie come la matematica o la scienza, e altri per ragazze più grandi o per donne che vogliono saperne di più sulle scienziate che hanno dato contributi fondamentali, arrivando anche talvolta a vincere un premio Nobel.
Segnalo due titoli utili da cui iniziare a promuovere il ruolo delle donne nelle STEM e abbattere gli stereotipi di genere nella scienza:
- “Inferiori” di Angela Saini, edizioni HarperCollins
- “La scienza della fantasia” di Davide Coero Borga, Codice Edizioni
E in Italia?
Come ha fatto ben intendere l’amica Claudia, il problema è diffuso anche in Italia, dove solo il 16% delle ragazze si laurea in facoltà scientifiche contro il 37% dei ragazzi. Nonostante (pare) le cose stiano cambiando, trovo che crescere tra le bambine e le ragazze la consapevolezza del loro valore e del contributo che possono dare in ambito scientifico, sia il primo passo per limitare questo fenomeno degli stereotipi. L’acquisizione di una piena cittadinanza scientifica è considerata, oggi, da molte come un diritto fondamentale per rispondere alle sfide, eppure il divario di genere è molto presente e si radica, sin dai primi cicli di istruzione, negli stereotipi, ancora oggi diffusi, che vorrebbero le ragazze poco portate verso le materie scientifiche e che bloccano sul nascere i loro talenti.
Molte (ma non sono sufficienti) sono le iniziative avviate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con il Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, con l’obiettivo di promuovere le discipline STEM nelle scuole di ogni ordine e grado. Per esempio, in occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna, viene emanato il concorso “STEM: femminile plurale“, che intende favorire una riflessione sulla presenza delle donne nelle discipline STEM, al fine di incoraggiare in modo pari studentesse e studenti a sviluppare una lettura critica dei pregiudizi e degli stereotipi di genere riguardanti le materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, nonché di incoraggiare le studentesse allo studio di tali materie.
Ricordiamoci, però, che la presenza delle donne nei settori tecnico e scientifico è ancora troppo marginale e il divario da colmare non è solo culturale, ma anche economico. Infatti, anche sotto il profilo salariale, le donne sembrano essere rimaste indietro e, al momento, il trend pare mantenersi costante.
Sono dell’idea che per risolvere questa equazione, un approccio multiculturale e una visione della diversità che celebra il sociale e differenze culturali, sia più efficace nel ridurre la distorsione rispetto a un daltonico (colorblind) approccio che ignora le diverse identità di gruppo in favore di enfatizzare un’organizzazione globale identità. Un approccio multiculturale è anche più efficace per creare ambienti in cui gruppi minoritari sono suscettibili di essere coinvolti nel loro lavoro e impegnarsi al successo organizzativo. Quando i leader delle organizzazioni parlano dell’importanza di diverstà, dovrebbero essere chiari nelle loro azioni, reclutando e trattenendo molte più donne.
Inoltre, c’è necessità di cambiare atteggiamento nell’affrontare queste questioni. Aggirare i pregiudizi sistemici può essere davvero difficile, ma non impossibile. L’abilità di sopravvivenza per noi donne che ci relazioniamo in ambienti tradizionalmente maschili, può essere utile, anche se questa strategia non sostituisce l’affrontare i fondamenti dei problemi di disuguaglianza. Le donne dovrebbero osare di più nel espletare le proprie competenze, evitando di apparire autopromozionali nelle interviste, ma decisamente confidenti, rivalutando e lavorando sui pensieri negativi.
Infine, avere un forte senso di appartenenza aiuta ad alleviare lo stress che deriva dalla minaccia stereotipo. Questo senso di appartenenza si acquisisce già in età infantile, stimolando le bambine ad approcciarsi a queste materie, creando un ambiente accogliente. Una regola che vale, certamente, per gli educatori, ma, soprattutto per i genitori che hanno il potere di influenzare su come le ragazze percepiscono i settori STEM, di far coltivare una mentalità di crescita, insegnando loro che il cervello è come un muscolo che diventa più forte e funziona meglio più è esercitato. Insegnare loro che la passione, la dedizione e l’auto-miglioramento, non sono semplicemente talento innato, ma
strade per il genio e il contributo.
Sono un’imprenditrice seriale, multidimensionale, poliedrica, multipotenziale, con molti interessi e innumerevoli passioni. Non sono programmata per fare solo una cosa nella vita.
Ho una formazione di Antropologia Biologica, Co-Fondatrice e CVO di DOLOMITES AGGREGATES LINK NIG. LTD, investitrice, ricercatrice freelance di studi africani, cultura, tradizione e patrimonio, e fondatrice di Métissage Sangue Misto, WebMag e una Comunità riservata, basata sui principi dell’intelligenza Emotiva e Intelligenza Culturale, del mentoring e dell’auto-potenziamento dell’identità delle persone Mixed e multiculturali. Mi occupo di Consulenza sulla Diversità Culturale e Developmental Mentoring, sviluppando programmi di mentoring one-to-one, tagliati su misura per singoli individui, Istituzioni Scolastiche, Organizzazioni Multiculturali e Aziende.
Métissage Sangue Misto è stato fondato in Italia, per celebrare e aiutare le persone miste e multiculturali a trovare ispirazione e vivere la propria dualità/pluralità valorizzandole. IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. , Telegram Channel, e ClubHouse come @wizzylu), sono spazi sicuri che ho creato, dove navigare con fiducia in una profonda ricerca di sé stessi attraverso piccole grandi scoperte, condividendo l’esperienza del “vivere misto” ed agendo come un ponte tra due (o più) culture.