Con queste nuove e fresche riflessioni di Greta, apriamo un nuovo capitolo per Métissage Sangue Misto.
Ho deciso di dare completa voce ai nostri protagonisti, convinta che dalla penna di ciascuno escano i sentimenti più puri e naturali e la consapevolezza del proprio percorso, senza abbrabicamenti sul “sentito dire” nè, tantomeno, una mistura da tomi e tomi di letterattura sui temi della diversità, dell’inclusione e del meticciato.
Voglio dare voce alla genuinità di chi ha qualcosa da dire, a chi ha voglia di condividere le proprie esperienze, le proprie riflessioni e i propri stili di vita e, nello stesso tempo, offrire la possibilità, a chi fosse interessato, a guardarsi attorno con relativa serenità e non sentirsi un pesce fuor d’acqua, o, peggio, un incompreso.
Ecco, quindi a voi, la riflessione di Greta, che ha voluto parlare del suo percorso emozionale relazionale con la cultura di suo marito Ibra, e precisamente, dice Greta, “parlo di quello che è avvenuto dentro di me interfacciandomi con la sua cultura. Sono insieme da 8 anni, lui è di origine senegalese, in Italia da quando aveva un anno. È musulmano, e si sono sposati, non legalmente, ma secondo la sua religione (islam mouride).
Sinceramente non voglio parlare davvero della storia di me e Ibra: non mi piace essere sotto i riflettori. Preferisco raccontare di me solo se questo può portarmi a uno scambio costruttivo con chi ho davanti. Adoro ascoltare le storie delle persone, anche quelle che agli occhi di tutti possono sembrare banali.
Penso che nessuno in questo mondo sia davvero insignificante. Tutti abbiamo una storia e, anche se passa inosservata, è comunque importante per qualcuno, anche solo per noi stessi.
Per questo motivo, non trovo il senso di raccontare come io e Ibra ci siamo conosciuti e come il nostro rapporto si è evoluto nel tempo, cioè un mero susseguirsi di eventi. Ci ho provato, sono sincera; ma quello che ne è venuto fuori era un pasticcio e, a dirla tutta, mi rappresentava ben poco.
Così mi ritrovo qui a scrivere, senza un ordine preciso, quello che, per me, può avere significato essermi imbattuta in Ibra e le sue radici. Più che il mio percorso in ordine cronologico, con date, ricordi e quant’altro, preferisco soffermarmi su quella che è stata la mia trasformazione emozionale, spirituale dal momento del nostro incontro.
Credo, innanzitutto, che il Senegal mi abbia permesso di capire cose che, probabilmente, se non mi fossi relazionata con Ibra, non avrei mai compreso. E, francamente, tutto questo mi inquieta, perché avrei perso un pezzo di realtà che fa parte di questo mondo, una parte di me.
È come essere stata ricondotta a un “io” più profondo, una versione di me stessa che dà importanza alle piccole cose, all’umanità delle persone, all’amore, al presente.
Dalla mia relazione con Ibra in questi 8 anni e, ancor più, dal viaggio in Senegal, mi sono riconciliata con un modo di vivere quasi più “bambinesco”: ho ritrovato lo stupore nello scoprire nuove cose, anche quelle che, per alcuni, possono sembrare marginali. Ho capito davvero cosa vuol dire amore, famiglia, felicità nelle sue più svariate sfaccettature. Ma anche disperazione, povertà, tristezza. Comprendere l’importanza della gratitudine nei confronti della vita, nonostante tutte le sventure che possano capitarci. Rimanere uniti nonostante tutto e tutti. L’empatia verso altri modi di pensare e di condurre la vita.
Valori che hanno sempre fatto parte di me e che i miei genitori mi hanno insegnato.
Col senno di poi, però, mi sono resa conto di averli persi per strada: non che sia diventata una persona insensibile, ma diciamo che mi sono ritrovata come “appiattita” in una sorta di apatia. Credo che sia una forma di assuefazione, di indifferenza a cui ci porta la società, nell’abituale grigiore della routine giornaliera.
Posso dire di essermi “ritrovata”, di essermi riconciliata con me stessa. La mia versione più primordiale.
A volte penso che esista un destino o che mio padre, da lassù, abbia fatto in modo che questo fosse il cammino che dovevo percorrere.
La sua vita non è stata di certo facile: è cresciuto in collegio senza cibo, né amore, subendo molti abusi da parte delle suore che gestivano il posto. E la sua vita è stata troppo breve, lasciandoci a soli 45 anni.
Non capivo, sentitamente, i suoi insegnamenti quando ero piccola: mi diceva di essere grata di quello che avevo.
Io ascoltavo, capivo, ma non riuscivo a interiorizzare, poiché la realtà che sperimentavo ogni giorno era unica, sempre uguale, serena… non mancava nulla che potesse farmi girare e farmi accorgere che altre persone nel mondo vivono in maniera completamente differente dalla mia.
Per questo penso che lui abbia deciso di mettermi Ibra sul mio cammino, per farmi conoscere una realtà differente. Una realtà che potesse davvero tramandarmi e farmi abbracciare, nel profondo, i suoi insegnamenti, facendomi diventare una persona eterogenea, più vera.
Forse sono un’illusa, ma mi piace pensare così, perché penso che ci sia una sorta di filo conduttore in questa vita (che sembra non avere senso).
Quello che posso dire è che convivere con un’altra cultura (o più culture) ogni giorno è un dono unico.
Che siano esperienze belle o brutte, sono lezioni che ci avvicinano al nostro io ancestrale.
Vi saranno aspetti che adorerete, altri che aborrirete: ma alla fine, quello che conta davvero è che sperimenterete qualcosa di nuovo, qualcosa che vi possa far sentire vivi fino al midollo e donarvi un’energia inimmaginabile che vi farà diventare ogni giorno più curiosi.
Perché è questo che dovrete fare se volete davvero vivere in maniera consapevole: avere fame di curiosità. Di situazioni felici ma anche spiacevoli.
Senza fermarvi alla vostra prima esperienza, ma proseguendo in quello che è il cammino della vita.
Senza farvi sbarrare la strada dal giudizio altrui, dall’opinione comune, dal sentito dire.
Solo così guarderete, con i vostri occhi, la vera bellezza della vita.
Greta Fucito