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Certi incontri non accadono per caso.
Accadono per una ragione ben precisa, e spesso questa ragione é la provvidenza.
Nel 2015 avevo deciso insieme alla mia famiglia di trasferirmi a Dakar, in Senegal. Poco prima della partenza veniamo invitati ad una festa di amici che lasciavano l’Italia per trasferirsi in Congo (e anche qui, che coincidenza!). Mi ricordo benissimo che, appoggiata ad una porta, vedo una delle ragazze più solari della stanza: era Deguene Mbow.
Italo-senegalese, nata e cresciuta a Dakar, Deguene vive a Milano da diversi anni.
Perché l’ho incontrata proprio prima della mia partenza per la sua città?
Non lo so, so solo che arrivata a Dakar ho conosciuto prima sua cugina, poi di seguito tutta la sua meravigliosa famiglia ad una festa organizzata per la sua associazione, e da lì é stato tutto un crescendo.
Se dovessi descrivere con una parola Deguene, direi sicuramente coraggiosa. Questa donna per me è coraggiosa per tutte le scelte che ha fatto e che continua a fare nella sua vita; per il modo in cui cresce i suoi figli e in cui gestisce i suoi progetti, professionali e di vita.
Lo leggerete voi stessi in questa intervista in cui si racconta, la donna straordinaria che é.
Colgo l’occasione di ringraziare anche Luisa che mi ha concesso l’onore di presentare questa storia nel suo blog, nel salotto dei mixed.

Grazie Déguène per aver accettato di partecipare al nostro ‘salotto dei mixed’ e di condividere la tua esperienza.

Ciao Robi, grazie a te!

Premetto che non parlo a nome di nessuna categoria in quanto detesto sia etichettare che suddividere gli individui, ma la discriminazione riguardo il colore della pelle è purtroppo ancora molto attuale. Per quanto imbarazzante sia l’argomento le conseguenze di secoli di schiavitù e colonialismo creano ancora oggi complessi, violenza e dolore, ma anche sensi di colpa e paternalismo.

Inoltre, al posto di fare riferimento alla parola razza usata, facciamo riferimento alla parola etnia, in quanto non esistono le razze.

Raccontaci un po’ del tuo mix.

  • Cosa sei?

Sono figlia di mamma italiana e svizzera, papà senegalese. Sono nata a Parigi dove si sono conosciuti i miei genitori, cresciuta a Dakar fino ai 18 anni e poi a Milano dove ho studiato ingegneria civile al Politecnico e sono rimasta per ragioni familiari e di lavoro. Infatti, ho avuto due figli con il mio ex compagno durante il percorso universitario e avendo come priorità anche il loro di rapporto non ho rimesso in discussione di rimanere a vivere fino alla loro maggiore età nella stessa città, Milano, dove vive il padre.

Lavoro attualmente per Trusteq Srl  ( www.trusteqconsulting.it) come ispettore di collaudo meccanico principalmente nel settore oil&gas e, con il titolare, vorremo aprire una sede della società a Dakar a servizio dello sfruttamento dei due principali progetti di idrocarburi previsti inizialmente per 2020 (spostato a 2023 per causa Covid).

Inoltre, parallelamente al mio lavoro abbiamo fondato a fine 2013 con amici italiani e senegalesi Janghi (www.janghi.org) , una onlus della quale sono presidente che si occupa di finanziare borse di studio a bambini e ragazzi di Dakar che, per ragioni economiche, culturali, religiose, di genere o di handicap, sono esclusi dal sistema scolastico nazionale. Uno degli aspetti più difficili nella gestione di questa onlus è l’utilizzo del linguaggio usato nella descrizione di raccolte fondi o reso conto delle attività svolte a donatori. Questo mi porta spesso a forti scontri anche con gli stessi volontari dell’associazione, preferendo io di gran lunga rinunce a donazioni piuttosto che l’uso di parole paternaliste, di pietismo o slogan pronti che alimentano la discriminazione verso il continente africano. Sembra semplice e ovvio ma è talmente radicato nelle nostre teste che è difficile anche solo sollevare il problema, che per tanti sembra inesistente. Trovare frasi che dovrebbero convincere a fare donazioni in questo contesto storicamente impostato sul pietismo africano è tutto tranne che scontato, e lo studio della comunicazione come expertise purtroppo non c’entra nulla.

  • In quale ambiente sei cresciuta? Principalmente bianco o nero?

Sono la terza di n.5 figli. Siamo cresciuti nella media alta borghesia di Dakar dove svolgevamo l’intero anno scolastico (scuola privata cattolica francese) e passavamo i 3 mesi estivi dai nonni materni a Gaeta (LT).

Mio padre insegnava Fisica all’università di Dakar e lavorava al ministero dell’educazione nazionale. Mia madre, medico pediatra, lavorava in un consultorio materno-infantile in un quartiere popolare di Dakar. Avevo 12 anni quando lei, per ragioni personali e soprattutto lavorative è dovuta partire prima nelle regioni interne del Senegal e poi per Ruanda, Angola, Mozambico. All’epoca non c’era internet, il telefono costava tanto, i biglietti aerei anche, quindi riusciva a tornare n.2 volte l’anno e noi la raggiungevamo durante le vacanze estive. La figura parentale di presenza fisica quotidiana durante la mia adolescenza è stata quindi mio padre. Mia madre pur con difficoltà è sempre stata estremamente presente, e lo è ancora oggi, psicologicamente.

Siamo una famiglia molto unita e molto presente. I miei genitori e i miei fratelli sono stati protagonisti di tutti gli eventi importanti della mia vita e hanno appoggiato incondizionatamente le mie scelte indipendentemente dalle loro opinioni.

Quindi possiamo dire che sono cresciuta in un ambiente principalmente nero e musulmano (95% della popolazione fra cui mio padre) per ¾ dell’anno e bianco cattolico per il restante ¼ dell’anno.

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  • Che tipo di istruzione hai ricevuto?

Scuola privata cattolica femminile. Una delle migliori di Dakar, fortemente voluta da mio padre. Eravamo in maggioranza senegalesi, ma anche francesi, di Capo Verde, libanesi, siriani ..musulmani per la maggior parte e una minoranza di cristiani. Tutte femmine fino al liceo (che alla mia epoca erano gli ultimi 3 anni del percorso di studi).  Mia madre era totalmente contraria a quella scuola preferendo per noi la pubblica ma il sistema scolastico pubblico in Senegal è estremamente dispersivo (fino a 60 allievi in classe), nella prospettiva di svolgere l’università all’estero (abbastanza scontato nell’ambiente borghese di Dakar, con destinazioni principali Francia e Stati Uniti), e per l’importanza (quasi ossessione) che mio padre attribuisce all’ istruzione (è stato in prima persona salvato dalla sua condizione  di povertà dalla scuola). Abbiamo quindi tutti fatto quell’istituto dalle elementari alla maturità.

Ho scoperto qui in Italia che la scuola dell’obbligo finisce prima dell’università. Anche nella scelta dell’università mio padre non lasciava molta libertà, voleva per noi facoltà tradizionali da poterci giocare ovunque, che potessero assicurarci un’indipendenza economica in qualsiasi paese pensavamo di vivere. Infatti, ho fatto ingegneria. Non è un indirizzo di studi dove al momento sono riuscita ad esprimere il meglio di me, ma mi ha aiutato molto, mi ha dato fino ad oggi quel minimo di garanzia che mi permettesse di fare scelte personali con minimi vincoli, liberamente.

  • Qual è il tuo rapporto con la religione?

Sono mista anche come religione. Tutta la mia famiglia dal lato paterno è musulmana, come parte dei miei più cari amici, tutte le persone che frequento sin da bambina e il mio attuale compagno e padre del mio ultimo bimbo.

Tutta la famiglia di mia madre è cristiana e gran parte delle persone a me care o che frequento in Italia lo sono.

Sono stata battezzata in entrambe le religioni per far piacere alle varie famiglie. A scuola mi sono dichiarata cattolica (i miei genitori lasciavano scegliere a noi) e ho fatto catechismo, perché l’alternativa era noiosissima. Inoltre, catechismo includeva gite scolastiche in posti bellissimi fuori Dakar, spesso anche con i ragazzi della scuola di preti di fronte alla nostra. Ho fatto comunione e cresima e poi, troppo delusa dall’atteggiamento sempre condizionato delle suore e con la presa di coscienza, in età adolescenziale, dell’unico modo di vedere il mondo e la storia insegnataci e inculcataci ovunque della white supremacy, evidente anche a Dakar, mi sono allontana.

In Senegal musulmani e cattolici convivono senza alcun problema. È prassi festeggiare tutti tutte le feste, di solito i musulmani invitano i cristiani durante le feste musulmane e i cristiani invitano i musulmani alle feste cristiane. Io partecipo a tutte le feste (e per quanto se ne dica qui dei paesi musulmani, in Senegal i giorni festivi cattolici sono ben più numerosi di quanto lo siano qui, tipo Pentecoste e Ascensione).

Con altre religioni non ho avuto occasione d’interagire più di tanto.

I miei figli grandi, il cui padre è italiano bianco di famiglia cattolica, non sono stati educati a nessuna religione e non sono stati battezzati. Non ho un gran rapporto con la religione perché è comunitaria e non mi ritrovo nelle comunità: le trovo sempre chiuse per definizione. Bisogna poi seguire delle regole perché dettate da qualcuno di superiore ed esserne fedeli. La fedeltà per me non è mai stata una virtù ma una mancanza di assunzione di responsabilità di una scelta che si vuole costante in rapporti che mutano. Non mi piacciono le strutture piramidali e ancor meno riconoscere superiorità di ruolo a certi esseri per il semplice fatto che esistono (Dio, re, conte, principessa). Quindi al di là del pensare se esista un Dio, cosa che semplicemente non so, non mi piace il tipo di rapporto nostro di queste religioni con questa entità, con qualcosa da conquistare, uno scambio meritevole, un giudizio finale secondo una morale nella quale non riconosco alcuna bontà.

  • Qual è (e quando) stato il tuo ricordo consapevole sulla razza? Quando sei stato consapevole di essere bi-razziale?

Il primo giorno di scuola dalle suore francesi. Provenivo dalla scuola materna dell’università di Dakar dove si parlava solo wolof (lingua più parlata in Senegal) quindi non parlavo francese (solo italiano e wolof) e in questa scuola era proibito parlare altro che francese. I libri erano in francese e rappresentavano quel 20% di bianchi della classe sia fisicamente che come nomi che come modi e abitudini. Forse per un fatto sociale o storico o per come ci insegnano le cose passa subdolamente il messaggio che loro erano più belle, i loro nomi erano più belli, avevano la religione migliore e i loro capelli!!! (quando li avevo corti tornata dall’estate dove mia nonna italiana me li tagliava le mie compagne dicevano fossi un maschio, naturali erano disordinati, dovevano sparire tirati indietro o intrecciati. Loro no, potevano tenerli come volevano che erano sempre belle e ordinate), parlavano bene francese come si doveva. Infatti, facevano gruppo a parte. Sono tornata a casa e la sera, con un asciugamano in testa a mo’ di capelli lunghi, ho dichiarato in casa che d’allora in poi non mi sarei più chiamata Déguène ma Claire! Ancora oggi i miei genitori e i miei fratelli maggiori mi prendono in giro per questo.

Questo complesso non era solo mio era di tutti alle elementari infatti posso dire con certezza che ci era stato inculcato non solo dalla scuola purtroppo ma dall’intera società senegalese. Cosa della quale ci siamo in tante e in parte liberate e anzi ribellate in età adolescenziale.

  • Seleziona la casella: quale di queste categorie usi per definirti? E con chi ti identifichi? Perché? ° Africano ° Africano-Italiano ° Italiano_ (altro paese di origine) ° Bianco ° Nero ° Birazziale° Misto ° Multirazziale ° Altro (cosa?)

Mista. Se devo associare qualcosa a italiano è senegalese ma non africano. L’Africa è enorme e per quanto in occidente si tenda a considerare come fosse un paese è estremamente diversa da un posto all’altro e associarla ad un paese a mio avviso la sminuisce.

Se in Italia mi sento più vicina a un ruandese è perché sono stata in Ruanda e rappresenta un paese importante per la mia storia, a un etiope perché sono gli unici che mi hanno sempre considerato come loro, a un marocchino o un camerunese perché siamo entrambi stranieri, entrambi neri.. e questo lo sento ugualmente con un sudamericano. Allo stesso modo mi sento vicina ad un inglese in un villaggio all’interno del Senegal. È quindi quel che riconosciamo di noi nell’altro che ci è familiare, che ci dà sicurezza e che aiuta alla solidarietà.

Sono africana/europea oppure senegalese/ italiana. Mista.

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  • Sei pienamente accettato nel gruppo con cui ti identifichi?

Sono pienamente accettata come straniera ovunque. Forse meno in Senegal perché siamo in molti misti. In Senegal sono half caste.

  • Quando non sei accettato, che tipo di emozioni provi? Accettazione? Rabbia? Rifiuto? Confusione? … Che cosa?

Rabbia. Gli stereotipi mi provocano rabbia.

  • Hai mai sperimentato la prevalenza di una “razza” sull’altra, in Senegal o in Italia?

Sempre. In Italia sono chiaramente considerata africana. Spesso neanche interessa il paese. Posso urlare quanto voglia di essere italiana ma prima o poi nelle frasi, gentilmente, mi ricordano che sono principalmente africana. Quando mi si riconosce dell’italiano è comunque acquisito.

  • Ti capita mai che le persone sbaglino a classificare la tua provenienza/”razza” (sì, lo so .. è terribile .. ma dobbiamo parlare con un pubblico vario!)? Se è così, come ti classificano di solito?

Molto spesso. Qui in Italia sono anche brasiliana, di Santo Domingo, Cuba. Da parte di italiani e senegalesi! Gli unici che mi parlano direttamente la loro lingua e con i quali mi devo giustificare nel non conoscerla sono etiopi e eritrei.

In Senegal invece mi prendono per mista francese senegalese perché sono le più numerose, ma hanno spesso l’umiltà di chiedere prima di classificarmi.

  • Sei mai in conflitto con la tua identità culturale e razziale?

Con me stessa no, la adoro! In Senegal i mulatti sono adorati (sempre per i complessi che ci portiamo dietro da schiavitù e colonialismo i mulatti sono considerati oggi neri ma più chiari quindi più belli, con più capelli, che parlano più lingue..e sono giustificati ad avere comportamenti da bianchi , verso i quali – attenzione- contrariamente a qui, non è pretesa integrazione).

In Italia siamo in pochi. Gli italiani non fanno differenza con altri neri e siamo soggetti a stereotipi. È qui che mi aiuta molto la mia laurea, dicendo che sono ingegnere, dopo stupore come se non esistessero ingegneri neri, l’atteggiamento diventa più rispettoso.

  • Come vieni trattata dai membri della tua famiglia? (sia bianco che nero)

In Senegal la mia famiglia è veramente numerosa quindi non ho intimità con tutti, quelli con i quali ho meno confidenza mi trattano da bianca ed è un vantaggio perché mi esonera da tanti obblighi morali delle tradizioni e comportamenti: sembro sempre ospite.

La mia famiglia italiana pur essendo numerosa è contenuta e sono cresciuta ogni estate con loro, inoltre è molto internazionale, mio nonno per lavoro è stato trasferito in Pakistan (dove ha vissuto mia madre 2 anni con i suoi fratelli del quale uno ci è nato), in Etiopia, in Francia (dove è nata la mia ultima  zia). Quindi i miei zii, come mia madre, avevano già un’impronta internazionale e quasi tutti si sono sposati donne straniere o miste; ho cugini mezzi statunitensi, mezzi peruviani, mezzi srilankesi, l’ultimo matrimonio è stato con una donna russa. Nessuno è straniero a tavola d’estate a Gaeta, o lo siamo in tanti.

  • Cosa ne pensi delle parole molto discusse e maltrattate “Mulatto” e “Half Caste”?

Half caste non mi piace perché non sono mezza di nulla ma sono 100% di ognuna. Oppure una cosa nuova derivante dai due, ma 100%.

Mulatto non mi dà fastidio sarà abitudine. Il mulo non è proprio attraente come animale ma il fatto che sia ibrido mi piace e mi ci riconosco, lo sono.

  • Pensi di essere discriminato perché sei bi-razziale? Perché?

No, non mi sento discriminata. Mi sono sentita spesso soggetto di stereotipi ma non discriminata. Lo sono stata fra l’altro molto più come donna che come bi-razziale.

  • Pensi di avere il privilegio perché sei bi-razziale? Perché?

Ho il privilegio che nessuno pretenda da me obblighi per tradizione o cultura perché mi si considera sempre estranea.

  • Pensi che la tua categoria razziale definisca “cosa” sei?

No; non definisce cosa sono; è parte di quel che sono.

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  • Come reagisci alla microaggressione in generale? A domande o uscite come “Posso toccarti i capelli?”, “Sembri così esotico”, “Non sei come gli altri misti”, “Ma parli bene l’italiano”

Imbarazzo totale. Quel che è difficile è che molto spesso proviene da persone in buona fede quindi a seconda del mio umore faccio finta di niente oppure rispondo spiegando il perché, a mio avviso, è uno stereotipo. “abituati perché saremo sempre di più italiani che non assomigliano secondo te a italiani”.

Quelli che mi creano più rabbia sono quelli che discriminano, quegli stereotipi che scoprono il senso di superiorità di chi ti parla, come le stupidaggini che si sentono in giro sui musulmani o sulle culture africane. Per non parlare del concetto di storia che esclude completamente il continente africano perché si ha la pretesa di pensare che esista solo con l’interazione dei bianchi quindi inesistente all’infuori della schiavitù e del colonialismo (le cui atrocità sono dimenticate in Italia e la bestialità dei protagonisti e della società che l’ha giustificata – la giustifica- mai riconosciuta).

Ad una cena sei in ritardo ed è perché sei africano, gli altri invece sono in ritardo per le loro ragioni.

Qualsiasi cosa dici la loro conoscenza è ovviamente più valida per loro di qualsiasi tua esperienza quindi fai prima a girarti dall’altra parte.

“Questa non è Africa” sono riuscita a sentire da un amico italiano che era a Dakar, per la prima volta in Africa. Cioè aveva cosi chiaro come deve essere l’Africa (che cosa significhi non lo so) che pur essendoci fisicamente può affermare che non lo è, perché non corrisponde alla sua idea. Non parlo certo di un idiota ma un amico brillante e di sinistra. Infatti, lì mi si spiazza, sto zitta e ne riparliamo in un altro momento.

  • Quali sono i vantaggi di essere bi-razziali?

Il vantaggio assoluto è che noi mulatti siamo, fisicamente, una rappresentanza dell’alternativa AMORE dell’argomento bianco/nero anziché razzismo, essendone per definizione l’unione.

Culturalmente invece, doppia lingua? conoscenza culturale? più tolleranza e equità nei rapporti? Più sensibilità riguardo alle differenze quindi alle discriminazioni? Ovviamente non è sempre per forza così.

La capacità di adeguarsi ad ambienti totalmente diversi e rispettarli o per lo meno prenderne atto, conoscerli, anche senza per forza accettarli.

  • Quali sono le sfide per essere bi-razziali?

Non lasciar passare stereotipi e discriminazioni. Dovrebbe essere la sfida di tutti. Non accettarle mai come normalità quindi non giustificarle.

  • Dove e come ti vedi tra cinque anni?

Sto provando a vedere se riesco a trasferirmi e lavorare in Senegal. Ma devo prima verificare un po’ di condizioni quindi non è ancora un progetto ma un’idea.

  • Quale messaggio vorresti dare alle nuove generazioni miste?

Di mettersi nelle condizioni di acquisire un massimo di sicurezza in sé e di acquisire gli strumenti per potersi esprimere in prima persona, senza dover essere rappresentato da nessuno (studiando) compensando l’assurdità che siano sempre gli altri a parlare di noi.

Non devono aspettare che nessuno le accetti ma assumersi pienamente e scaturire cosi bellezza.

Di non cercare di definire sé stessi solo in funzione del nostro essere misto. Non bisogna essere attaccati a nessun concetto. È una delle cose che ci definisce ma non è quel che ci definisce, e soprattutto non deve essere la giustificazione dei nostri insuccessi.

Il problema con le minoranze è fare proprie le etichette che gli altri ti vogliono addossare, è giustificare i propri problemi con questa caratteristica che si è decisa ci debba definire e diventare in questo modo una vittima “perché sono adottata, perché sono grassa, perché sono nera, perché sono gay, perché mi manca una gamba” ecc. Non è semplice ma dobbiamo andare oltre a questo e rifiutare di essere una categoria, siamo molto di più. Non vittimismo ma rivendicazione di diritti.

Poi, come dice Angela Davis spiegando il concetto di intersezionalità, razza, genere e classe sono inseparabili nella realtà sociale che abitiamo. Implica logicamente, fra le altre cose, un ampliamento del proprio sguardo e del proprio agire, in modo da connettere questa lotta ad altre battaglie per la libertà.

Infine, tenere sempre presente che noi mulatti rappresentiamo fisicamente l’alternativa unione e amore delle differenze, quindi facciamone tesoro perché è meraviglioso, e cerchiamo di condividerlo anche culturalmente.

 
 
Roberta Abiodun Shitta, Digital Marketer, Project Manager, Italian | Nigerian.
 
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