Quando parliamo del mondo dei misti, affrontiamo spesso il concetto di stima e/o autostima, perché, pare, sia uno degli elementi in cui ci si arena più facilmente. L’autostima delle persone multirazziali segue iter e processi certamente simili a quelli di tutte le altre categorie, ma ciò che la differenzia è la pluralità di culture con cui abbiamo a che fare, le dinamiche di accettazione e/o rifiuto di una o dell’altra cultura e l’applicazione di tale risultato, nella vita soggettiva di ognuno, all’interno della società.
La stima di sé si connota come un’esperienza molto soggettiva, legata più a ciò che ciascuno sente e pensa a proposito di sé stesso, che non a quello che gli altri credono di lui. In effetti, se ci pensiamo bene, di tutti i giudizi che vengono pronunciati su di noi durante la vita, il più importante, e a volte il più critico, è proprio il nostro.
Avere una buona considerazione di sé stessi, quindi, giudicarsi e pensarsi in termini favorevoli, agisce come una sorta di sistema immunitario dello spirito, che consente di affrontare, in modo efficace, quanto la vita ci propone e di attingere a capacità di ripresa qualora ci si confronti anche con gli inevitabili insuccessi. Viceversa, una considerazione negativa di sé stessi può determinare un maggior timore nell’affrontare i problemi e le circostanze della vita e una minore capacità di recupero di fronte agli insuccessi.
Pertanto, credere nel proprio valore e sentirsi intimamente sicuri, aiuta a rispondere adeguatamente a sfide e opportunità, viceversa, se non crediamo in noi stessi, nelle nostre capacità e nel nostro essere degni d’amore e di stima, affronteremo la vita con più difficoltà. In effetti, se ci pensiamo, quanto è più alta la stima di noi stessi, tanto più tendiamo a essere ambiziosi, non solo e non necessariamente per quanto concerne la carriera o i guadagni, ma più in generale, per tutto ciò che speriamo di ottenere dalla vita, sia nell’ambito affettivo e sentimentale, sia nella sfera intellettuale, creativa e spirituale. Per contro, più è bassa la stima di noi stessi, più i nostri obiettivi sono limitati e, addirittura, più difficile diventa raggiungerli.
Entrambe queste posizioni tendono a rafforzarsi e a perpetuarsi: più ci stimiamo più sentiamo il bisogno di esprimere la nostra ricchezza interiore e di confrontarci con gli altri quando invece ci sottovalutiamo diventa più difficile portare avanti le proprie idee, esprimere i propri sentimenti e in ultima analisi entrare in relazione con gli altri.
La stima che abbiamo di noi, non dovrebbe dipendere dal giudizio o dall’approvazione degli altri. Infatti, anche aspetti importanti, che possono farci sentire meglio nei confronti di noi stessi, o metterci al riparo da un possibile giudizio negativo esterno, o ancora farci sentire maggiormente a nostro agio in situazioni particolari – ad esempio un buona cultura, il matrimonio, la maternità o la paternità, le ricchezze materiali, l’impegno filantropico, le conquiste sessuali, i lifting o altro ancora – non sono aspetti costitutivi della stima di sé. Questi aspetti possono influenzare la stima di sé ma non la determinano. In effetti, la stima di sé è un qualcosa che tocca gli aspetti più profondi e intimi della nostra persona essendo connessa sia al percepirsi come individui competenti – quindi capaci di affrontare la vita, di imparare, scegliere e prendere decisioni adeguate – sia al percepirsi come persone degne di essere amate.
Ora, nello specifico del mondo mixed, il concetto di sé è costituito da due componenti separate: l’identità sociale e quella personale. L’identità sociale è definita come conoscenza dell’appartenenza a gruppi sociali specifici e dell’effetto valutativo associato con l’appartenenza. L’ identità personale denota caratteristiche specifiche di un individuo, come essere il figlio di “X” o fan di un gruppo musicale. Come pensiamo a noi stessi riflette non solo le nostre caratteristiche personali ma anche le nostre categorie sociali.
I modelli di identità monorazziale suggeriscono un processo lineare di identità; lo sviluppo in cui un individuo si sposta verso fasi più avanzate, come quelli culturali, dei valori e dei concetti di sé, sono rafforzati dalla società con il risultato di uno stato idealizzato. L’individuo multirazziale, invece, sfida un processo più complesso di identità, che poi viene attribuito, dalla società, come incoerente. Questo succede perché l’adattamento sociale e personale di noi mixed, porta alla convinzione che quelli che scelgono un’identità al di fuori di ciò che la società ritiene legittimo, sono considerati dei disadattati. Peccato che tutti gli studi e le teorie esistenti sul tema non tengano conto di chi si identifica, contemporaneamente, come membro di due o più gruppi. Gli individui multirazziali sperimentano l’impatto di non essere bianchi tra i bianchi e di non essere neri tra i neri, ma non per questo bisogna ritenere che non siano in grado di accettare la loro dualità come forma vitale esistente, a discapito di ciò che pensa la Società.
Lo stesso ruolo dell’apparenza fisica, e del suo impatto, ha un’importanza non indifferente nella analisi sull’identità multirazziale e non lo si può negare. E’ proprio confrontando questo aspetto fisico con i nostri stereotipi razziali/etnici che la società ritiene legittima la propria etichetta razziale. Peccato che, anche qui, non si tenga in considerazione che, nei propri stereotipi, manchi la voce “mixed” o “multirazziale”.
Ed ecco il motivo per cui sono qui, con questo blog, a rammentarvi che avete perso un pezzo nella vostra lista di classificazioni razziali. Sono qui a rammentarvi di guardare bene ciò che avete di fronte e a scrollarvi di dosso quella bruttissima mania che avete di volerci inserire, a tutti i costi, nei quadranti sbagliati, in quelli che VOI ritenete sia più corretto. Sarebbe sufficiente che guardaste con più attenzione e vedreste che l’aspetto fisico è, sì, una componente integrale dell’identità etnica, ma che ci state obbligando a rientrare in categoria specifica, che non ci appartiene nella sua interezza, e cioè, per voi, o siamo bianchi o siano neri.
Ecco che domande come “Di dove sei?” o “Cosa sei?” hanno implicazioni pervasive, se non totalmente impertinenti. Innanzitutto, perché suggerisce che la persona multirazziale a cui queste domande sono rivolte, è in qualche modo diversa dalle aspettative della società nei confronti di una razza/etnia, perché sfida gli stereotipi razziali/etnici vigenti nella nostra società e si trova, pertanto, sin dalla tenera età, a sperimentare un’esagerata ed eccessiva attenzione sul loro aspetto fisico. In secondo luogo, la postulazione di questa domanda fornisce un pretesto per esplorare le questioni dell’identità razziale/etnica sulla società in cui la percezione di un individuo è parte integrante del processo di identificazione.
Oggi voglio presentarvi una persona che stimo molto, sia professionalmente che umanamente, e che può essere il portavoce dell’alta e molto positiva considerazione di sé. E’ una persona schietta, di quel tipo di schiettezza che a me piace molto, senza fronzoli né preamboli. E’ una persona che ha saputo far tesoro dell’autostima acquisita durante il proprio percorso di vita e che lo ha saputo valorizzare nel suo modo di porsi alle persone, sempre con molto garbo e molto rispetto. Federico è una di quelle persone che ascolti con profondo piacere, perché infonde un senso di sicurezza nei concetti che espone e nei ragionamenti che intavola.
Allora, Federico, anche per te l’odiosa domanda: “What are you? Cosa/Chi sei?
Cara Luisa, prima di tutto permettimi di ringraziarti per l’opportunità che mi dai di parlare al tuo pubblico. Mi chiamo Federico Chigbuh Gasparini, classe ‘71. Nato e cresciuto a Milano. Nella vita faccio il Business Designer Freelance e l’imprenditore. L’elemento comune di entrambe le mie attività è il mettermi al servizio di imprenditori e liberi professionisti o freelancer per aiutarli a lanciare o rilanciare sul mercato i loro business attraverso la creazione di personal o unpersonal Brand. Come lo faccio? Attraverso consulenze mirate a cambiare il loro modello di business.
Per quanto riguarda, invece, le mie origini: mio padre è nigeriano e mia madre è italiana. Quindi, sono mulatto.
In quale ambiente sei vissuto? Prevalentemente, bianca o nera? Borghesia?
Sono cresciuto in un ambiente ricco dell’amore di mia nonna materna (bianca). Famiglia borghese del centro di Milano. In una società di soli bianchi. Comprese le donne di servizio. Per lungo tempo, l’unica persona di colore che ho frequentato è stato mio fratello.
Nel senso che tuo fratello è mulatto come te o nero?
Mio fratello è mulatto come me, of course! Siamo entrambi figli del primo matrimonio dei miei genitori che, purtroppo, per loro e per noi, è naufragato.
Che tipo di educazione hai ricevuto?
La migliore! Sempre scuole private di alto livello, dall’asilo al liceo classico. E per finire mi sono laureato in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per tutti i milanesi doc semplicemente, “La Cattolica”.
Che rapporti hai con la religione?
Sono cattolico anche se, ultimamente, vado poco in chiesa. Ma prego tutti i giorni al mattino e alla sera prima di addormentarmi. Affido la mia giornata a Dio e chiedo la sua protezione la notte.
Tick the box: quale tra queste categorie usi per definirti? E con quale ti identifichi? Perché? °African °AfroItaliano °Afroeuropeo °Italo-Nigeriano °Bianco °Nero °Birazziale °Misto °Multirazziale °Altro
Nessuna delle suddette. Io sono italiano per nascita e cultura. Al limite, mi definisco con orgoglio “Milanese Imbruttito”. Vado molto fiero della mia milanesità.
Cosa ne pensi delle discusse e bistrattate parole “Mulatto” e “Half Caste”?
Io sono mulatto. That’s it. Queste parole possono dar fastidio solo a persone dalla bassa autostima e scarsa fiducia in sé.
Effettivamente noto, con immenso piacere, che in fatto di autostima sai il fatto tuo. Non è una cosa molto comune per noi mixed. E’ un dato di fatto che ogni giudizio è legato a chi giudica, e, come asserivo nell’introduzione, l’autostima prevede che sia tu, e soltanto tu, ad esprimere un giudizio su te stesso. Io, per esempio, cerco sempre il mio reale valore e non qualcosa che dipenda da cosa pensa di me la gente (giudizio degli altri e non mio valore), o dai miei successi (risultati e non mio valore) , o, ancora, cosa penso di me (autostima, non è il mio valore; non è necessariamente la realtà, ma solo la mia percezione della realtà). La mia domanda è: Cosa valuti quando ti valuti?
Onestamente, cara Luisa, io sono molto basic. Infatti, quando mi valuto guardo con orgoglio alle sfide che ho superato nella mia vita e poi penso a tutte quelle persone, a me care, che ora non ci sono più, poiché si sono suicidate a causa delle difficoltà che vivevano. E alla fine mi dico: “Io sono ancora qui”.
So che, come me, ami molto Napoleon Hill e ci troviamo molto d’accordo sul fatto che nulla all’esterno di noi conta. Mi riferisco a quel passaggio nel suo libro “Pensa e Arricchisci te stesso” in cui tuona con questo breve assunto:
Se credete di partire battuti, lo sarete,
Se ritenete di non sapere osare, non oserete.
Se vorreste vincere, ma pensate di non riuscirci,
È quasi certo che fallirete
Se immaginate di perdere, avete già perso,
Perché nel mondo è vero che
Il successo inizia dalla volontà dell’individuo,
È nella sua mente
Se credete di essere surclassati, lo siete.
Per elevarvi, dovete puntare in alto,
Dovete essere sicuri di voi prima
Di poter vincere un premio.
Le battaglie umane non arridono sempre
All’uomo più forte o veloce.
Prima o poi l’uomo vincente
Sarà quello che ritiene di poter vincere.
Tu che ne pensi, in realtà?
Cara Luisa, condivido al 100% queste parole. Non per nulla io apprezzo molto il concetto di Übermensch teorizzato da Friedrich Nietzsche. La vittoria o la sconfitta sono nella nostra mente. Bada bene che questo modo di pensare non nasce con me ma l’ho acquisito nel tempo. Ci sono stati periodi della mia vita in cui non credevo così fortemente in me stesso (ad esempio, nell’adolescenza come accade a molte persone) o nel periodo successivo alla morte della mia amatissima nonna. Ma, ora, forgiato dal fuoco delle mille battaglie della vita, per fortuna, la penso così.
Sei accettato completamente nel gruppo in cui ti identifichi?
Sono sempre accettato da tutti. A volte, ci possono essere degli ipocriti che, magari, di fondo sono razzisti ma che davanti a me e nei miei confronti non osano dire nulla.
Quando non vieni accettato, che tipo di emozioni provi? Accettazione? Rabbia? Rigetto? Confusione?…Cosa?
Mi è capitato da piccolo e adolescente. A quell’epoca, provavo rabbia. Ora, sono io che non accetto gli altri. Sono molto selettivo e questo ha portato a un ribaltamento della situazione. Sono gli altri che cercano me.
Ti va di raccontarmi un episodio che più ti è rimasto impresso, nella tua infanzia e/o adolescenza, in cui provavi rabbia perché non venivi accettato?
Sinceramente, questi episodi sono molto sfuocati nella mia mente poiché è passato molto tempo. Forse, quelli che ho sentito di più li ho vissuti all’oratorio. Non tutti i ragazzi mi accettavano ma penso che ciò fosse dovuto più per una questione di censo che di colore della pelle. Oppure, quando in discoteca alcuni mi avevano soprannominato “Cannibalino”. Era il periodo in cui la canzone “She drives me crazy” dei Fine Young Cannibals dominava le classifiche. Ti parlo di “illo tempore”.
Sperimenti mai la prevalenza di una “razza” sull’altra?
Sono gli altri che sperimentano la mia supremazia “ariana”. Le razze non esistono.
🙂 🙂 Ti capita mai che le persone sbaglino a classificare la tua provenienza/”razza” (sì lo so..brutto….. ma stiamo parlando ad un pubblico vario!)? Se sì, come ti classificano di solito?
Per strada mi è capitato di essere fermato da qualche nordafricano che mi aveva scambiato per suo connazionale.
Qualche volta, in spiaggia, mi è capitato che mi scambiassero per brasiliano.
Ma la cosa più divertente mi è capitata l’estate scorsa. Devi sapere che io, ultimamente (qui in Italia), trascorro 2 mesi di vacanza all’anno in spiaggia e quindi mi abbronzo molto. Quel giorno stavo riprendendo la mia bici e una coppia di italiani che stava camminando nella mia direzione inizia a fissarmi per via della mia abbronzatura. Erano quasi alla mia altezza e sento lei dire al marito: “Sicuramente, è italiano”. Volevo rispondere: “Signora, sono milanese. Di Milano Milano, però. Mica un giargiana”. Ma non ho voluto infierire.
Avresti dovuto. In fin dei conti ne hai tutti i titoli (e più). Ti senti parte di una minoranza etnica?
Sì! I milanesi. Siamo una razza in via di estinzione.
In che senso?
Di milanesi duri e puri che racchiudono in sé tutte le caratteristiche attibuite dalla tradizione al “Sciur Brambilla” ce ne sono rimasti pochi. Si tratta di persone, come il sottoscritto, che hanno un mindset, uno stile di vita, un’etica del lavoro e un’amore per la città di Milano che suscitano in molti un atteggiamento di amore ed odio.
Hai faticato/Fatichi a capire a quale “razza” appartieni? Riesci a spiegarmi perché?
No, mai. Perché mi sento il più bianco tra i bianchi.
Sei mai in conflitto con la tua identità culturale e razziale?
Mai!
Lo hai visto il film di Tarantino, Django Unchained? La scena in cui il maggiordomo Stephen (uno strepitoso Samuel L. Jackson, as usual), nonostante il suo essere schiavo, preferisce aiutare il suo padrone bianco, che comunque gli regalerà qualche privilegio. Ma lo sai che qualcuno, soprattutto dalla parte nera della nostra appartenenza, potrebbe dire (come è successo a me un paio di volte!!) che ti hanno fatto il lavaggio al cervello? Che sei diventato lo “Yes Man” dell’uomo bianco o, peggio, lo “Zio Tom” d’America?? Tu che gli risponderesti?
Sì, l’ho visto e mi è piaciuto molto.
Beh, se mi capitasse una cosa come quella capitata a te, cara Luisa, risponderei così: “Ehi, sinceramente, non mi sembri fratello Malcolm o il molto onorevole Elijah Muhammad e di quello che pensi tu non me ne frega una beata minchia!”.
Se a qualcuno non piace il mio modo di pensare, non è obbligato/a a frequentarmi. That’s it!
Non verserò di certo una lacrima per il fatto che una persona che pensa che io sia uno “Zio Tom” o uno “Yes Man”dell’uomo bianco se ne va per la sua strada.
Come vieni trattato dai membri della tua famiglia? (sia quella bianca che quella nera)
Benissimo. E ci mancherebbe altro.
Pensi di essere discriminato perché birazziale? Perché?
No! Sono io che discrimino gli analfabeti funzionali. Si tratta di qualcosa più forte di me. Da anni, ho abbandonato il politically correct e il buonismo.
Pensi di essere privilegiato perché birazziale? Perché?
Sì, poiché ho un fisico eccezionale e d’estate ho un’abbronzatura che tutti m’invidiano. Inoltre, ho un’intelligenza superiore.
Sei una forza della natura!!!!! Ritieni che la tua categoria razziale definisca “cosa” sei?
No!
Sei mai stato vittima del colorismo interazziale o intrarazziale?
Intra-razziale mai. Però, da bambino e adolescente sono stato vittima di razzismo. Mi è capitato anche quando ero militare e, una o due volte, successivamente. Capita! Questa è la vita e non ci puoi fare nulla.
Puoi raccontarci una tua esperienza? E come hai reagito?
Una volta alle medie, durante la ricreazione, stavo parlando con alcune ragazze e un mio compagno di classe per far lo spiritoso davanti alle fanciulle mi ha apostrofato così: “Sporco negro di merda che stai facendo?”. Un attimo dopo si è trovato a terra mezzo svenuto. Gli avevo dato un pugno in faccia, talmente, forte che l’avevo letteralmente fatto volare dentro l’armadietto dei grembiuli.Da quel giorno è diventato molto servizievole e gentile nei miei confronti.
Come ha scritto Donald Trump nel suo libro “Pensa in grande” l’unica cosa che i bulli comprendono è la violenza.
Ti è mai stato chiesto di scegliere una sola “razza” perché non puoi appartenere ad ambedue? Cosa hai risposto?
Mai. Però, Bianco o Nero che sia, un/una imbecille del genere si troverebbe in grossi guai. Ho una lingua più affilata di una spada e due mani che sono come due badili. Hai presente Muhammad Ali?
Come reagisci alle micro-aggressioni in genere? A domande o uscite tipo “posso toccarti i capelli?”, “sembri così esotico”, “non sei come gli altri misti”, “ma parli bene l’italiano”.
Nel caso delle prime due affermazioni, se le fa un uomo, mi preoccupo un poco e metto le “mutande di ghisa”. Sai com’è, io sono un tradizionalista. Mi piacciono le donne. La terza non me l’ha mai detta nessuno. Fa molto “Harry Potter”. La quarta nessuno oserebbe rivolgerla al sottoscritto poiché parlo un italiano aulico. E il mio interlocutore fin da subito capisce che in confronto a me è una “capra”.
Io sono Dante Alighieri o Alessandro Manzoni e lui è “Cetto La Qualunque”, il personaggio creato da Antonio Albanese.
Però, da bambino. Erano gli anni ’70 mi capitava spesso che mi volessero toccare i capelli. Oppure, al mare, che mi chiedessero di vedere il segno dell’abbronzatura poiché arrivavo “bianco” e in tre giorni ero già bello abbronzato. E gli altri bambini non riuscivano a capire la magia.
Che messaggio ti piacerebbe dare alle nuove generazioni miste?
“Il colore della pelle non è negli occhi di chi guarda ma nelle vostre menti. Quindi, non fatevi condizionare dai giudizi dei bianchi o dei neri e andate dritti per la vostra strada”.
Grazie ci cuore, Federico! E’ stato davvero un piacere intrattenermi con te. Ho apprezzato molto la tua autenticità, la tua franchezza e schiettezza (l’ho detto anche in apertura!). Sei una persona che ha molto da insegnare alle giovani generazioni. Uno per tutti, la necessità di andare dritti verso la sostanza delle cose e della vita. E penso sia uno dei pali più importanti della vita di ognuno.
Grazie a te, cara Luisa, per avermi fatto fare questo viaggio interiore.
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder MBA Métissage Boss Academy . & Métissage SangueMisto.