Ero ad un evento di lavoro e dopo aver presentato il mio lavoro di formatrice e consulente sulla #diversitàculturale, la Presidentessa di una importantissima realtà globale mi si avvicinò e mi disse: “Mi è piaciuto molto il tuo discorso e sei stata così “articolata” e impeccabile nel tuo italiano. E’ da molto che sei in Italia? “.
Ora, ringrazio di cuore la Presidentessa ed il complimento fattomi, sicuramente con le migliori intenzioni, ma mi sono chiesta perché debba costantemente interpretare le interazioni con le mie controparti bianche attraverso una lente culturale/razziale. Cosa c’entra, direte! Beh! Questi commenti e gesti, seppur ben intenzionati e prive di malizie deliberate, si manifestano come microaggressioni razziali per molte persone di colore diverso dal bianco. Non ho potuto fare a meno di pensare che abbia detto quello che ha detto perché non si aspettava che una donna di colore, Mixed, parlasse bene o possedesse un vocabolario prolisso.
Anche se ho trascorso la maggior parte della mia carriera di giovane adulta in spazi prevalentemente bianchi, alcune volte provo ancora questa sensazione pervasiva di non appartenere completamente agli spazi che abito. C’è un’incrollabile e onnipresente convinzione di essere un’estranea, un impostore, come se le mie azioni e i miei comportamenti fossero costantemente sotto sorveglianza.
Nonostante il mio successo e i miei riconoscimenti, come donna Mixed devo ancora affrontare la complessità quotidiana dell’essere sia Mixed che donna, complessità che spesso non è facilmente compresa da chi non condivide queste identità. Le mie opinioni vengono ancora screditate in certe riunioni di closed-minded people, vengo spesso interrotta dagli uomini e sono “costretta” ad essere ancora iper-consapevole di ciò che dico, di come lo dico, di come mi vesto e di come mi muovo in spazi prevalentemente bianchi. Quando le persone di colore sfidano i pronostici della società o non si conformano alle nozioni razziste su come la società ritiene che debbano comportarsi o ottenere risultati, le glorifichiamo e le classifichiamo come un’eccezione alla regola.
Lo posso ammettere con relativa serenità: in un mondo in cui le conquiste e i risultati delle persone appartenenti a minoranze sono contestati e messi in discussione, ci troviamo sempre a dover apparire competenti, raffinati e a modo. Essere “articolati” – saper parlare bene – non è una scelta libera, ma una scelta obbligata per molte persone di colore che sanno che apparire piacevoli e comprensibili, in spazi prevalentemente bianchi, è una tattica di sopravvivenza.
Come donna Mixed realizzata, spesso mi viene fatto credere che la mia vita sia stata privilegiata, priva di lotte e ostacoli. Attualmente ricopro un ruolo che mi permette sia l’autonomia creativa che il potere e l’influenza posizionale; riconosco che i miei risultati e la mia statura professionale mi hanno permesso di entrare e accedere a spazi professionali prevalentemente bianchi e benestanti, spazi a cui altre persone di colore provenienti da contesti o posizioni professionali meno agiate non avrebbero avuto accesso. E la società tende a premiare questo risultato con un’eccezionalismo fuori dalla regola.
Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione per l’eccezionalismo nero, ovvero l’idea che le persone di colore diverso dal bianco che hanno successo nonostante le barriere sistemiche siano considerate o percepite come una rarità rispetto al resto della popolazione nera. Parliamo dell’idea che le persone di colore diverso dal bianco istruite, intelligenti, educate, posate e praticamente ogni altro aggettivo positivo che si possa pensare siano atipiche o rare tra la popolazione nera in generale.
Negli ultimi anni, frasi e hashtag come #blackgirlmagic e #blackexcellence sono diventati emblematici di questa idea, guadagnando popolarità e rilievo, mentre il simbolismo delle “prime volte” dei neri viene presentato come un modo fondamentale per mostrare ai bambini neri che il successo è possibile e come, nonostante nel corso della storia, le barriere sistemiche ed il razzismo globale abbiano reso più difficile l’ascesa e il successo dei neri, il mostrare coloro che sono stati in grado di avere successo possa fungere da quella conclamata idea di rappresentazione importante e vitale da mostrare.
La promozione dell’eccezionalismo nero è dilagante e nello stesso tempo sfuggono le conseguenze ed i danni sui neri e le persone di colore diverse dal bianco stessi. Cosa c’è di sbagliato in questa idea?
Per cominciare, l’eccezionalismo dei neri è un mito. La società tende a credere che le persone di colore che esprimono attributi socialmente desiderabili come il saper parlare bene, il portamento e la diplomazia siano atipiche, ed è per questo che tendono a essere eccessivamente accentuate o messe in evidenza in spazi prevalentemente bianchi. Ma questi modi di essere non sono rarità o eccezioni. Possono sembrare eccezioni in base alle rappresentazioni distorte e poco lusinghiere dei neri che dilagano nei media tradizionali (solo camerieri, solo operai, solo addetti alle pulizie, solo persone aggressive, solo delinquenti…), ma non lo sono. Anzi! E’ un mito che nega l’individualità e l’umanità che viene regolarmente concessa alle persone bianche.
Questa nozione di eccezionalismo dei neri porta con sé anche l’ipotesi di fondo che esista una manifestazione unica e unidimensionale della blackness. Una persona di colore diversa dal bianco che non si conforma a questa immagine imposta e univoca della blackness è in qualche modo un’eccezione alla regola. Creando questa falsa dicotomia, il mito dell’eccezionalismo nero ci nega l’individualità e l’intero spettro di umanità che è così facilmente offerto alla popolazione bianca di questo Paese. Quando parliamo o agiamo, le nostre parole e le nostre azioni vengono spesso interpretate per dire qualcosa sull’intera popolazione nera, sia conformandoci agli stereotipi dominanti sulle persone di colore sia discostandocene.
Un esempio conclamato è il caso dell’attore Sidney Poitier, attore afroamericano che per primo ha raggiunto la dimensione di icona di Hollywood. Il suo personaggio costruito doveva distinguerlo dalla massa nera, assicurando al pubblico bianco che era speciale e che quindi valeva la pena di sostenerlo, fidarsi, ammirarlo e forse anche desiderarlo. Hollywood confezionava e vendeva il particolare marchio di nerezza di Sidney come la forma corretta di nerezza. “Se ha permesso a Sidney di accedere alle sale santificate e bianche di Hollywood, pensate a dove può portare voi“, sembra dire Hollywood ai neri americani.
Certo, non abbiamo scoperto l’acqua calda! L’esistenza di stereotipi sulle persone di colore diverso dal bianco non è certamente una scoperta nuova. Io stessa e molti delle mie conoscenze possiamo sciorinarvi qui numerose storie di quando i nostri amici, colleghi e colleghi bianchi ci dicono che non ci considerano neri, il che indica che hanno un’idea concreta e definita di cosa sia la negritudine. Mi è stato persino detto da altre persone nere che non ero “abbastanza nera”, il che dimostra che avevano interiorizzato l’idea di una forma unica e statica di nerezza. Ma quello che vorrei sottolineare è come questo mito dell‘eccezionalità nera, e gli stereotipi che ne sono alla base, si infiltrino nella quotidianità e si manifestino in modi dolorosamente reali.
Vi ricordate i tre giovanissimi giocatori neri (Marcus Rashford, Jadon Sancho e Bukayo Saka N.D.R.) della nazionale di calcio inglese che sbagliarono i calci di rigore durante la finale Euro 2020 (per di più giocata contro l’Italia), scatenando una raffica di commenti razzisti che hanno inondato Internet? Qualcuno fece poi notare che gli insulti online che i giocatori stavano subendo erano particolarmente gravi e non meritati poiché i giocatori in questioni si erano impegnati in azioni caritatevoli rilevanti (Marcus Rashford, per esempio, aveva promosso una campagna per fornire pasti ai bambini durante la pandemia, mentre Jadon Sancho, aveva collaborato con Nike per costruire un impianto di calcio per i giovani di Londra). L’inclusione delle loro azioni caritatevoli nella discussione voleva sosteneree l’idea che i giocatori, essendo “brave persone”, non meritassero gli abusi che stavano subendo. Il messaggio alla base di questa corrente di pensiero è che le persone di colore diverso dal bianco, eccezionali, non dovrebbero subire discriminazioni e razzismo.
Questa narrazione diventa problematica perché rafforza l’idea che una persona di colore che ha commesso un’infrazione o un crimine non meriti umanità. Propaga l’idea che i neri meritino l’umanità solo se sono eccezionali, caritatevoli e buoni, mentre quelli che hanno commesso errori sono irredimibili.
La pressione della perfezione
Apparentemente, la celebrazione dei successi delle persone di colore sembra innocua. Dopo tutto, l’ispirazione è potente e dà alle persone la possibilità di vedersi rappresentate in ruoli di leadership, soprattutto in occupazioni tradizionalmente dominate dai bianchi. Tuttavia, l’idea dell’eccezionalismo nero ha un peso immenso.
Da esso deriva un senso di grande responsabilità nel rappresentare non solo sé stessi, ma anche la propria comunità. L’eccezionalismo nero esercita un’immensa pressione su coloro che già affrontano barriere sistemiche per essere perfette e dimostrare il proprio valore. Questa pressione può portare al burnout e a un senso di inadeguatezza tra le persone di colore che potrebbero non avere accesso alle stesse risorse o opportunità di altri gruppi. Inoltre, trasmette il messaggio che il successo è possibile solo se si eccelle al di là di ciò che è “normale”. Questo può portare a sentimenti di alienazione, in quanto coloro che non si sentono all’altezza delle aspettative riposte su di loro hanno la sensazione di non essere mai abbastanza bravi.
Il peso delle aspettative irrealistiche
Se da un lato è importante riconoscere i risultati ottenuti dalle persone di colore che hanno successo, dall’altro il pericolo è che spesso si creano aspettative irrealistiche per i membri della comunità nera, in particolare per coloro che devono affrontare barriere sistemiche e non hanno accesso alle stesse risorse o opportunità che hanno gli altri. Questo può portare a sentimenti di disperazione tra coloro che devono affrontare l’oppressione sistemica, in quanto possono pensare che, per quanto si impegnino, non saranno mai in grado di raggiungere il livello di successo dei loro coetanei. Si ha inoltre la percezione imprecisa che le persone di colore che hanno raggiunto l'”eccellenza” non abbiano più ostacoli e barriere sul loro cammino.
Inoltre, anche quando si raggiunge il successo, questo viene accompagnato da un livello di controllo più elevato. Ci sono innumerevoli esempi di persone di colore “eccellenti” che devono lavorare più duramente delle loro controparti bianche o che ricevono un contraccolpo quando difendono se stessi e ciò che è giusto. Questo alimenta un ciclo infinito: fin da piccoli, i bambini neri vengono indottrinati con l’idea dell’eccezionalismo nero e che il raggiungimento di obiettivi elevati sia l’unico modo per avere successo nel mondo.
L’idea che essere eccezionali possa in qualche modo mettere al riparo i neri dalla discriminazione e dal razzismo è, ovviamente, una falsità. Spesso le persone di colore considerate “eccellenti” sono iper-sottoposte a controlli e penalizzate per la loro eccellenza. Ne è un esempio classico la storia di Simon Biles, la ginnasta più decorata della storia e una delle più grandi ginnaste di tutti i tempi. Dopo aver eseguito con successo una delle manovre più pericolose della ginnastica, i giudici che l’hanno valutata le hanno assegnato un punteggio di 6,6, ritenuto davvero troppo basso da molti di coloro presenti, data la difficoltà dell’esercizio e la naturalezza con cui la Biles l’ha eseguita. A molti è sembrato che la ginnasta fosse stata punita per la sua eccezionalità e ne è conseguita l’idea che non ha importanza quanto una persona di colore sia brava o eccellente, il fatto è che sembra non sia mai abbastanza.
Quel che è peggio è che quando i neri si oppongono alla nozione di eccezionalismo nero, c’è anche un contraccolpo. I neri che si rifiutano di “esibirsi” o di far valere il proprio lavoro vengono diffamati, vittimizzati e praticamente molestati. Naomi Osaka lo ha sperimentato quando si ritirò dagli Open di Francia. Osaka, che ha raccontato di aver sofferto di ansia e depressione, è stata duramente criticata sui social media, così come Simone Biles quando decise di ritirarsi dalle competizioni degli ultimi Giochi Olimpici.
La realtà è che nessuno è perfetto. E la cosa vale per tutti. Ma a molti neri viene insegnata fin da piccoli che devono essere due volte più bravi delle loro controparti bianche per essere considerati uguali (famosa è il mantra di molte madri nere ai loro figli: “Devi essere due volte più bravo di loro per avere la metà di quello che hanno loro“). Viene randomizzato il fatto che per avere successo bisogna lavorare due volte più duramente, essere articolati e pronti per essere considerati credibili. Non è possibile essere mediocri; non è permesso di fallire o di andare a fondo. Essere quasi perfetti è emotivamente estenuante.
L’eccezionalismo dei neri fa leva sull’idea della politica della rispettabilità: se i neri si comportano nel “modo giusto”, sono meritevoli di decenza e rispetto. La nostra ossessione per l’eccezionalismo nero non permette ai neri di essere semplicemente delle persone e porta a creare una gerarchia di negritudine in cui le vite dei neri istruiti, promettenti ed eccezionali devono essere valorizzate più di quelle dei neri stereotipati, ovvero dei delinquenti. L’eccellenza nera non permette ai bambini neri di essere bambini. Puntare a grandi obiettivi e cercare di migliorare le proprie prestazioni in qualsiasi ambito è ammirevole. Questa non vuole essere una critica a ciò. Si tratta piuttosto di comprendere questo bisogno spasmodico sull’ossessione della nostra società per l’eccezionalismo nero e sul “è il primo nero a …”. L’eccezionalismo nero incoraggia le persone di colore a sacrificare la propria salute, il proprio benessere mentale e il proprio welfare in nome della grandezza, dell’eccellenza e della rarità.
L’eccezionalismo nero diventa una vetta irraggiungibile: niente è mai abbastanza.
L’eccezionalismo nero diventa insaziabile: c’è sempre un’altra montagna da scalare.
L’eccezionalismo nero non è sostenibile. E cosa succede ai neri che la società non riconosce come eccellenti?
Il genitore single che fa più lavori per mantenere la propria famiglia o il lavoratore in prima linea che lotta per arrivare a fine mese potrebbero non essere considerati eccezionali dalla nostra società, ma lo sono. Vivere in un mondo progettato per tenerti confinato è eccellenza nera. È necessario un cambiamento in ciò che glorifichiamo e veneriamo. L’eccellenza nera non è solo quella dei primi, che realizzano l’inimmaginabile. L’eccellenza nera non è solo chi ottiene riconoscimenti e premi. L’eccellenza nera è semplicemente esistere in un mondo che vuole disperatamente distruggerti.
La verità è che i bianchi non sono soggetti e colpiti dagli stereotipi come lo sono i non bianchi. Non sono state costruite narrazioni negative intorno alla bianchezza basate sulle malefatte degli individui bianchi, considerate solo “atti di individui”. E quando un bianco agisce (o reagisce), non porta sulle spalle il peso di come saranno percepiti gli altri bianchi. Per i non bianchi questo è un lusso. Non dovrebbe esserlo.
Ogni persona di colore diverso dal bianco esiste al di fuori degli stereotipi e dei pregiudizi. E’ un essere umano con tutte le complessità e le contraddizioni che tutti gli esseri umani possiedono. La sua umanità non può essere riassunta in segmenti di cinque minuti di notizie né inserita in contenitori storicamente creati e socialmente perpetuati per neri “buoni” e neri “cattivi”. È preoccupante per me dover fare questa affermazione, perché dovrebbe essere un dato di fatto. Ma quello che succede globalmente ha dimostrato che è davvero necessario dichiarare l’individualità delle persone di colore di questo Paese.
Inoltre, le persone di colore intelligenti, istruite, talentuose, educate, ecc. non sono deviazioni dalla norma, perché non esiste una norma di nerezza. Il fatto che l’Italia (e non solo!) sembri credere il contrario mi dimostra che c’è ancora una quantità sorprendente di progressi da fare quando si parla di razza in questo Paese. In questo senso, sottolineo che l’eccezionalismo nero non esiste, non è reale. Non esiste perché presuppone che ci sia uno standard o una linea di base che i neri eccezionali hanno superato, rendendoli così eccezionali. E questo è dannatamente assurdo, proprio come lo sarebbe nel contesto della bianchezza.
Le persone di colore intelligenti e capaci non sono curiosità o scherzi della natura; sono sottorappresentate in molte università di alto livello, nei consigli di amministrazione delle aziende e nelle posizioni di potere perché, in generale, non hanno avuto l’accesso e le opportunità che hanno avuto le loro controparti bianche. Non sto dicendo che il talento e l’etica del lavoro non giochino un ruolo in tutto questo; sto solo dicendo che non possiamo minimizzare il ruolo che la storia e le strutture istituzionali (che sono state modellate da questa storia) giocano in tutto questo.
L’eccezionalismo nero nasce dal fatto che non si vedono le molteplici dimensioni esistenti della Blackness e non si è esposti a persone di colore che mostrino quotidianamente i molti tratti desiderabili e ammirevoli. Nasce anche dal fatto che quando si parla dei propri successi sul posto di lavoro o si sceglie di mostrarsi cordiali, diplomatici e non conflittuali, spesso si viene accettati più facilmente – e questo, molti lo sanno. Di conseguenza, ci si astiene dal parlare di come il razzismo e la discriminazione di genere abbiano influito sulla propria carriera professionale.
Considerare le persone di colore attraverso questa lente ci porta a pensare erroneamente che, grazie al loro successo percepito, non debbano più affrontare o subire discriminazioni sistemiche. Questo sostiene anche la premessa comunemente sostenuta che viviamo in una società post-razziale in cui il razzismo non ha più un impatto sulla vita quotidiana delle persone di colore.
Il concetto di “persone nere eccezionali” presuppone che il successo delle persone di colore diverso dal bianco sia anormale o anomalo. Presuppone anche che coloro che hanno successo non siano come le altre persone nere. È per questo che colpevolizziamo le persone di colore che non scelgono forme accettabili di successo sociale e le consideriamo generalmente pigre, indisciplinate o demotivate perché incapaci di trascendere gli stereotipi razziali e sociali.
Vi suona famigliare la classica “Non sei come gli altri neri“? “Perché non ti comporti come gli altri neri?”.
Pur essendo mascherata da un complimento o da un riconoscimento del vostro eccezionalismo, è anche intrinsecamente razzista. Veicola il fatto che si viene accettati o riconosciuti solo per la capacità di mostrare attributi che si avvicinano maggiormente agli standard di professionalità dei bianchi.
Le persone di colore che non mostrano affinità con la bianchezza vengono ostracizzate e private dell’accesso alla loro cerchia sociale. Ed è proprio così che si mantiene la supremazia bianca. Succede quando la maggioranza bianca fa una rigida delimitazione tra le persone di colore ammesse in un determinato spazio in base alla propensione o alla capacità di acquiescenza della persona di colore alla cultura bianca.
L’eccezionalismo nero non lascia spazio alle persone nere di scegliere la propria cultura. Significa che per essere accettati bisogna mostrare un’affinità con la bianchezza. E questo è fatalmente opprimente.
La prossima volta che vi complimenterete con una persona di colore diverso dal bianco per come si presenta o per quanto “parla bene”, è importante riflettere su quanto della sua individualità e autenticità deve nascondere nel tentativo di essere considerata credibile.
Dovremmo tutti avere il permesso di essere e basta. Essere accolti per il fatto di essere articolati e di parlare in gergo, di essere disinvolti e liberi di commettere errori. Dovremmo tutti abbracciare la multidimensionalità del nostro esistere.
Luisa Casagrande. EDGEWALKER, Business Executive & Transformational Senior Mentor | Co-Founder & CVO Dolomite Aggregates™ Nig. LTD | Founder Métissage Sangue Misto™ & Métissage Dynamics© | Experiences Developer | Chief Diversity Officer. Investo molto sulle persone e sullo sviluppo del capitale umano, lavorando sui talenti e sulla valorizzazione delle singole specificità.