La doppia cultura italiana di Valentina Vergani Gavoni.

Quando anche il Nord e il Sud Italia fanno meticciato.

Valentina Vergani Gavoni

 

Io sono una donna che ama le sfide ed a cui non piace rinchiudersi nelle quattro mura del proprio deposito cerebrale. Mi piace sperimentare, mettermi in discussione, mettere in discussione gli altri e tutto il seminato in cui viviamo. Mi sono prefissata, in questa ultima trance della mia vita, di interagire, esclusivamente, con persone che hanno qualcosa da insegnarmi ed a cui posso essere, di ricambio, utile e di ispirazione, visto il mio lungo peregrinare e la complessità delle mie esperienze di vita. Posso sembrare alquanto arrogante e presuntuosa agli occhi dei più, in realtà sono giunta ad un punto in cui il tempo è diventato molto prezioso e scegliere con chi trascorrerlo è diventato imprescindibile, un must. Tutto ciò che è inutile, come il cinismo, le polemiche e le critiche eccessive, le richieste egoistiche fini a se stesse, la finzione, l’ipocrisia, la disonestà e le lodi a buon mercato, possono tranquillamente trovare la via della discarica.

 

 

Comincio ad avere un’incontenibile e fastidioso prurito verso tutti coloro che amano manipolare  e mentire serialmente e spregiudicatamente; verso coloro che usano una certa arroganza accademica per spiegare un concetto semplice quanto la nascita di un uovo di gallina e coloro a cui piace appiccicare la fiamma del conflitto e dei paragoni insensati, incuranti della varietà, complessità e contraddizione di cui ognuno di noi, nessuno escluso, è fatto. Evito a gambe levate, come la pece e, categoricamente, le personalità dai contorni malignamente ambigui, rigidi ed inflessibili, incapaci di lealtà nei rapporti e portati al tradimento, senza vergogna né pietà, per 30 luridi denari. Persone aride, in – emozionali, incapaci di empatia, di una parola di conforto o di incoraggiamento.

 

 

Tutto questo per dirvi che amo gli opposti, le ambiguità e le contraddizioni genuine e amo servirmene per stupire le menti su come siamo esseri fragili in grado di contenere una forza unica nel nostro piccolo/grande nocciolo. Amo uscire dai binari già tracciati, mescolare e rimescolare problemi, soluzioni e alternative. In tutto questo marchingegno, mi capitano benedettamente persone eccezionali, dal profilo apparentemente basso, ma con una carica energetica pazzesca, in grado di lacerare qualsiasi situazione statica e ragionamento stantio. E, quando le incontro, succede davvero qualcosa di eccezionalmente arricchente e illuminante; qualcosa che ti fa ricredere in un futuro speranzoso fatto di giovani in grado di fare la differenza.

 

 

Valentina è una giovane e brillante donna che ho conosciuto in una bella circostanza, legata ad un tema a cui sono molto legata, quella cioè della “Dittatura delle minoranze” e “Privilegio delle maggioranze“, uno studio che ho condotto un paio d’anni fa, insieme ad un collega di Oakland, sul fenomeno dell’influenza minoritaria, che si verifica quando una minoranza è in grado di incidere sulla comunità di appartenenza mettendone in discussione alcune regole, credenze, opinioni, portandolo ad un sostentamento dell’eccesso di libertà e di democratizzazione dei principi di libertà garantiti dalle moderne costituzioni.

 

 

Ho trovato una ragazza molto preparata e dal temperamento decisamente combattivo anche su altri temi poco trattati dai mainstream. La mia personale opinione è che darà del filo da torcere a tutto quello che sa di vecchio, di muffa e di terribilmente abitudinario e stantio nella società in cui viviamo.

 

 

Ma perché una persona come Valentina si trova su Métissage Sangue Misto? Semplice! Anche lei fa parte, in un certo qual senso, del mondo del meticciato. Quel tipo di meticciato che si fa fatica a riconoscere perché abituati a considerare “diverso” solo chi ha una tonalità di pelle più scura o dei tratti fisionomici diversi dalla maggioranza caucasica. Valentina ha una doppia cultura, una doppia identità, una doppia tradizione ed è qui per raccontarci come sia complessa, anche una semplice diversità Nord-Sud Italia.

 

Ma vi avviso subito! Dovrete avere gli strumenti concettuali ed etici  giusti per comprendere la sua storia e non giudicare secondo le apparenze o secondo ciò che ritenete sia l’ordine coerente delle cose, dato dal punto di vista delle vostre capacità visive e dal vostro metro di misura. Qui dovrete saper andare oltre molte vostre convinzioni.

 

 

Ciao Valentina. Ho davvero molto piacere averti come ospite nel mio salottino. Sono contenta perché mi dai modo di sperimentare e far comprendere, ai mono-tematici dell’identità razziale, quanto il concetto di identità sia molto più complesso di quello che appare. Iniziamo dal principio….”Chi/Cosa sei?”

 

Cosa sono? Sono il risultato di un mondo diverso, contraddittorio e meraviglioso nella sua complessità. Sono figlia di una donna nata in Puglia negli anni ’50, quando le donne avevano poche possibilità di scegliere “cosa essere”. Erano semplicemente femmine. Mia nonna (che non ho mai conosciuto) cercava di opporsi a una società che la voleva solo come madre e casalinga. La sua emancipazione non è morta con lei, anzi. Mia madre, è diventata una pediatra autorevole e rispettata. Io, invece, ho scelto di fare la giornalista.

 

 

Mio padre è nato al nord, non ricordo dove perché non ho rapporti con lui. Il mio cognome “Gavoni”, infatti, l’ho ereditato dagli uomini della sua famiglia. Mi ha rifiutata quando ero molto piccola e continua a farlo. Ricordo, però, che sua madre (mia nonna) era una donna del sud che ha sempre rifiutato le sue origini. Il cognome Vergani, invece, ha origini affettive. Quando mio padre ha abbandonato la mia famiglia, io avevo solo cinque anni.

 

 

Mia madre era costretta a lavorare fino a tarda sera. A volte partecipava a dei congressi di lavoro e non tornava nemmeno a casa. Quando non c’era lei, andavo sempre dalla mia vicina di casa. Si chiamava Ersilia Vergani e mi ha cresciuta fino all’età dei dieci anni, quando è morta. Parlava il dialetto milanese e mi ha insegnato l’alfabeto. Era una donna forte e combattiva: una vera guerriera. Mi ha amata come se fossi sua figlia. Un amore incondizionato senza chiedere nulla in cambio. Questo rappresenta il cognome Vergani per me. Purtroppo, però, viviamo ancora in un sistema patriarcale dove è il cognome del padre a definire chi siamo. Purtroppo, devo utilizzare il suo cognome per firmare i miei articoli ma grazie ai social ho avuto la libertà di scegliere IO da chi farmi rappresentare. Valentina Vergani Gavoni definisce l’imposizione patriarcale della società in cui vivo e la mia ribellione al sistema.

 

 

In quale ambiente sei vissuta?

 

Sono vissuta in un ambiente che profumava di emancipazione e indipendenza. Sono nata a Milano e crescita in Brianza. Da Seregno mi sono trasferita a Londra all’età di 24 anni. Ho vissuto nel Regno Unito per sei anni e mi dividevo tra occidente e Medio Oriente. Tra Europa, Palestina e confine turco siriano. In Togo, però, sono entrata in contatto con la mia anima pura e ho iniziato a combattere per un mondo migliore. Ho vissuto le mie esperienze attraverso il mio corpo. Ero una ragazza e oggi sono una donna. L’essere femmina però ha condizionato il mio rapporto con i deversi ambienti in cui ho vissuto. La libertà di essere femmina cambiava da cultura in cultura e la mia identità dipendeva da quello che gli altri mi imponevano di essere. Viaggiando da un estremo all’altro mi sono ritrovata davanti a un bivio: annientare chi ero o rendere il mio io invincibile. Oggi sono una fenice e posso permettermi di essere quello che voglio, dove voglio.

 

 

Che tipo di istruzione e educazione hai ricevuto?

 

 

Fino alle scuole medie ho ricevuto un’educazione cattolica. Il mio rapporto con la religione, però, è sempre stato più un conflitto che una relazione d’amore. All’asilo costruivo con i fogli di carta tutto quello che non avevo materialmente. I vestiti, gli accessori, i giochi. Tutto con la carta. Ho iniziato a costruire me stessa da sola, fin da piccola. Non accettavo le imposizioni e quelle religiose erano decisamente intollerabili. Arrivato il momento di scegliere le scuole superiore, mi sono iscritta al liceo artistico. Volevo fare la stilista e sognavo in grande. Il tempo passava e per una serie di esperienze negative sono stata bocciata due anni. Così, ho cambiato indirizzo e mi sono iscritta all’istituto d’arte. Dopo sette anni di superiori, finalmente mi stavo diplomando in grafica pubblicitaria ma dovevo scegliere se continuare gli studi o fermarmi. Durante l’adolescenza ho continuato il percorso di psicanalisi che avevo iniziato quando ero piccola a causa di mio padre.

 

 

Per sopravvivere al dolore, immaginavo di essere la protagonista di un film che io stessa creavo nella mia mente. Volevo fare la regista e un giorno, prima di decidere quale università scegliere, sono andata a Cinecittà. Ingenuamente sono partita il venerdì sera, quindi, il giorno dopo ho trovato tutto chiuso. Quando sono tornata a scuola dovevo decidere il tema della tesina e da qualche mese mi ero innamorata dello psicologo Sigmund Freud. Io stessa ero affascinata dalla psicologia perché avevo imparato a controllare la mia testa. Dopo la maturità ho tentato di passare il test di ingresso universitario ma le basi di un istituto d’arte non erano sufficienti. Per non perdere altri anni ho chiesto quale corso di studi avrebbe potuto sostituire temporaneamente psicologia. Seguendo il consiglio ho scelto sociologia. Non avevo idea di cosa fosse, onestamente. Una volta entrata in aula ho capito che quella era la mia strada. Tutto quello che credevo fosse giusto quando ero una quindicenne, improvvisamente era diventato reale.

 

 

 

Si parlava di Africa per spiegare il mondo e di come le persone interagiscono tra di loro all’interno delle diverse società. Se volevo capire il mondo, allora, dovevo andare in Africa. All’interno dell’università Bicocca di Milano ho conosciuto l’associazione “Oltre i confini” che stava organizzando una missione di volontariato in Togo. Senza troppe domande sono partita con loro. Una volta tornata dal continente africano volevo cambiare il mondo eho partecipato ad una conferenza sulle Nazioni Unite. Volevo entrare nell’Onu ma non riuscivo nemmeno a passare l’esame di inglese all’università. Così ho prenotato un volo per Londra e sono partita. In ostello ho conosciuto il responsabile di un progetto italiano in Palestina. Nel frattempo, però, continuavo a dare gli esami in Italia facendo avanti indietro da Londra. In estate sono partita per il Medio Oriente con questo progetto e lì ho capito che le competenze sociologiche non erano abbastanza. Una volta tornata in Inghilterra, quindi, ho abbandonato l’università italiana per iscrivermi a politiche e relazioni internazionali alla LondonMetropolitanUniversity. Studiando sui libri, la necessità di vedere con i miei occhi la realtà sul campo cresceva sempre di più e la guerra in Siria era tra i conflitti mondiali più complicati da analizzare. Attraverso l’associazione Time4life, quindi sono andata sul campo per studiare la situazione sul confine turco-siriano. Prima di laurearmi a Londra sono tornata in Medio Oriente più volte fino al giorno in cui ho deciso di concretizzare tutte le mie esperienze e trasformale in una professione. Nel 2018 sono tornata in Italia e ho iniziato la carriera giornalistica. Nel 2019 ho iniziato il praticantato attraverso il Master in giornalismo dell’università Iulm di Milano in collaborazione con Mediaset e oggi mi manca un anno di praticantato per iscrivermi al registro dei giornalisti professionisti.

 

 

Cosa farai, quindi, da grande?

 

La giornalista, se non cambio ancora direzione.

 

Qual è il tuo rapporto con la religione?

 

Non credo nelle religioni. Le considero semplicemente una costruzione sociale al fine di controllare la vita degli esseri umani. Nel bene e nel Male. Questo però non significa che io non sia rispettosa davanti alla fede individuale di chi ci crede, anzi. Ho indossato abiti e costumi che non mi appartenevano e l’ho fatto per rispetto. Ho cercato di entrare in relazione con la fede degli altri per trovare un canale di comunicazione. Non ho pregiudizi né giudizi. La mia libertà di non credere finisce dove inizia quella di chi ci crede e viceversa. Io, invece, sono molto legata alla natura e agli elementi energetici che interagiscono tra di loro. Anima e corpo si inseriscono in un sistema universale. Spirito e materia sono complementari. Credo in questo senza definire il nome di un dio o di una dea.

 

 

Come hai vissuto la differenza di cultura dei tuoi genitori?

 

In realtà non l’ho vissuta. Ho vissuto più la differenza culturale dei diversi popoli ed è stato traumatico. La presunzione di avere la verità assoluta tra le mani è il cancro del mondo. La verità, come insegna la sociologia, non è mai assoluta, ma relativa. Le differenze culturali rispecchiano semplicemente i molteplici punti di vista con cui si guarda il mondo, nulla di più. Queste differenze possono essere delle gabbie al cui interno gli individui muoiono. E’ stato così per molto tempo e lo è ancora in quei luoghi dove l’isolamento geografico, tecnologico e sociale ostacola l’evoluzione. Grazie alla globalizzazione (nel bene e nel male), popoli e culture agli estremi del mondo si incontrano e interagiscono. A molti, questo fa paura. Altri, invece, hanno imparato a sfruttare le diversità per completare se stessi come individui e come comunità. Io personalmente non saprei distinguere una cultura migliore da un’altra. Siamo individui che ragionano guidati dall’istinto animale senza differenze etniche o genetiche. L’istruzione aiuta a sviluppare una consapevolezza maggiore rispetto a chi non possiede gli strumenti per interpretare il mondo. E’ sempre una differenza tra chi ha i mezzi e chi no.

 

Hai mai subito discriminazioni di alcuna sorta? Quali? E come hai reagito?

 

Sì, molte. La mia identità cambiava in relazione all’ambiente in cui mi trovavo. Ero bianca per i neri quando difendevo le mie origini. Ero nera per i bianchi, quando le rifiutavo. Ero una prostituta quando mettevo tacchi e minigonna. Ero una terrorista quando indossavo il hijab musulmano. Ero una colonialista occidentale che si appropriava della cultura degli altri quando andava in Paesi stranieri. Tradivo il mio Paese quando uscivo dai suoi confini. Dovevo pagare colpe politiche non mie davanti a vittime che si trasformavano in carnefici. Dovevo pagare la colpa di aver difeso le vittime davanti ai carnefici. Come ho reagito? Ho combattuto contro tutti e ho deciso di lottare per me stessa.

 

 

Sei mai in conflitto con la tua identità culturale?

 

La mia identità non ha cultura. La mia identità è spirituale. Le culture sono come gli abiti. Puoi indossarli, scegliere quale indossare e spogliarti.

 

Come vieni trattato dai membri della tua famiglia?

 

I miei parenti del sud sono diversi da quelli del nord nei modi di fare e di interagire. Io però, non ho un rapporto molto forte con loro da farmi condizionare così tanto. Con mia madre e mio fratello, invece, ho un rapporto di confronto positivo. Lei è un medico e lui un osteopata. Sono quotidianamente stimolata a migliorare nella mia professione perché ho due esempi fondamentali davanti a me.

 

Cosa ne pensi della parola molto discussa e maltrattata come “Terrona”?

 

I termini si evolvono e anche il loro significato. Mia madre sicuramente ha vissuto questa parola diversamente da come posso viverla io. Per me non è offensivo, anzi. Io sono orgogliosa di avere origini terrone. Il linguaggio esiste per definire la realtà che ci circonda. Le interpretazioni di questi termini sono costruzioni sociali. Le parole non esistono in natura. Le abbiamo inventate noi e noi, inventiamo il loro significato. Inoltre essendo nata e cresciuta al nord non vengo nemmeno riconosciuta come “terrona” dagli stessi “terroni”. Chi mi riconosce come tale lo fa basandosi sui mie tratti somatici e i miei colori mediterranei. Alcuni sono addirittura convinti che io sia araba o rumena.

 

Ti stai impegnando in un futuro professionale molto ambito. Ce ne parli un po’?  Come ti è nata la passione? Quali sono i tuoi obiettivi?

 

 Quando studiavo politiche e relazioni internazionali mi battevo per la verità e la libertà di stampa. Andando sul campo vedevo una realtà diversa da quella che i media riportavano sullo schermo o sulla carta stampata. Facevo controinformazione e definivo il nemico assoluto nella figura del giornalista. Non conoscevo il mondo del giornalismo e i miei erano puri pregiudizi basati sulla mia esperienza diretta. In realtà non so definire quando sia nata la mia passione per il giornalismo perché ho sempre fatto la giornalista senza avere un tesserino che lo dimostrasse. In Inghilterra come nella maggior parte dei Paesi del mondo non esiste un ordine dei giornalisti (o albo dei giornalisti). Non devi essere iscritto da nessuna parte per fare il giornalista. Sei giornalista se fai il giornalista. Quando sono tornata in Italia, però, dovevo concretizzare tutto quello che avevo fatto e mi serviva un tesserino. Sono tornata a trent’anni in Italia e mi sono spogliata di tutti i pregiudizi che avevo portato con me. Sono entrata in questo mondo e sto capendo tante cose. Non sono ancora pronta per parlane pubblicamente perché non ho un’esperienza tale da potermelo permettere. Un giorno, quando avrò un po’ più di rughe e qualche anno in più sulla carta di identità lo farò. Per il momento sto maturando l’idea di candidarmi alla presidenza dell’ordine dei giornalisti, ma lo scrivo sorridendo.

 

Come affronti questa sfida professionale come donna?

 

Come affronto tutte le sfide: combattendo

 

 

Cosa pensi che ti definisca come persona?

 

La mia anima

 

 

Sei mai stata vittima o hai mai assistito a qualche microaggressione? Come reagisci alla microaggressione in generale?

 

Sì, spesso e non solo micro. La mia reazione dipende dal pericolo che mi trovo davanti. Se è fisico ho imparato a difendermi con la scuola di thai boxe. Se rimane un’aggressione verbale uso il cervello e la legge.

 

 

 

Quale messaggio vorresti dare alle nuove generazioni miste?

 

Vorrei dire a queste generazioni che non esiste il misto e il puro. Esiste l’autenticità delle persone e il valore unico che ogni individuo porta con sé. Più ricca è l’identità, più possibilità ci sono di scegliere chi essere quando e dove esserlo.

 

 

Valentina, davvero ti ringrazio per questa preziosissima, illuminate e stimolante chiacchierata. Anche una persona come me, un tantino in là negli anni e dalle esperienze più varie, toste ed inimmaginabili, ha tratto riflessioni piuttosto stimolanti, corroboranti e profondamente intense. Mi piacerebbe davvero che una storia come la tua fosse di grande illuminazione per tutti quei giovani, misti e non, alle prese con le proprie battaglie di identità e di ricerca del proprio posto in questa dimensione.

 

 

Grazie a te Luisa per avermi dato la possibilità di far comprendere l’inesistenza di stereotipi e categorie sociali a coloro che vivono dentro a gabbie mentali convinti ancora che ci sia una guerra tra “noi e loro”.

 

 

 

 

@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy ,  MBA Metissage & Métissage SangueMisto. 

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