Oggi giorno la parola cultura è molto popolare. Se la digitate su Google, troverete più di 6 miliardi di risultati e, nonostante vi siano molte informazioni su questo termine, esistono altri punti non risolti su questo concetto. I ricercatori ci dicono che non vi è una definizione universalmente accettata di cultura. Dalla miriade di definizioni identificate, gli studiosi hanno riconosciuto alcune caratteristiche importanti. Per esempio che la complessità della cultura deve essere analizzata su diversi livelli, non solo su quello nazionale, come fanno i ricercatori. Una cultura nazionale include molte subculture, ma sono parte dell’insieme. Quello di cultura, quindi, è un concetto poliforme, e racchiude numerosi significati oltre che a coinvolgere diverse discipline.
Esistono una miriade di culture e sistemi di pensiero che, per la loro diversità, non ha senso giudicare ricorrendo a un solo parametro, quello, cioè, della propria cultura di appartenenza, poiché considera “diverso” ciò che non rientra nel suo orizzonte culturale. Ciascun popolo, infatti, inizialmente, percepisce i propri costumi come i migliori e questa convinzione è condivisa anche da tutti gli altri popoli. Questa percezione di superiorità è relativa e plasmata dalla propria, ma non unica, ideologia culturale. Ciò che è chiaro è che un popolo appare agli altri, tanto diverso quanto lo sono gli altri agli occhi dei primi, e che la mescolanza tra etnie, è spesso la chiave per lo sviluppo di un popolo.
La diversità culturale è una ricchezza che va mantenuta per non incorrere nell’errore che, secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss, “la civiltà occidentale ha commesso con le minoranze non ancora alfabetizzate del Nuovo Mondo. Distruggendo, con il processo di industrializzazione, la verginità, la peculiarità di ciascuno di quei gruppi etnici, la civiltà ha cessato per sempre di essere quel fragile fiore che, per svilupparsi a fatica, occorreva preservare in angoli riparati di terreni ricchi di specie selvatiche (le culture diverse), e si è cristallizzata nella “monocultura”, nella standardizzazione e riduzione della diversità ad un solo, noioso, minimo comune denominatore, quello occidentale. Senza più odore, colore né sapore.” La convivenza pacifica di molteplici culture è ciò che più ci unisce, non ciò che più ci divide: è la scossa sensoriale che ci allontana dall’insipidezza.
Definizioni di cultura
La cultura è definita e percepita da ricercatori di diverse aree, come antropologi, sociologi e psicologi. E’ un termine di origine latina che significa coltivare; l’uso fu esteso poi a tutte le attività e situazioni che richiedevano un’assidua cura, dalla “cura” verso gli dei, quello che tuttora chiamiamo culto, alla coltivazione degli esseri umani ovvero la loro educazione.
Da quest’ultima accezione deriva il valore di cultura nel suo senso moderno: il complesso di conoscenze (tradizioni e saperi) che ogni popolo considera fondamentali e degni di essere trasmessi alle generazioni successive. Nella civiltà occidentale il concetto di cultura è divenuto erroneamente sinonimo di “conoscenza di quanto depositato nei libri”; vi è, quindi, la tendenza a considerare persone colte o addirittura uomini di cultura coloro che hanno letto tanti libri. In questa società la cultura non si identifica esclusivamente con le tradizioni scritte, ma con le nuove tecnologie multimediali (ipertesti, immagini e suoni). Per questo i grandi mezzi di comunicazione sono responsabili della cultura di massa.
Nozioni di cultura
La nozione di cultura si ritrova già nel pensiero antico, dove essa indica l’educazione dell’uomo a una vita propriamente umana, rappresentata di solito dalla vita in società e, al livello più elevato, dall’esercizio delle attività intellettuali.
Già al tempo dei Greci, essa viene a designare il processo di formazione dell’individuo che, attraverso l’educazione, giunge al possesso delle tecniche necessarie per la convivenza sociale e per la partecipazione alla vita politica. L’apice del concetto lo abbiamo con Aristotele che le dà una connotazione di contemplazione rispetto alla vita attiva, dando risalto alla figura del sapiente che osserva distaccato le vicende del mondo, su quella del filosofo impegnato nella costruzione della città. Anche nella società romana, la cultura viene identificata con la filosofia, e la sua funzione diventa quella di condurre gli uomini da una vita ‘selvaggia’ (o contadina) a una vita civile, ossia a un’esistenza propriamente umana che è vita associata, partecipazione alla comunità, per arrivare al periodo Medievale, in cui assume un significato nettamente religioso, trovando una struttura istituzionale nell’organizzazione del sapere. Nell’umanesimo, il significato di cultura si riappropria della sua valenza antica; non più la contemplazione di Dio e la salvezza eterna, ma la vita nel mondo, all’interno della comunità e dei suoi ordinamenti, servono per formare l’uomo in funzione dell’uomo, visto come centro del mondo ed orientato verso la vita civile.
Con l’Illuminismo la concezione della cultura si spoglia del carattere aristocratico mantenuto fino ad allora e viene interpretato come il complesso delle cognizioni acquisite dall’umanità, che devono essere trasmesse da una generazione all’altra e accresciute attraverso l’impiego dei poteri razionali dell’uomo. La ragione è lo strumento dell’educazione, e poiché ogni uomo è dotato di ragione la cultura può divenire patrimonio universale anziché riservato ai dotti.
Nella seconda metà del 18° secolo si compie una svolta decisiva nella storia della nozione di cultura. Non è più rivolto ad un patrimonio intellettuale, proprio del singolo individuo, ma viene a distaccarsi dalla propria origine naturale e si educa progressivamente, seguendo un passaggio da un popolo all’altro, coinvolgendo l’umanità intera.
Una delle prime definizioni vicino al quella moderna di cultura appartiene al mondo dell’Antropologia e viene attribuita a Sir Edward Tylor che, nel suo libro Primitive Culture (1871), definisce la cultura come “tutto quell’insieme che include conoscenza, credenza, arte, morale, legge, costume e qualsiasi altra capacità e abitudini acquisite dall’uomo in quanto membro della società ”. Tylor sostiene che tutti gli uomini sono dotati di una cultura (la cultura è un dato universale, comune all’intero genere umano). Ed è un’idea innovativa per la sua epoca.
Con il passare del tempo il numero di definizioni è aumentato a dismisura, come, per esempio, quello coniato da altri antropologi come Malinowski (1944), che riteneva che tutti gli uomini avessero dei bisogni primari e dei bisogni secondari, e la cultura era l’insieme delle risposte che localmente veniva dato a questi bisogni. O da Bourdieu (1974), il quale sosteneva che la cultura fosse un insieme di habitus, cioè di disposizioni corporee e intellettuali che risultano dall’interiorizzazione di modelli di comportamento e di pensiero socialmente costruiti. O, ancora, da C. Geertz (1973) che descrive la cultura come capacità di comunicare.
Anche se sembrano essere diverse, questi concetti hanno alcuni elementi comuni. Prima di tutto, tutti concordano sul fatto che la cultura è “un complesso costrutto e a multilivello“. Il secondo elemento, comune in tutte le definizioni, è che la cultura è qualcosa di condiviso tra persone dello stesso gruppo o società. Questa caratteristica permette alle persone di prevedere, con alcune limitazioni, il comportamento di altre persone. Questa previsione porta a un’altra caratteristica: la cultura è modellata. In ogni cultura, le persone hanno rituali, routine quotidiana e comportamenti abituali e quando questo tipo di comportamento individuale diventa ripetitivo, “porta alla formazione della realtà dell’individuo” e infine, sarà trasformato nella cosa giusta da fare, o la cosa accettata dalla società. Anche se la cultura si forma relativamente in un lungo periodo di tempo ed è considerata stabile in questo momento, nessuna cultura è completamente statica. La cultura cambia attraverso due tipi di processi: innovazione e diffusione. Quando la cultura cambia internamente si può parlare di innovazione; quando la cultura cambia prendendo a prestito da altre culture si può parlare di diffusione.
Riassumendo brevemente:
- La cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti e selezionati: le generazioni successive ereditano i modelli delle generazioni precedenti e li integrano con dei nuovi. Il principio di selezione si attiva quando, acquisendo nuovi modelli da culture differenti, questi vengono coniugati con quelli in vigore o si blocca l’eventuale intrusione di modelli incompatibili con quelli in atto.
- La cultura è differenziata e stratificata. All’interno di una singola cultura esistono differenze di comportamento e di espressione che non dipendono solo dalle circostanze del momento e della situazione: lavorativa, ludica, rituale ecc. Esse hanno spesso a che vedere con il potere, la ricchezza, la posizione sociale, l’istruzione; ma anche con le convinzioni ideologiche, religiose, politiche ecc., e si presentano in maniera più o meno accentuata presso le diverse società. Nella nostra società, i modelli culturali di riferimento risultano spesso molto diversi a seconda del grado di istruzione.
In passato queste differenze di cultura erano assai più evidenti, al punto che si parlava di cultura colta e di cultura popolare, dove la prima era la cultura identificata con le scienze, le arti e le lettere, mentre la seconda era quella dei rituali e delle feste paesane e di tutto quanto era ritenuto appartenere alla sfera della superstizione. - Le culture non sono entità statiche e fisse, bensì prodotti storici, cioè il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni.
- La cultura presenta forme interne di organizzazione. Tale organizzazione, che non è mai rigida e meccanica, coincide con i modelli (culturali) che sono insiemi di idee e di simboli, propri del contesto particolare in cui l’essere umano vive, che gli servono da guida per il comportamento e per il pensiero. Questi modelli possono essere qualificati come modelli per, modelli-guida al diverso modo di agire o modelli di, modelli attraverso cui pensiamo qualcosa.
- La cultura è “operativa”, poiché mette l’uomo nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi adattandosi sia all’ambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.
Uno degli autori più noti, quando si parla di cultura, è l’antropologo e psicologo Geert Hofstede. Definisce la cultura come “la programmazione collettiva della mente che distingue i membri di un gruppo o categoria di persone da un altro“. Seguendo questa definizione, possiamo rilevare che “la cultura è sempre un fenomeno collettivo” perché viene appreso dalla comunità in cui si vive. Da qui deriva la seconda caratteristica: la cultura si apprende, non si eredita. Non è innata, bensì è appresa: essa deriva dal contesto sociale in cui uno cresce, soprattutto nei primi anni di vita. Si può concludere che la cultura è formata dall’interazione di individui e dipende dall’ambiente sociale in cui vivono e non dal geni che hanno. Con una metafora molto azzeccata, Hofstede la chiama anche software della mente.
Hofstede, inoltre, fa una distinzione tra cultura e natura umana, e tra cultura e personalità. Immaginava che in fondo alla piramide di Maslow (lo psicologo che propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide, in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore), vi fosse la natura umana, che è qualcosa di universale ed ereditato. Quindi, lo strato intermedio è la cultura, che è specifico per i gruppi e viene appreso. In cima alla piramide c’è la personalità, cioè qualcosa di specifico per un individuo. La personalità è, quindi, sia ereditata che appresa.
La figura rappresenta “Tre livelli di unicità nella programmazione mentale” . La natura umana è la somma di tutto ciò che le persone hanno in comune. Uno può pensare, ad esempio, ai bisogni fondamentali che non sono culturalmente determinati (ad esempio nutrizione, movimento, desiderio di scambio sociale), oppure alla capacità umana di provare paura, rabbia, amore, gioia, tristezza o desiderio umano di interagire con gli altri. Tutti questi sono ereditati, ma cosa fa ogni persona con questi sentimenti e come ogni persona li esprime sentimenti, è influenzato dalla cultura. La propria personalità è costituita da “un unico set personale di programmi mentali ”. Come nel caso della natura umana, anche la personalità è influenzata anche dalla cultura .
Livelli culturali
Ogni essere umano appartiene a una serie di gruppi e categorie differenti che lo influenzano culturalmente. Questi livelli culturali possono essere a livello nazionale, in riferimento al proprio paese; a livello regionale, etico, religioso o linguistico o a livello di genere, di generazione o di status sociale.
Ci sono molti modi per visualizzare il concetto di cultura. Uno dei modelli più popolari è il “modello a cipolla” di Geert Hofstede.
Questa figura a cipolla mostra la manifestazione della cultura a diversi livelli di profondità e comprende:
- Simboli, che sono le manifestazioni più superficiali della cultura, come i simboli culturali (immagini, parole, gesti, oggetti) come bandiere, architettura, lingua o abbigliamento tradizionale; i simboli sono ciò che la maggior parte della gente pensa come “tipico” di una certa cultura.
- Eroi, che sono persone che rappresentano caratteristiche molto apprezzate in una cultura; le persone possono essere viventi, morte, reali o fittizi, anche personaggi fumetti. Esse fungono da modelli di ruolo per molti membri della cultura.
- Rituali, che sono modelli di azione convenzionalizzati che vengono utilizzati in situazioni specifiche (ad esempio routine di conversazione, rituali di benvenuto, tradizioni legate al cibo, pratiche religiose); non sono realmente necessari, ma sono considerati essenziali per l’interazione sociale.
- Pratiche: rappresentano il modo in cui i simboli, gli eroi e i rituali sono attuati nella vita di tutti i giorni. Simboli, eroi, rituali e pratiche sono “visibili”, nel senso che possono essere osservati e identificati da estranei.
- Valori: al centro della cipolla ci sono i valori fondanti e le ipotesi culturali che influenzano tutti gli altri strati. Queste credenze, norme e atteggiamenti non sono direttamente osservabili, ma possono essere riconosciute da analisi più approfondite e da una comprensione di ciascuno degli strati e della loro interazione.
Gli antropologi continuano a dibattere da decenni su cosa sia veramente la cultura. La definizione di Geert Hofstede, risale, però, agli anni ’80 e nonostante sia il concetto più usato, perché fondamentale soprattutto in Antropologia, al giorno d’oggi, è discusso da esperti in diversi campi. Dai ricercatori di management, ai sociologi, ai ricercatori di psicologia sociale, così come gli psicologi hanno un profondo interesse per l’argomento.
Oggi, è stata individuata una definizione più ampia di cultura: c’è cultura materiale, cultura rituale, cultura simbolica, istituzioni sociali, cultura comportamentale, linguaggio come cultura, valori, credenze, idee, ideologie, significati e così via.
Quando i sociologi cercano di definire la cultura, tendono a differenziarla da altri concetti sociologici. Di solito parlano della differenza tra cultura e società, o parlano di alcune differenze interne, per esempio
la differenza tra cultura “materiale” e “simbolica”. La sociologia è probabilmente la disciplina che lo è
più vicino all’antropologia. I sociologi definiscono la cultura simbolica come la totalità di valori e credenze, linguaggio, comunicazione e pratiche condivise da a gruppo di persone. La cultura materiale è definita dalle cose che gli esseri umani fanno e uso, come letteratura, musica, arte e altri. Anche gli psicologi si sono interessati alla cultura come determinante o come variabile influente del comportamento umano e del suo modo di pensare.
Fondamentalmente, la cultura può essere discussa a vari livelli della società. Ricercatori hanno sviluppato numerosi modelli per illustrare che la cultura è un costrutto a più livelli. Pizam, per esempio, ha proposto una gerarchia, spiegando che la cultura può esistere in un livello sovranazionale, nazionale, industriale, occupazionale, aziendale e organizzativa, fornendo esempi per ciascuna categoria.
Approfondito questo concetto fondamentale quale è la cultura, possiamo addentrarci in quello che è la visione più ampia e adattabile, in questo periodo di globalizzazione in cui viviamo.
Dal concetto di cultura, sono, purtroppo, nati i luoghi comuni, gli stereotipi e le generalizzazioni che tutti ben conosciamo: “i tedeschi sono rigidi”, “gli spagnoli sono disorganizzati”, “gli italiani sono rumorosi”, “i francesi sono antipatici” e chi più ne ha più ne metta.
Questo approccio esclusivamente “nazionale” della cultura è un concetto riduttivo, incompleto e statico, poiché presuppone che in base alle nostre origini assumiamo determinate caratteristiche che non possiamo cambiare. Ma come abbiamo visto, nella sua accezione più globale e completa, la cultura è l’insieme delle caratteristiche che distinguono le diverse persone in modo individuale. Queste caratteristiche non sono legate unicamente al paese in cui uno nasce o cresce, ma si configurano a partire da una serie di fattori eterogenei che vanno dai tratti della propria personalità alla famiglia, alla religione, agli amici, all’educazione, alla professione e così via.
Il concetto di cultura, tessuto connettivo di una società, è necessario per concepire l’unità dell’umanità, al di là di ogni diversità. Fornisce un senso di sicurezza, di appartenenza, di prevedibilità nei comportamenti, di cui la società ha bisogno per sopravvivere, operando a livello sia individuale sia collettivo. E come abbiamo visto viviamo in un mondo composto da differenti culture.
La storia dell’umanità è caratterizzata dal movimento e dalla creazione continua di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici diversi e ciò crea nuovi concetti di cultura, preceduti con vari suffissi. Concetti che, però, erroneamente, tendiamo ad usare indifferentemente e intercambiabilmente. Così sono i termini di Multicultura, Intercultura, Transcultura, Metacultura e Cross-Cultura.
Cerchiamo quindi di fare chiarezza.
MULTICULTURA: lo usiamo per descrivere una società in cui convivono comunità differenti gli uni dagli altri, in un medesimo territorio, mantenendo la propria identità. Pur potendo avere interscambi, conservano le peculiarità del proprio gruppo sociale. E’ un termine dall’accezione prettamente neutra con il quale possiamo indicare, appunto, il vivere su uno stesso territorio di popolazioni che differiscono per provenienza geografica, culturale e lingua madre e che non veicola in sé giudizi di valore né tantomeno analisi, bensì fornisce il semplice quadro di tali comunità senza che esse a priori debbano interagire fra loro, confrontandosi o avendo degli scambi. Una prospettiva statica, dunque, che non prevede necessariamente contatti fra i vari attori, lasciandoli sullo sfondo come universi paralleli. La politica multiculturale si concentra su iniziative pubbliche miranti a farsi carico della diversità culturale all’interno della società per riconoscerla, tollerarla e, se possibile, incoraggiarla. Tale pratica, prende in considerazione le richieste di quanti rivendicano il riconoscimento di diritti particolari o di un trattamento preferenziale in riferimento a bisogni specifici di ciascun gruppo.
INTERCULTURA: ha una valenza progettuale, implica, cioè, l’impegno nel ricercare forme, strumenti, occasioni per sviluppare un dialogo tra le culture e un confronto costruttivo e creativo, che presuppongano la capacità di promuovere situazioni di comparazione di idee, valori, culture differenti, nella ricerca di punti di incontro che valorizzino le diversità e le differenze, attraverso un intreccio dialettico di interazioni necessarie per il reciproco riconoscimento, dove il prefisso inter indica la reciprocità interculturale, la prossimità del diverso, in un terreno fecondo di negoziazione e di scambio, tramite la ricchezza e la produttività del confronto.
E’ caratterizzato, al contrario della Multicultura, da una prospettiva dinamica; ha come fine l’incontro attivo tra soggetti portatori di culture differenti, aperti al dialogo, disposti a modificare e a farsi modificare.
Da questo momento possiamo parlare di reciprocità, interazione e scambio, presupponendo un passaggio successivo che implichi la volontà e l’impegno di dare vita a un dialogo fecondo tra le varie culture presenti su quel territorio. Ne nasce così un confronto costruttivo alla ricerca di punti di contatto con i quali la varietà, in tutte le sue differenti sfaccettature, possa essere valorizzata appieno nel suo potenziale di ricchezza – una ricchezza da cui l’intera società potrà trarre giovamento e crescita. L’interculturalismo fa riferimento a come le diverse culture si relazionano tra loro, apprezzando le differenze e cercando forme di comunicazione fluide e senza imposizioni, che spessa portano a un cambiamento e a un arricchimento degli individui. Nelle società interculturali, una cultura è spesso considerata “la norma” e tutte le altre culture sono paragonate o contrapposte alla cultura dominante. L’intercultura promuove l’arricchimento reciproco finalizzato alla convivenza pacifica e alla ricerca collettiva di soluzioni appropriate per far fronte alle difficoltà del multiculturalismo.
L’intercultura è anzitutto riconoscimento dell’altro e relativizzazione del proprio sistema di valori ed idee per evitare di spiegare ed interpretare inconsapevolmente i sistemi di vita degli altri attraverso le nostre categorie concettuali. Si tratta di comprendere il rapporto accomodativo possibile, tra identità ed alterità, attraverso cui l’identità culturale si costituisce come esperienza di apertura e confronto continuo con l’altro, definendosi come esperienza continuativa di distinzione ed incontro, coesione e separazione, allontanamento e ritorno al sé. Un’attività che dà luogo a cambiamenti, trasformazioni ed integrazioni a seguito delle esperienze di confronto con le alterità. Ha come punto di origine la consapevolezza delle tante diversità che condizionano e connotano lo sviluppo delle società, ma richiede di fare i conti con le proprie contraddizioni interne e di rimuovere le gabbie concettuali che distinguono le “nostre” dalle “loro” pratiche. La necessità di interrogarsi sui propri limiti, di confrontarsi per arricchirsi di nuovi elementi e di cambiare senza perdere la propria identità di riferimento.
TRANSCULTURA: Attraverso l’intercultura è possibile realizzare la transcultura, cioè la capacità di muoversi all’interno di diverse culture senza essere totalmente assorbiti da nessuna di esse; il che è possibile solo quando riconosciamo ogni cultura come espressione di un fondamento comune a ciascun uomo. Poter transitare tra le diverse espressioni delle società umane significa essersi appropriati dei principi dell’intercultura e saperli esprimere nelle diverse situazioni di incontro con l’altro. La transcultura è, quindi, intesa come capacità di attraversare i confini delle singole culture in virtù della consapevolezza della nostra comune appartenenza alla comune specie umana e a un’unica madre Terra, nella condivisione di un progetto di cittadinanza planetaria, sorretta dai principi e dai valori di un’etica universale. Mira allo sviluppo di elementi universali, comuni a tutti gli uomini. Formali, come il rispetto o la correttezza e contenutistici come la pace o la giustizia. Una sorta di educazione alla mondialità. Questo termine di transculturazione è stato introdotto negli anni quaranta da Fernando Ortiz nel contesto di uno studio sulla cultura afro-cubana, per rimpiazzare i concetti di acculturazione e deculturazione. Da allora il termine è stato usato in ambito antropologico per descrivere il processo di assimilazione, attraverso un processo di selezione e rielaborazione inventiva, di una cultura dominante da parte di un gruppo subordinato o marginale (non necessariamente minori-tario). Transculturalità è da intendersi dunque non solo come modello di analisi della realtà moderna, ma anche come ideale a cui tendere nella prassi quotidiana di interazione cul-turale. Il suffisso -trans indica un attraversamento, un passaggio successivo, quando anche fare riferimento alle singole culture non è più sufficiente a una descrizione accurata di quanto vediamo attorno a noi. E’ una condivisione di una visione più ampia, che sa guardare al quadro più grande oltre la diversità , e con tali diversità è in grado di rimodellare un’immagine frammentaria ormai superata. Un progetto comune per il quale lavorare in team, “lavorare con”, mossi dai medesimi obiettivi e in cui ogni partecipante è, e si sente attivamente coinvolto e responsabile per la creazione di una cultura del tutto nuova e differente in grado di valicare i confini dei singoli, unendoli in nome di ciò che, se raggiunto, li rende tutti vincitori di un’unica squadra. Una collaborazione fatta di coesione, dialogo e rispetto.
La transcultura è possibile sullo sfondo di un progetto sociale finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un pensiero aperto, problematico ed antidogmatico. Un pensiero ed una prassi politica capaci di decentrarsi e di allontanarsi dai propri riferimenti valoriali per andare verso nuove culture comprendendo le differenze e le analogie, e di tornare nella propria cultura di riferimento utilizzando l’esperienza del confronto per valutare con maggiore coscienza la propria specificità negli aspetti più o meno positivi.
Le prassi politiche inter/trans culturali si differenziano da quelle multiculturali perché il loro fine è l’incontro e lo scambio tra culture piuttosto che il riconoscimento dei diritti degli specifici gruppi sociali. Il problema fondamentale per la politica interculturale è quello di trovare soluzioni originali all’interno delle quali possano riconoscersi un insieme di attori sociali che facciano riferimento a contesti differenti e non di rado in conflitto tra loro.
METACULTURA: è qualsiasi cultura, o insieme di fenomeni culturali, che trascende i confini di geografia, classe, epoca, ecc. Tutti i concetti universali presenti in tutte le culture, una sorta di “cultura della cultura” che si definisce, affrontando la propria generalità e le condizioni di esistenza. Il prefisso “meta”, nel linguaggio comune, si riferisce soprattutto al concetto di trasformazione, mentre in quello scientifico richiama qualcosa che “trascende”. Come la “metafisica”sta alla fisica, comprendendo le attribuzioni che trascendono le cose naturali, che vanno oltre la sfera scientifica. O come, in psicologia, la “meta comunicazione” sta alla comunicazione e cioè “comunicare sulla comunicazione”. Nella pedagogia, pur esistendo un ramo che lo applica, si ritiene che la metacultura, essendo un riflettere teoricamente sulla cultura, non sia possibile educare senza tenere conto della realtà culturale.
Essa prevede la consapevolezza della pluralità delle culture e delle cornici di riferimento e si costituisce come spazio negoziale per elaborare, con il dialogo, con argomenti e procedure adatte, cornici comuni di interazione. Procedure che, insieme, guidino e regolino l’espressione degli individui che abitano lo spazio in questione, e assegni loro posizioni definite nel campo di significato che delimita. La cultura di Internet, per esempio, può essere una forma di metacultura perché cerca di riassumere e racchiudere la sua coscienza collettiva, esaminandola allo stesso tempo. Mi spingerei oltre, ma ovviamente è solo una mia definizione personale, non da letteratura universale. La definirei come il fondamento transculturale della cultura: ciò che dà significato, non solo perché abbiamo un linguaggio, costumi, arte, religione e metafisica particolari, ma semplicemente, ma perché siamo esseri umani. Come le isole nel mare, una cultura può sembrare scollegata da un’altra se vista superficialmente attraverso l’acqua. Ma in realtà sono uno a livello di unione e fondamenta attraverso la roccia. La metacultura, quindi, è molto dei nostri usi e costumi, i nostri modi di fare le cose, le nostre conoscenze e arti. Non è niente di meno che il livello dell’essere dove la conoscenza incontra la linfa vitale della natura. Un momento di comunione e radicamento con la nostra origine.
Cross-Cultura
CROSS-CULTURA/LE: cross-cultural , letteralmente “incrocio di varie culture”, è usato nelle scienze sociali, soprattutto in antropologia e sociologia, con riferimento alla reciproca influenza che culture diverse hanno sui comportamenti individuali e collettivi. Viene spesso confusa con il termine Transcultura, perché indicano, in modo molto simile, le stesse caratteristiche. La parola Transcultura si riferisce alle credenze e alle definizioni di concetti che trascendono i confini culturali. Sono universali. La parola Cross-Cultural, invece, deriva da situazioni di ricerca antropologica in cui i gruppi culturali vengono confrontati e contrastati tra loro. Questi sono chiamati confronti Cross-CulturalI. Ogni cultura viene studiata e descritta come un caso di studio. Quindi vengono confrontati i casi di studio. Pertanto uno studio Cross-Culturale cercherà concetti che si verificano all’interno di un gruppo culturale, descriverà le credenze, i costumi e le definizioni per quel gruppo culturale, quindi cercherà contrasti, somiglianze e confronti tra altri gruppi culturali. La ricerca interculturale produce concetti Transculturali. Ci sono concetti che sono Transculturali, come l’incesto, i problemi famigliari, la guarigione, la cura, la violenza sui minori…. La domanda è cosa è simile tra tutte le culture (transcultura) e cosa differisce (cross-cultura?). Prendiamo, per esempio il concetto di guarigione. Nel concetto transculturale do il significato alla capacità di un individuo di curare un altro. Ma cosa significa in un concetto cross-culturale? Significa dar sollievo agli sintomi o elimanre la malattia? Per molte culture guarire significa sollievo dai sintomi e completa reintegrazione nelle azioni quotidiane. Questo significa avere un concetto transculturale derivato dagli studi Cross-culturali. Sappiamo, attraverso la Transcultura, che vi sono diversi concetti di malattia; impariamo dagli studi Cross Culturale, come definiscono le varie culture il concetto di malattia.
La Cross-Cultura, oggi, la troviamo molto comunemente nell’ambito professionale, nei rapporti commerciali, nel marketing, nei rapporti e nel management Aziendale. Possiamo generalizzare l’applicazione in tutti questi ambiti come tutte le azioni che un’azienda moderna compie per rispondere alla necessità di considerare le pratiche e le preferenze dei consumatori in un contesto commerciale globale o internazionale, modificando e adattando i propri approcci a chi beneficerà del prodotto o servizio finale, e tutto ciò che fa per gestire in maniera ottimale dipendenti provenienti da culture diverse. La Cross-Cultura Aziendale ha come obiettivo la valorizzazione delle differenza all’interno delle aziende nazionali ed internazionali, con conseguente creazione di sinergie utili per accrescere il business dell’azienda.
Questo fenomeno viene inteso come l’insieme delle azioni di amministrazione di individui e attività che includono un background di culture alternative, che si incontrano al fine di produrre valore, per raggiungere i risultati dell’azienda. La migliore resa, in italiano, dell’espressione, è senza dubbio ‘gestione transculturale’, da non confondere con “gestione interculturale“. Ambedue implicano, una relazione, uno scambio tra culture diverse. Tuttavia, nella Cross-culturalità (gestione transculturale), la relazione si instaura solitamente per motivi lavorativi o di studio e porta ad una comprensione e accettazione delle differenze, con un conseguente cambiamento, che però in questo caso è solo individuale e non collettivo, mentre nella Intercultura, lo scambio avviene bi-direzionalmente e implica un cambiamento collettivo di tutti i soggetti, dovuto all’interazione stessa.
Il Cross Cultural è, quindi, un concetto che si riferisce a una visione panoramica e globale della cultura, che mira a cercare l’armonia nelle relazioni interculturali esplorando il modo di sfruttare le differenti caratteristiche culturali per unire le forze, allo scopo di raggiungere mete concrete. In un’azienda cross culturale, persone di diversa nazionalità conoscono, accettano e rispettano le culture con cui vivono, e interagiscono di conseguenza. Molti progetti internazionali o di espatrio falliscono o non arrivano a sviluppare tutto il loro potenziale proprio per non avere preso in considerazione l’aspetto cross cultural. Non vengono elaborate strategie di adattamento culturale che permettano di affrontare i problemi originati dagli scontri culturali, imparare a fondere talenti tra persone con origini molto differenti e, in definitiva, gestire competenze diverse, in un contesto sempre più internazionale e sempre più globale.
La società multiculturale è – o dovrebbe idealmente essere – una società ospitale, tesa ad accogliere e nel migliore dei casi abbracciare la differenza. Il concetto tradizionale di cultura, caratterizzato dall’omogeneizzazione sociale, dalla consolidazione etnica e dalla delimitazione interculturale, risulta inadeguato di fronte alla molteplicità di interconnessioni culturali sempre più fitte e complesse del processo di globalizzazione e trans-nazionalizzazione. In un contesto multiculturale, che coinvolge l’intero pianeta, gli incontri, i conflitti e le contaminazioni tra persone, popoli e culture si moltiplicano e oggi, più che mai, si rivela improponibile la concezione chiusa dei sistemi culturali, i quali, da sempre, si nutrono di ibridazioni e di scambi. La dimensione che viviamo è quella della frammentazione, del mosaico; per dirla con il termine francese che ci appartiene, è quella del Métissage.
@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Multipotentialite Wantrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. Mi trovi anche sul Canale Telegram, e su ClubHouse come @wizzylu.