See on Scoop.it – THE ONE DROP RULE – LA REGOLA DELLA GOCCIA UNICA
Succede in una mattina nebbiosa. Te ne stai tranquillamente seduta nella sala d’aspetto di un anonimo ospedale Italiano.
Succede che ogni tanto lanci un’occhiata all’orologio dinanzi a te. Ti accorgi che le lancette dei secondi scandiscono un ritmo che non ti appartiene. Inesorabilmente lento. Inesorabilmente ripetitivo.
Inesorabilmente cupo.
Succede pure che i tuoi pensieri corrano più veloci di quel ritmo. E soprattutto quell’unico pensiero fisso:"che ci faccio qui?"
Succede, ovviamente, che la risposta la conosci. Spietatamente. Forse non hai voglia di ammetterlo,ma la conosci. Punto.
In tutto questo turbinio di fisica quantistica di pensieri che alleggia, succede che, improvvisamente, spuntano dal nulla due anziani.
Potrebbero essere coniugi. O forse fratelli. O forse cugini. O che ne so? E che importa?
Fatalità succede che ci siano gli unici due posti liberi, uno alla mia destra ed uno alla mia sinistra. Il loro sguardo verso di me era alquanto impenetrabile e indecifrabile. Non una sola parola, solo due semplici gesti. Il Signore alla mia destra, la signora alla mia sinistra.
Succede che non posso fare a meno di sorridere nella mia piccola testina. Sono un’antropologa. Sono appassionata di simbologia.
Non mi poteva sfuggire di certo una considerazione sulla mia posizione. Deformazione professionale? Senso di provvisoria onnipotenza? Presuntuosamente (e sommessamente!) penso di essere la divinità. Con la "d" minuscola, che sia mai!
Ma perché proprio la donna alla mia sinistra? Fonte di guai
la parte sinistra. Indubbiamente. Un leggero presentimento.
Il sole governa il giorno e la luna governa la notte. Nel grande sistema della Massoneria,il Sole e la Luna rivestono un ruolo fondamentale nei rituali e nelle cerimonie.
Il Sole è sempre raffigurato sul lato destro e la Luna sul lato sinistro.
Il Sole è sempre legato alle qualità maschili e la Luna è sempre legata alle qualità femminili.
In Africa occidentale, la tribù Fon racconta del dio sole maschile e di sua sorella gemella, la dea Luna.
Il Sole e la Luna simboleggiano la coppia di opposti.
Tutto nell’universo visibile ha un “opposto”.
Il SOLE governa il giorno, ma la LUNA governa la notte.
Il GIORNO porta luce, ma la NOTTE porta l’oscurità.
La LUCE porta il calore – ma il BUIO porta il freddo.
Il CALORE porta il secco ma il FREDDO porta l’umido.
Il GIORNO simboleggia la vita, ma la NOTTE simboleggia la morte.
La VITA è considerata buona, ma la MORTE è considerata male.
UN’ESPLOSIONE! Un gran boato. In questo turbinio di considerazioni, una domanda squarcia il brusio della sala.
"Da dove vieni"? Mi guardo attorno in cerca della fonte di quel rumore, di quei suoni dall’inflessione tipicamente dialettale. Flash! I miei occhi si fermano esattamente a gradi 180. Due occhi blu immensi mi fissano. Con aria quasi di supponenza (mah! sarà una mia impressione!). Con aria inquisitoria (mah! sarà ancora una mia impressione).
Ma sì, dai, facciamo questo sforzo per l’ennesima volta! Succede che, in un barlume di generosità, apro la bocca per dire semplicemente alla signora seduta alla mia sinistra e interessata alla mia persona (non capita mica a tutti di avere questa meravigliosa considerazione alle 8 di mattina!!),che vengo dalla "valle del paradiso", zona alquanto bazzicata dai trapassati di questa piccola cittadina alle pendici delle Prealpi Venete.
La signora, indispettita, mi risponde: "sì, va ben, ma, ti da dove vientù?". Ok. Un po’ di Alzheimer a questa veneranda età ci sta. Capisco, dati i precedenti e la considerevole esperienza, che il mio
aspetto esteriore possa aver fuorviato la sua concezione di appartenenza.
Decido di giocare un po’. Con una bella platea di inoccupati, tutti con le orecchie ritte a godersi lo spettacolo.
"Le ripeto, siora, vegne dalla val de paradiso". Ooooo!!! Una folgorante risata! A due denti.Questi le sono rimasti e le dà un’aria quasi (quasi eh?) simpatica.
La signora è in uno stato di divertimento puro. E ride. E ride l’amico/fratello/marito/compagno suo.
E ridono i presenti nella sala.
"Bene" – ho pensato – "in un certo senso l’ho accalappiata. L’ho addolcita. Ora entreremo in empatia. Non avrà certo il coraggio di andare oltre. E’ troppo presa dalla risata e dai complimenti per il mio dialetto perfetto! Ed io troppo convinta di aver dimostrato, con il mio dialetto, di essere della zona, parte integrante della cornice, pezzo da scacchi in una piattaforma perfetta"
NIENTE DI PIU’ FALSO. "non te se de qua – non sei di qua – da che paese extracomunitario vientu?" (Da cosa l’avrà mai dedotto che il mio paese è extracomunitario? Ah! già la lingua Italiana. Tutto ciò che non è Italia, è Extra! 🙂 )
Succede che a queste ore di mattina, per quanto sia una persona pacifica, tollerante ed affabile, non abbia voglia di protagonismi. Va bene giocare. Ma il gioco si ferma quando scocca l’ora.
E per me era scoccata da un bel pezzo. Mi trascino solo per rispetto alla sua veneranda età(ed ovviamente mi dò letteralmente la zappa sui piedi) e le chiedo perché non crede che io venga dalla "valle del paradiso".
La sua occhiata è stata lapidaria. Muta come un pesce, con le labbra a penzoloni, attendo la risposta che, ovviamente già conosco.
Ma ancora più basita sono rimasta quando la vera risposta è arrivata! Senza esitazioni, senza vergogna, senza considerazione si è lasciata andare ad una pantomima degna della "Scala" di Milano. Mi mette il dito sulla guancia ed esclama (non ho capito se con entusiasmo, con ironia o con divertimento puro) "Tiiiiii te
se un sciantin’ scuretta par esser da a "valle del paradiso".
Non vi dico la risata generale nella sala d’aspetto.
Non vi dico l’amico/fratello/marito/compagno suo che incalza con un "ee sì pooo"!! E lei.. sempre più divertita, guardandosi attorno e incamerando tutto quel fragore e chiacchiericcio.
La "vendetta" è presto servita! L’infermiera esce, chiama un nome e cognome. Lo scandisce perfettamente in quella stessa inflessione dialettale della mia compagna di avventure alla mia sinistra.
Un nome e cognome con i requisiti DOC, DOP, IGP ed SGT. Da puro veneto. Era il mio! Mi alzo divertita mentre tutti – ma proprio tutti!!! – mi fissano mentre faccio i 9 passi che mi separano dalla porta d’entrata all
‘ambulatorio, ed io ricambio con una rapida occhiata e con il sorriso sornione di chi è certo d’aver avuto giustizia!
In quei nove passi faccio anche la considerazione che il mito del "privilegio bianco" qui non c’entra proprio nulla.
E’ gente anziana, abituata a vedere monti, campi, "schei" , vin bacò, ombrete, spritz, poenta, osei e sagre. Ed anch’io cado nello stereotipo veneto. Pecco dello stesso peccato che condanno negli altri. Ma stavolta il peccato è fatto su misura per me! Usiamolo! 🙂
Qualsiasi cosa che trascenda dalla loro visuale quotidiana,
incita curiosità. E’ normale, se pensiamo con la stessa testa. Se riusciamo ad immedesimarci nelle loro singole vite fatte di duro lavoro, sofferenza e chiusura mentale. Come è normale il loro modo di porre le domande e soddisfare le proprie curiosità. Lo farebbero anche a qualsiasi altra persona abbia qualcosa che ai loro
occhi risulti "fuori-posto".
Succede però che la botta peggiore stia ancora per arrivare!
Sono dinanzi alla porta dell’ambulatorio, quando l’infermiera, con voce stridula, forte, sonora, piena, robusta, squillante, indistinta e … direi, fastidiosissima, mi guarda con aria di sfida e grida "Ho detto Nome e Cognome da TE vengo dopo".
Da ME???? La conosco? Per nulla. Mai vista! E’ ancora in fasce e si permette di darmi del TU????
La guardo pacatamente, con tono lieve, pacifica, ridondante e cantallinante quasi drogata da tanta supponenza ed arroganza, e con un sorriso visibilmente da ebete le rispondo testualmente così
"Bellezza mia: intanto mi dia del LEI dal momento che sono VISIBILMENTE più anziana di lei e poi Nome e Cognome sono io in carne ed ossa".
Questa è fatta, ho sussurrato tra me e me, con la mano mi son fatta spazio, ho trapassato la porta e sono andata dritta
dentro l’ambulatorio, con lei alle mie spalle ancora con le labbra a penzoloni. Ho riverito con i dovuti omaggi e rispetto
il chirurgo di turno e gli assistenti li presenti. L’infermiera, con un velo di risentimento, probabilmente, di vergogna, (sempre se ancora vi sia il senso della vergogna in giro!) viene dritta da me e si prostra in battute tipicamente da osteria.
Succede che io, purtroppo, perdono ma non dimentico. Le chiedo se per caso non si è scordata di nulla. Arrossita, si scusa terribilmente per l’atteggiamento e imbarazzatissima comincia ad arrampicarsi sugli specchi con scuse che non sto nemmeno a raccontare per quanto idiote siano. La salvano poi i medici cercando di fuorviare
l’argomento e rendere meno pesante l’aria in quella stanza. Non oso pensare ai loro veri pensieri "Questa chi si crede? Arriva qui in un paese che non è suo e si permette di dettar legge?! "
La mia intelligenza è sprecata per continuare la bagarre. Lascio cadere la cosa con savoir faire, illuminandoli sulla mia vera identità (e qui ho davvero visto il vero volto dell’imbarazzo. Il che mi è bastato). Commento quella specie di piercing che l’infermiera si è fatta sulla lingua. Non mi rimane altro.
La situazione davvero si era fatta ridicola e avevo notato come ci sguazzavano bene a discorrere di idiozie. Forse un pò per scaricare la mini-tensione, forse perchè davvero è il loro leit motiv, forse per….non oso nemmeno pensarci. In quel giochetto di ebeti avevo deciso di non entrarci. Poco ma sicuro. Mi sono solo raccomandata che facessero egregiamente il loro lavoro. Cosa che ovviamente è avvenuto. Almeno questo.
Succede, infine, che tiro le somme:
1) La simbologia ha davvero il suo peso nelle nostre vite quotidiane?
2) La curiosità è una bellissima cosa. E’ vitalità, voglia di conoscere, voglia di misurarsi. Fino a che punto è lecito soddisfarla?
3) E’ davvero sufficiente avere un’ottima cultura, aver viaggiato molto, aver vissuto un’infinità di vite diverse, aver avuto esperienze riservate a pochi, aver avuto avventure che pochi umani hanno avuto il fegato di superare? E’ davvero sufficiente tutto questo per saltare a piè pari certi ostacoli culturali e mentali?
©Luisa Casagrande