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Dopo le prime due interviste a due amiche mixed davvero speciali, Bipasa Zoo e Roberta Abiodun Shitta, ho ricevuto alcune mail da persone che seguono il mio blog, tanto sorprese sul fatto che l’esperienze raccontate non fossero esattamente come quelle che erano abituate a sentire.

E cioè che noi bi-razziali siamo degli outsiders, nell’accezione più negativa; che siamo vittime di crisi di identità che spesso ci porta ad una confusione talmente sconvolgente da renderci la vita un inferno; che soffriamo incondizionatamente perché non riusciamo ad identificarci in nessuna delle due “razze” che ci appartengono (nella fattispecie nero/bianco); che siamo rifiutati da entrambe le parti; che siamo nel continuo status di sentirci in deficit di qualcosa che gli altri hanno, di una sorta di senso di confort e di appartenenza; che bi-razziale significhi sentirsi sempre un po’ soli e confusi e che la parola “razza” ci perseguiti ovunque; che ogni frangente della nostra vita cada da una parte o dall’altra e che non vi sia uno spazio sicuro al 100% per noi, una casa in cui rifugiarci, tra i nostri simili; che siamo trattati da quella indefessa regola del  “one drop rule”, secondo la quale, avendo anche un singolo goccio di sangue nero, noi non possiamo che essere inclusi tra i neri, e dunque saremo incondizionatamente dei neri.

Alla fine sono rimasta io piuttosto sorpresa e inquisitiva, nonostante abbia una gran bella panoramica di come funzioni il nostro mondo nella società.  Quando mi raccontano che, da piccoli, venivano apostrofati come “zebra” , “Oreo” (qui in Italia va tanto di moda “Ringo” e “Calimero”) e addirittura a qualcuno veniva simpaticamente detto, dalle proprie zie, che aveva il colore della pelle simile a quello dell’urina (pensando di fare un complimento, non certo per offesa!!!)… beh … mi si sono rizzati i peli. Voglio dire … ci vuole una gran bella fantasia a trovare certe similitudini, per di più da persone che dovrebbero amarti incondizionatamente.

A maggior ragione, mi sono ancora di più convinta dell’assoluta necessità di stare insieme, di trovare uno spazio tutto nostro in cui confrontarci, affrontare le sfide uniche che derivano dall’eredità mista e portare le nostre esperienze come arricchimento per chi si sente, ERRONEAMENTE,  un “escluso”. Uno spazio in cui possiamo essere liberi di esprimere come ci sentiamo, come vogliamo essere e dove trovare un senso di vera appartenenza, magari trasmettendo ai più giovani il valore e l’importanza di questo senso di inclusione. Anche ognuno di noi è diverso dall’altro nella propria soggettività, nelle proprie esperienze di vita, nelle proprie emozioni meravigliose e nelle proprie rabbie. Tutto questo va espresso liberamente, nella sua essenza. Ma va fatto tra persone che ben capiscono di cosa si parli, dove nessuno si distingua e tutti si appartengano.

Oggi sono davvero onorata di presentarvi Pamela, altrimenti conosciuta come “Meticciamente”, una delle donne più attive nella divulgazione dei temi sulla diversità. Anche lei, come Roby e Kwanza (che presto conoscerete) è uno dei pilastri di questa nuova casa che presto andremo a costruire. Ci conosciamo da parecchio tempo ed in lei ho sempre ammirato la chiarezza nell’esposizione dei concetti e delle idee, la precisione, l’attenzione scrupolosa e la grande delicatezza nel cercare di non urtare i sentimenti e la sensibilità altrui. Posso dire, con immensa  tranquillità, di stimare la sua grande capacità di mediare e rendere una discussione decisamente più interessante di quello che potrebbe apparire. Ma lasciamo a lei la parola!

Ciao Pam! Chiedo scusa per la lunga tiritera del preambolo, ma le mail ricevute mi hanno spiazzata per un attimo e mi sono sentita di condividerlo con voi tutti. Allora … anche per te, la classica fastidiosa domanda: What are you? Cosa/Chi sei?

Ma figurati, sono argomenti di cui solitamente si parla poco e male, quindi è normale che ci sia un certo fermento nel dibattito e che emergano situazioni anche molto distanti le une dalle altre. Trovo molto interessante questa voglia di condividere le proprie esperienze, anche se negative, vuol dire che c’è un reale e urgente bisogno di spazi come questo!

Tornando a me, mi presento: sono italiana dal lato materno e ivoriana da quello paterno, attualmente vivo ad Abidjan (Costa d’Avorio), dove mi occupo di contabilità e amministrazione per un ente internazionale. Sono l’autrice del blog MeticciaMente che è nato proprio con l’intento di raccontare e condividere le mie esperienze e riflessioni personali su questi argomenti, quindi mi sento onorata e contentissima di far parte di questo splendido progetto.

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In quale ambiente sei vissuta?

Ho quasi sempre vissuto a Roma, in un quartiere medio borghese, quasi esclusivamente bianco. C’erano solamente altre due famiglie con origini afro e ci conoscevamo tutti. Questo contesto mi è sempre stato molto stretto e, in effetti, già dall’adolescenza ho iniziato a frequentare altri ambienti nei quali mi sentivo più a mio agio.

E’ per questo che hai deciso di trasferirti in Costa D’Avorio?

Non esattamente! Oltrepassata la soglia dei 30 ho sentito la necessità di fare un bilancio della mia vita e mi sono resa conto che ero arrivata ad un punto morto nel mio percorso identitario e personale, avevo dato un senso alle questioni irrisolte della mia vita in Italia e sentivo il bisogno di fare un ulteriore passo verso la conoscenza di me stessa e della mia identità. Ho deciso quindi di intraprendere questo viaggio verso il mio paese di origine, dove in quel periodo vi era anche mio padre, nella speranza di ritrovare e riposizionare i tasselli mancanti del mio puzzle. Doveva essere inizialmente una vacanza di qualche mese, ma avendo già deciso per questioni professionali di lasciare l’Italia prima di partire, ho pensato che sarebbe stato piuttosto interessante trasferirmi direttamente qui e, in un certo senso, recuperare il “tempo perduto”.

 Che tipo di educazione hai ricevuto?

Sono cresciuta con la mia famiglia materna, quindi, in un contesto prevalentemente bianco. Mio padre, seppure fisicamente presente, non è mai intervenuto molto nel mio percorso educativo e, avendo un rapporto abbastanza conflittuale con le sue origini africane, ha sempre avuto una certa reticenza nel farmene parte. Paradossalmente sono state mia mamma e mia nonna italiane a mantenere vivo il legame con le nostre radici, attraverso l’apprendimento del francese, il mantenimento di legami con alcuni parenti ivoriani in Europa, l’impegno costante a creare una curiosità e un interesse nei confronti dell’Africa e dei viaggi in generale. Hanno cercato in ogni modo di non farmi sentire diversa, ma in un’ottica prevalentemente colorblinded che, come sappiamo, non è efficace per affrontare questioni legate al multiculturalismo e alle identità multiple. Infatti, nonostante i loro sforzi, ho avuto per molto tempo la percezione di essere comunque diversa da loro e dal contesto in cui sono cresciuta, e di non avere nessuno che potesse capire queste mie difficoltà. Non avevo gli strumenti adeguati per capire da dove venisse questo senso di inadeguatezza e ci sono voluti molto tempo e molta fatica per capire realmente chi fossi.

Eppure, questo è una cosa che spesso mi sono permessa di consigliare alle madri/padri (pochissimi) single di bambini misti, perché per me, è fondamentale, se non indispensabile non far sentire il bambino un outsider. Non ho mai raccolto molto entusiasmo. Anzi, con piglio secco, mi si è sempre risposto che “non conoscono nulla della parte africana e quindi non gliene può fregar di meno a mantenere vivo la radice africana al proprio figlio” . Tu che ne pensi?

Credo sia un atteggiamento di chiusura un po’ egoistico, frequentemente determinato dalle difficoltà nei rapporti familiari tra le due parti. Mi rendo conto che spesso sia difficile assumere questo ruolo di guida, soprattutto se si è molto distanti dalla parte africana, ma pur con tutti i limiti che si possono avere ritengo che già solo l’impegno nel provarci aiuti il proprio figlio a sentirsi accompagnato e legittimato in un eventuale percorso di riscoperta, che poi starà comunque a lui fare, nel caso in cui ne sentisse il bisogno. Magari non si riesce a cancellare del tutto quella sensazione di sentirsi un outsider, ma si aiuta il proprio figlio a crescere con la consapevolezza della propria complessità e la percezione che essa sia accettata ed apprezzata da parte dell’altro genitore, giovando quindi alla sua autostima e limitando i suoi sensi di colpa nel caso in cui volesse approcciarsi un giorno alle proprie origini.

Che rapporti hai con la religione?

Provengo da una famiglia cattolica abbastanza praticante, nella mia infanzia ho frequentato assiduamente la chiesa e gli oratori, ma crescendo, dopo aver anche approfondito altre religioni, sono arrivata alla conclusione che nessuna di esse rispecchi la mia spiritualità. Credo in un’entità suprema che non ha né nome, né forma, è come un soffio vitale ed energetico che aleggia nelle nostre esistenze e si manifesta attraverso i nostri gesti, la natura che ci circonda, i rapporti con gli altri, le scelte che compiamo, etc. In ogni caso, ci sono alcuni principi della religione cattolica che hanno fatto parte della mia educazione e che mi accompagnano tuttora, pur con tutti i limiti e gli scivoloni in cui incorro durante il percorso.

E qui, indubbiamente, esce la parte africana, il mondo delle energie e degli spiriti. Come la vivi inserita direttamente nella sua genesi in Costa D’Avorio? E’ stato uno “stacco” naturale o hai avuto necessità di tempo per assimilare questo alone misterioso?

Ho sempre avuto un rapporto molto stretto con la natura, nel senso che è un elemento a cui ho sempre riservato molto rispetto e dal quale ho sempre tratto molte sensazioni benefiche ed appaganti. Ho anche sempre cercato di ascoltare il mio istinto e le mie emozioni nell’effettuare le scelte importanti o nello scegliere la strada da seguire. Quindi, in un certo modo, ero anche prima una persona abbastanza ricettiva in questo senso. Ciononostante, la permanenza costante e l’incontro profondo con questa realtà, in cui le persone si lascino guidare da tali energie e restano disponibili ad accoglierle, ha amplificato il mio modo di relazionarmi ad esse, anche se con qualche titubanza all’inizio. Chi non ha mai vissuto in questi contesti difficilmente riesce a comprendere la forza dei legami umani e spirituali tra i viventi, gli antenati e la natura, è difficile da spiegare e ci vogliono un po’ di tempo e un’esperienza diretta per metabolizzarli. Io provengo da un villaggio di pescatori lungo la costa e l’acqua è il nostro elemento vitale, in senso fisico e spirituale. La laguna è il luogo attorno a cui tutto ruota e i nostri antenati riposano nelle sabbie che la circondano. Una delle sensazioni più potenti che abbia mai provato in vita mia è quella di ritrovarmi lì, in piroga sulle sue acque o seduta durante una cerimonia per i nostri antenati, in mezzo a una natura imponente, e percepire un senso di protezione, di rispetto e di pace incommensurabile, come se assorbissi una forza e un’energia apparentemente inspiegabili.

Tick the box: quale tra queste categorie usi per definirti? E con quale ti identifichi? Perché? °African °AfroItaliana °Afroeuropea °Italo_Ivoriana °Afrolatina °Bianca °Nera °Birazziale °Mista °Multirazziale °Altro…..

I termini “italo-ivoriana” e “mista” sono gli unici che effettivamente descrivono in maniera oggettiva rispettivamente le mie origini e il mio colore. In base però alle situazioni mi capita di utilizzare, principalmente in Italia e quasi mai in Costa d’Avorio, anche i termini “afrodiscendente” o “afroitaliana” quando si parla di argomenti generici che riguardano la nostra identità o la nostra posizione all’interno della società italiana. Quindi dipende molto dalle situazioni e dal mio interlocutore, nel senso che tutte queste definizioni servono agli altri, più che a me stessa, per rendere a loro intellegibili, semplificandoli, concetti culturali e identitari molto più complessi. Ho perso l’abitudine e la pazienza di intraprendere lunghe conversazioni per cercare di spiegare la complessità del nostro punto di vista, perché, in linea di massima, la gente non è disposta ad ascoltare, quindi tutte queste definizioni sono in realtà una scorciatoia comunicativa.

Ecco l’importanza di avere uno spazio in cui l’ascolto e la condivisione diventano fattori imprescindibili. Sei accettata completamente nel gruppo in cui ti identifichi?

In realtà non mi identifico in nessun gruppo, sono piuttosto gli altri che tendono a categorizzarmi. In Italia sono percepita generalmente come una nera, quindi, sono stata oggetto di discriminazioni come tanti altri e, in questo contesto, condivido le stesse difficoltà e battaglie delle persone non miste. In Costa d’Avorio, invece, sono generalmente percepita come bianca o talvolta mista, ma, a parte qualche stereotipo nei miei confronti, non sono mai stata vittima di discriminazioni. Direi che il mio colore, a prescindere da come venga percepito, è un aspetto molto più rilevante in Italia che in Costa d’Avorio.

 Quando non vieni accettata, che tipo di emozioni provi?

 Le mie emozioni sono molto cambiate nel tempo, se da giovane il desiderio di essere accettata era molto forte e provavo molta rabbia e frustrazione quando ciò non avveniva, probabilmente anche a causa della mia stessa insicurezza, ora, tendo a non dargli più molta importanza. Nel senso che non prendo più sulle mie spalle il peso dell’ignoranza e della superficialità altrui, non ho più bisogno dell’approvazione degli altri per esistere e sentirmi a mio agio con me stessa e credo anche che questo si percepisca dall’esterno, quindi anche le persone tendono a mantenere un certo contegno, molto più di prima, evitando di prendersi troppe libertà o di lanciare provocazioni. Capiscono al volo che non ho problemi ad andare avanti per la mia strada, sempre a testa alta, a prescindere dalla loro accettazione o meno.

Sperimenti mai la prevalenza di una “razza” sull’altra?

Avendo vissuto principalmente in Italia e in Europa e non avendo mai usufruito del privilegio bianco, se non per riflesso indiretto attraverso la mia famiglia italiana durante l’infanzia, ho sempre avuto una maggiore connessione con la mia parte nera, anche rispetto a quello che dicevo più su riguardo alle discriminazioni. Quindi credo che la risposta alla tua domanda sia sì, in passato l’ho sperimentata, ora non credo.

Ti capita mai che le persone sbaglino a classificare la tua provenienza/”razza”?  Se sì, come ti classificano di solito?

Sì, pensano sia caraibica o antillese.

Ti senti parte di una minoranza etnica?

Non proprio.

Hai faticato/Fatichi a capire a quale “razza” appartieni? Riesci a spiegarmi perché?

Ho sicuramente faticato in passato a trovare la mia identità perché era difficile non lasciarmi influenzare in questo percorso da come mi vedevano gli altri, ma oggi non mi sento di appartenere a nessuna “razza”, sono una donna mista e sto apposto così.

Sei mai in conflitto con la tua identità culturale e razziale?

Il conflitto è durato per molto tempo, ma a seguito di un lungo percorso personale e culturale, credo di aver trovato un mio equilibrio.

Come vieni trattata dai membri della tua famiglia? (sia quella bianca che quella nera)

Bene in entrambi i casi. Sono sempre stata un membro un po’ fuori dagli schemi in tutte e due le famiglie, perché non mi sono mai conformata ai presunti standard di entrambi i contesti. Tutti hanno saputo accettare il mio modo di essere anche se talvolta potevano faticare a comprenderlo.

Pensi di essere discriminata perché bi-razziale? Perché?

Discriminata magari no, ma sicuramente vittima di qualche pregiudizio, da un lato e dall’altro, nel senso che non sono mai abbastanza nera per i neri e mai abbastanza bianca per i bianchi e solo pochissimi concepiscono l’idea che anche trovarsi nel mezzo sia una condizione di tutto rispetto, direi che in un certo senso si tende a delegittimare o sminuire il nostro vissuto in quanto misti.

Pensi di essere privilegiata perché bi-razziale? Perché?

Credo di sì, perché questo mi ha reso molto più aperta e curiosa nei confronti delle diverse realtà in cui vivo, mi consente di far cadere quelle barriere fisiche e mentali che si erigono tra due mondi e due culture, perché in sostanza sono nel mezzo, o meglio, faccio parte di entrambi in un modo assolutamente unico e personale.

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Ritieni che la tua categoria razziale definisca “cosa” sei?

Non credo di potermi identificare con un gruppo etnico, quindi in definitiva, io sono io,  con le mie sfumature e sbavature, non quello che rappresento magari agli occhi degli altri.

Sei mai stata vittima del colorismo interazziale o intrarazziale? Se sì… puoi raccontare una tua esperienza dell’uno e dell’altro? E come hai reagito?

Sì, parlando di razzismo con dei neri mi è capitato di sentirmi dire che, essendo chiara, non ero in grado di capire la loro situazione, oppure, criticando l’abitudine di molti neri, soprattutto africani, di schiarirsi la pelle, mi è stato detto che la mia critica derivava solo dal fatto che io ero già chiara e che quindi non facevo testo.

Qui in Costa d’Avorio invece il mio colore chiaro è percepito come elemento indiscutibile di bellezza, rispetto a carnagioni più scure. Ad esempio, mi viene spesso rimproverato di passare troppo tempo sotto il sole, soprattutto al villaggio dove faccio lunghe passeggiate all’aria aperta, perché, dicono, rovino il mio bel colorito chiaro e divento troppo scura, come se fosse un male da evitare!

E questo si ricollega anche alle reazioni di alcuni bianchi, che attribuiscono al mio colorito non troppo scuro una connotazione positiva, in quanto mi rende ai loro occhi “migliore” degli altri (gli altri neri) e quindi più accettabile.

Ti è mai stato chiesto di scegliere una sola “razza” perché non non puoi essere ambedue? Cosa hai risposto?

Non tanto rispetto all’origine etnica, ma più che altro rispetto alla presunta appartenenza culturale. Tra l’altro poi, le persone non chiedono neanche, danno per scontato che, in base alla loro percezione, io debba sentirmi o essere più italiana o più ivoriana. È difficile spiegare che in realtà si possa essere sia l’uno che l’altro, ma questo poi è un loro problema.

Come reagisci alle micro-aggressioni in genere? A domande o uscite tipo “posso toccarti i capelli?”, “sembri così esotica”, “non sei come gli altri misti”, “ma parli bene l’italiano”

Se ritengo che la persona sia in grado di capire l’inadeguatezza e l’inopportunità di uscite simili cerco di farglielo comprendere con battute o spiegazioni, ma nella maggior parte dei casi neanche parlo più, basta uno sguardo o un ghigno di disapprovazione (sono molto espressiva) per mettere la persona in difficoltà e cambiare discorso o semplicemente interrompere la conversazione.

Cosa ne pensi delle bistrattate parole “Mulatta” e “Half-Caste”?
Assolutamente da evitare, rimandano a un passato talmente terrificante e hanno connotazioni troppo negative per meritare di essere usate.

Che messaggio ti piacerebbe dare alle nuove generazioni miste?

Direi loro di non cercare l’approvazione degli altri a tutti i costi, perché potrebbe essere una fonte di enormi delusioni e una grande perdita di tempo ed energie positive che potrebbero essere invece dedicati a se stessi per capirsi, conoscersi e accettarsi. Ognuno di noi misti ha una propria storia, un proprio percorso e una percezione diversa di sé e non si deve mai lasciare che siano gli altri a definire chi siamo e come dovremmo sentirci nella nostra pelle.

Suggerirei di non lasciarsi condizionare dalle dinamiche familiari e sociali e di mantenere sempre viva la loro curiosità nei confronti delle proprie origini (entrambe), senza reprimere, se si presentasse, il desiderio di approfondirle o riscoprirle.

Anche se dovessero avere la percezione di sentirsi incompresi, soli e confusi, vorrei dire loro che li capisco, sono sensazioni che ho provato anch’io, ma non devono mai dimenticarsi che, anche se ci si sente talvolta diversi, non c’è niente di male nell’esserlo, bisogna solo rendersene conto e andare avanti sempre a testa alta per la propria strada!

Mio figlio, ventenne, dice che siamo noi grandi a farci tutte queste congetture mentali. Che tra di loro non esistono queste paranoie. Io invece, ho il sospetto che i ragazzi si siano trincerati dietro questo concetto di colorblindness, negando tout court, il fastidio che hanno quando qualcuno si permette di affondare il coltello sul colore delle loro pelle o sulle compagnie multiculturali che frequentano. Tu cosa ne pensi?

Secondo me i giovani sono bombardati da un approccio comunicativo sulla questione che tende a far apparire il colore della pelle o le identità multiculturali come un problema, e la fase di vita in cui si trovano invece è, o dovrebbe essere, caratterizzata dalla spensieratezza e da una visione ottimista sul loro futuro. Quindi, perché dovrebbero focalizzarsi su un apparente problema al quale, tra l’altro, non vi è soluzione?

Noi adulti abbiamo avuto il tempo di fare il nostro percorso e siamo arrivati alla consapevolezza che abbiamo oggi grazie alle nostre esperienze, ai nostri dubbi, alle nostre scelte, ma anche grazie alle menzogne o alle omissioni dietro le quali ci siamo talvolta nascosti, dovremmo lasciare anche a loro lo spazio per sperimentare, sbagliare e decidere come e quando affrontare tali questioni.

Il nostro ruolo è quello di accompagnarli e consigliarli in questo percorso, sempre che lo vogliano, quando saranno pronti, fino a quel momento possiamo solo lasciare testimonianze come queste, condividere le nostre riflessioni, parlare con un linguaggio nuovo e dimostrar loro di essere disposti a tendergli la mano nel caso in cui ne avessero bisogno.

Ti ringrazio veramente di cuore, Pam. Sei stata molto preziosa nel tuo contributo, a maggior ragione, vivendo nella totalità, il tuo essere mista, nella terra d’origine. Non vedo l’ora di lanciare il nostro salotto virtuale ed avanzare con questo progetto. Un abbraccio immenso.

Grazie a te Luisa per questa opportunità! È sempre meraviglioso confrontarci tra di noi, ma è ancora più bello condividere con gli altri le nostre riflessioni. Spero possano servire ad ampliare le prospettive del dibattito e, perché no, magari essere uno spunto interessante per chi vive in equilibrio, ma soprattutto in bilico, tra due mondi e due culture. Mi sono già messa comoda nel tuo salotto virtuale, ahahah! Un bacio e a presto.

@Wizzy, Afro Bodhisattva, Entrepreneur, Physical Anthropologist, Freelance researcher of African Studies, culture, tradition and heritage, CEO Dolomite Aggregates LTD and Founder MBA Métissage Boss Academy . & Métissage SangueMisto.
Contact e-mail: mbametissage@gmail.com

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