Succede anche questo! I titoloni dei grandi tabloid di tutto il pianeta ci stanno tenendo in apnea propinando una sorta di “grande guerra del rap” tra Drake, una superstar del rap canadese, Mixed e Kendrick Lamar, una superstar del rap americano, nero. Nelle ultime settimane, infatti, i due si sono affrontati a suon di diss track (tracce piene di insulti) insolitamente scabrose, violenti, di alto profilo e dal ritmo incalzante, attirando l’attenzione di testate di primo piano come il New York Times e il Wall Street Journal.
A prima vista potrebbe sembrare una “banale” rivalità in un panorama musicale (quello del rap e dell’Hip Hop), in cui le faide possono spesso sembrare coreografate come uno spettacolo di Broadway, ma la recente uscita del disco di Kendrick Lamar, “Euphoria”, sfregia le diatribe con una ferocia che ridefinisce le battaglie del genere. “Not Like Us”, uno dei brani in esso contenuto, non è solo un insieme di versi taglienti, ma una dissertazione di sei minuti sull’autenticità, l’identità e l’appropriazione culturale che da tempo cova sotto la superficie dell’hip-hop. Il disprezzo di Lamar per Drake, articolato attraverso una potente abilità lirica, illumina una questione profonda che va oltre le rimostranze personali e tocca implicazioni culturali più ampie.
Il dissing, tuttavia, sta andando decisamente oltre l’ambito musicale. Qualche settimana fa c’è stata una sparatoria nei pressi dell’abitazione del rapper Drake, a Toronto. A rimanere ferito dai colpi di arma da fuoco è stata una delle guardie del corpo del cantante ma, fortunatamente, non è in pericolo di vita. Qualcuno ha osato dire che ci troviamo dinnanzi alla guerra dei due mondi, un conflitto tra due modi opposti di intendere il ruolo dell’hip hop e dei giovani uomini neri nell’America di oggi. Altri sostengono che ci troviamo dinnanzi al momento in cui il genere sarebbe morto. Sicuramente si è toccato uno dei momenti più alti della storia dell’hip hop con una faida tra rapper che non ha precedenti in queste modalità.
Più che ad un dissing, ciò a cui stiamo assistendo assomiglia ad una crociata, uno scontro che si gioca sul piano etico e politico. Kendrick ha voluto smascherare quello che lui ritiene un pessimo essere umano, non degno di essere eretto a simbolo dell’hip hop e della black culture. dando vita a una faida ideologica, che ha come obbiettivo quello di minare l’immagine pubblica di Drake. Non una lite tra rapper, ma una resa dei conti culturale, dove Kendrick attacca Drake sul piano dell’identità maschile e dell’appartenenza etnica.
La discordia pubblica tra Kendrick Lamar e Drake non è nuova. Nell’arco di oltre un decennio, la loro rivalità si è evoluta passando da battute subliminali a vere e proprie dichiarazioni di disprezzo, non limitandosi a intrattenere, ma fungendo da microcosmo per discussioni più ampie in ambito hip-hop. La loro lotta per la supremazia, intrisa sia di agonismo che di questioni personali, mette a fuoco il percorso (spesso criticato) di Drake nell’hip-hop, sfidando gli appassionati a considerare l’autenticità dei punti di accesso alla cultura.
Tuttavia, la recente rinascita di questa faida all’inizio del 2024 ha portato con sé un torrente di diss track che ha affascinato e diviso la comunità hip-hop. In mezzo a questa tempesta, “Euphoria” di Kendrick emerge come una dichiarazione potente, che smaschera il suo vero problema con Drake: la facciata di autenticità percepita e il suo tenue rapporto con la cultura nera.
L’hip-hop, come forma culturale creata dagli afroamericani, incorpora una varietà di influenze diasporiche provenienti dalle culture africane, caraibiche e afro-latine. Tuttavia, le sue radici fondamentali rimangono nella cultura afroamericana. Idealmente, i praticanti dell’hip-hop sono membri di queste comunità che non solo danno forma all’esperienza unica associata all’hip-hop, ma hanno anche la responsabilità di curarne i costumi e le tendenze.
Una delle questioni più evidenti che emergono dallo scontro lirico tra Kendrick Lamar e Drake riguarda l’identità razziale e il proprio grado di connessione con la Blackness, un argomento tabù che costringe a una conversazione più ampia e scomoda all’interno dei forum mainstream. Questo dà il via a una conversazione più ampia, forse scomoda, soprattutto per gli appassionati del rapper di “Family Matters”. Per i puristi dell’hip-hop che danno priorità a contenuti lirici potenti che incarnano l’estetica nero-americana del genere, la forza del proprio legame con la Blackness è fondamentale per valutare la bravura di un artista.
Nella diss track contro Drake, “Not Like Us”, Lamar coglie diverse opportunità per esaminare i casi in cui ritiene che il rapper canadese abbia tradito elementi della cultura hip-hop per dar lustro alla sua carriera. Il ritornello “Not Like Us”, è probabilmente un’allusione di Lamar al fatto che i praticanti del rap come Drake sono diversi dal suo calibro, che si attiene organicamente alla morale della cultura nera.
La doppia eredità di Drake, derivante da un padre afroamericano e da una madre ebrea canadese, è stata un aspetto significativo della sua narrazione personale.
Cresciuto dalla madre ed educato in una scuola ebraica, l’identità birazziale di Drake ha spesso portato a sentimenti di alienazione. Ne ha parlato in modo approfondito in un’intervista del 2010 con The Jewish Chronicle, in cui ha descritto la difficoltà di inserirsi nella comunità nera o in quella ebraica.
Ha approfondito le sfide sociali che questo comportava durante gli anni della scuola, spiegando: “Ho frequentato una scuola in cui nessuno capiva cosa significasse essere nero ed ebreo” e come questa ambiguità lo facesse spesso sentire escluso dai circoli sociali.
Data la sua educazione prevalentemente ebraica, è ragionevole supporre che Drake non sia stato molto esposto alle dinamiche della comunità nera. Tuttavia, poiché il suo patrimonio comprende radici afroamericane, gli elementi della cultura nera esercitano naturalmente un certo fascino su di lui.
Questo legame, tuttavia, è complicato da ciò che Kendrick Lamar critica in “Not Like Us”, dove suggerisce che il ritratto che Drake fa dei neri è solo un adattamento per placare le sue insicurezze.
Un po’ quello che succede tra le persone Mixed, in generale, dove il senso di non-appartenenza crea situazioni di profonde fragilità e vulnerabilità che poi portano ad atteggiamenti di negazione o incomprensibile esasperazione di una delle culture che si vive.
In “Euphoria”, Kendrick non si limita ad attaccare, ma decostruisce. Iniziando con un pezzo calmo e sinistro, passa rapidamente a una critica viscerale del carattere e della carriera di Drake. Mette in dubbio l’autenticità di Drake, lo accusa di essere un padre inadeguato, si fa beffe del suo uso dello slang di Toronto e critica il suo aspetto fisico. Tuttavia, questi attacchi personali fungono da copertura per accuse più profonde. Kendrick Lamar accusa Drake di appropriazione culturale, chiedendo quante “caratteristiche nere” gli serviranno per sentirsi “abbastanza nero”. Questa frase va al nocciolo della tesi del brano: l’adozione esterna della cultura nera da parte di Drake non equivale a una comprensione o a un rispetto interno per essa.
“Euphoria” è molto più di un brano di dissenso: è una presa di coscienza culturale. Sfida l’ascoltatore a considerare l’autenticità degli artisti che sostiene e delle narrazioni che consuma. Inoltre, la brutale onestà di Kendrick cerca di ricordare alla comunità hip-hop le radici del genere e l’importanza di mantenere la sua integrità contro la diluizione commerciale. Il brano ha colpito nel segno, risuonando con gli ascoltatori e i critici che sono stanchi degli impegni spesso superficiali con le questioni culturali critiche del settore.
“Euphoria” di Kendrick Lamar può segnare un momento cruciale nella sua faida con Drake, ma le sue implicazioni vanno ben oltre le loro questioni personali. È un invito all’azione per la comunità hip-hop a riflettere sui valori di autenticità, rispetto e integrità culturale. Mentre questo genere continua a evolversi, le voci di artisti come Kendrick ci ricordano il potere della musica non solo di intrattenere, ma anche di sfidare e ispirare.
“Euphoria” non è solo una testimonianza dell’abilità lirica di Kendrick Lamar; è un manifesto sulla proprietà culturale e sull’autenticità dell’hip-hop. Mentre l’industria si confronta con questi temi, la voce di Kendrick si distingue sia come custode della tradizione che come provocatore, sfidando sia i colleghi che i fan a impegnarsi più a fondo con le radici e le ramificazioni di questo fenomeno culturale.
Appropriazione culturale nell’hip-hop
L’hip-hop è sempre stato più di una semplice musica. È un movimento culturale, radicato nelle esperienze e nelle voci delle comunità nere. Come tale, l’autenticità e il rispetto di queste radici sono fondamentali. La critica di Kendrick si estende al di là di Drake come individuo e si estende a una critica più ampia di come l’hip-hop a volte si diluisca attraverso la commercializzazione e l’appropriazione da parte di artisti che non vivono le esperienze che ritraggono.
“ Non si tratta di critiche, né di espedienti, né di chi è il più grande… Si è sempre trattato di amore e odio, ora lasciatemi dire che sono il più grande hater. Odio il modo in cui camminate, il modo in cui parlate, odio il modo in cui vi vestite. Odio il modo in cui insultate di nascosto, se prendo un volo, sarà diretto”. Kendrick Lamar
L’ascesa di Drake alla fama, facilitata dal suo innegabile talento e dal precoce appoggio di Lil Wayne, gli ha permesso di navigare in spazi dell’hip-hop che altrimenti gli sarebbero stati preclusi, come riporta RollingStone. Tuttavia, la sua evoluzione come artista lo ha visto adottare personaggi e narrazioni che non sono necessariamente in linea con la sua storia personale, sollevando domande sull’autenticità della sua identità artistica.
“ Odio il modo in cui cammini, il modo in cui parli, odio il modo in cui ti vesti. Sono sorpreso che tu abbia voluto quella richiesta di servizio. Lo sai che abbiamo un po’ di roba da affrontare. Odio anche quando dici la parola “ni**a”, ma sono solo io, immagino. Certe stronzate sono semplicemente irritanti, non devono nemmeno essere profonde, credo”. (“Euphoria”)
Kendrick attacca Drake sul piano dell’identità maschile e dell’appartenenza etnica (la messa in discussione dell’identità bi-razziale) con la conseguente accusa di appropriazione culturale.
Gli anni di formazione di Kendrick Lamar a Compton, una comunità pesantemente colpita dall’epidemia di crack e caratterizzata da una popolazione prevalentemente nera e ispanica, hanno plasmato le sue prospettive, come descritto in un’intervista del 2012 al Guardian durante la promozione del suo album di debutto, Good Kid, M.A.A.D. City. Nato in una famiglia affiliata alle varie bande e sempre in fuga, Lamar ha osservato in prima persona l’impatto dell’assenza dei genitori sui suoi amici, molti dei quali non avevano una guida genitoriale, con padri spesso incarcerati e madri tossicodipendenti. Lamar ha attribuito al suo ambiente familiare, più stabile, con entrambi i genitori presenti, il merito di avergli dato la fiducia che mancava a molti suoi coetanei.
L’hip-hop è stato a lungo una voce di critica sociale, una tradizione inaugurata da brani come “The Message” del 1982 di Grandmaster Flash and The Furious Five che evidenziano le difficoltà delle aree urbane colpite dalla povertà. La comprensione delle continue sfide affrontate dalla comunità nera informa la creazione artistica nell’hip-hop, come illustrato nella diss track di Lamar contro Drake con riferimenti a eventi storici e all’esperienza dei neri.
Rinomato per la cruda rappresentazione delle lotte della vita nelle aree urbane colpite dalla povertà, il disco contiene le indimenticabili parole di Melle Mel: “È come una giungla a volte, mi fa chiedere come faccio a non affondare”. Sebbene applicabili su scala globale, queste parole sono un commento diretto alle condizioni di impoverimento del Bronx, rendendo “The Message” uno dei dischi pionieristici dell’hip-hop in ambito sociale.
L’importanza di comprendere la storia e le sfide che la comunità nera afroamericana deve affrontare non può essere sopravvalutata, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui comunica la creazione artistica. Questo principio è alla base della critica di Kendrick Lamar nel suo diss track contro Drake, dove scrive:
“Once upon a time, all of us was in chains / Homie still doubled down callin‘ us some slaves / Atlanta was the Mecca, buildin’ railroads and trains”.
Qui Lamar accusa Drake non solo di aver usato impropriamente il termine “schiavo” in “Family Matters”, ma ipotizza anche che le sue collaborazioni con artisti neri di Atlanta siano strategie calcolate e una superficiale ricerca di legittimità piuttosto che legami autentici. L’inclusione di questo riferimento storico amplifica il messaggio di Lamar, secondo cui Drake è lontano dal comprendere le delicate sfumature dell’esperienza nera.
Lo scontro tra Kendrick Lamar e Drake ha agito da catalizzatore, risvegliando i fan dell’hip-hop sopiti e spingendoli ad adottare una posizione purista approfondendo le sfumate battaglie liriche tra i due. Questo confronto ha illustrato efficacemente cosa accade quando gli artisti hip-hop rappresentano autenticamente gli ambienti che li hanno plasmati, oppure no.
Entrambi gli artisti sono indubbiamente interessanti per il pubblico nero, ma il significato più ampio risiede nella richiesta di fedeltà alla rappresentazione culturale, una richiesta sostenuta con forza dai sostenitori dell’hip-hop in tutti i settori.
Blackness e mascolinità di Drake
Questo tipo di invettiva sulla nerezza e sulla mascolinità di Drake è circolata da quando Drake ha fatto il suo ingresso nell’industria rap statunitense nel 2006-2010, e ha continuato a coesistere con il suo spettacolare successo musicale. Ad esempio, nonostante Drake sia stato nominato artista del decennio dai Billboard Music Awards del 2021, un numero impressionante di “meme di Drake” online lo deride come “non veramente nero”, “non un vero uomo” e “non un vero rapper”.
Da molto prima della recente faida, l’industria del rap ha spesso predicato l’autenticità del rap su specifiche nozioni di iper-mascolinità nera americana, uno stile di genere che la studiosa di African American Studies Imani Perry descrive come “a doppia voce”. Questo archetipo iper-maschile eccita il pubblico dei sobborghi bianchi con fantasie razziste su uomini neri iper-sessuali e criminali, ma offre anche modelli di potere e dignità ad alcuni uomini neri che vivono l’impotenza in una società razzista. Tuttavia, che si tratti di razzismo o di dignità nera, questo modello di mascolinità spesso richiede una pelle scura, che gli stereotipi popolari equiparano a una mascolinità più dura, e un’educazione impoverita nei quartieri neri ghettizzati delle città americane, come Compton, la città natale di Kendrick Lamar, in California.
In contrasto con questa norma del settore, Drake – nato Aubrey Drake Graham – è un uomo birazziale dalla pelle chiara, cresciuto più o meno nella classe media dalla madre canadese ebrea ashkenazita in un quartiere benestante di Toronto. Drake è stato anche attore adolescente, dal 2001 al 2008, nella soap opera canadese “Degrassi: The Next Generation”, in cui interpretava uno studente della classe media, artistico e gentile, che alla fine si ritrova sulla sedia a rotelle e soffre di disfunzione erettile.
Nel contesto del rap americano, tutti questi tratti posizionano Drake come un uomo nero inautentico e quindi, di conseguenza, un rapper inautentico. Per esempio, all’inizio della carriera di Drake, Katie Couric della CBS News ha illustrato il modo in cui gli stereotipi popolari di una mascolinità ebraica “morbida” potevano minare la credibilità del suo rap: Intervistando Drake nel 2010, Couric chiese subito: “Cosa ci fa un bravo ragazzo ebreo in una carriera come questa?”.
Anche per gli spettatori che non hanno familiarità con gli stereotipi sugli uomini ebrei “morbidi”, l’ebraismo è spesso associato alla bianchezza, alimentando l’errata percezione che l’identità ebraica pregiudichi l’autentica blackness. Drake stesso ha parlato di questa percezione. All’inizio della sua carriera di rapper ha dichiarato alla rivista Heeb: “Ho frequentato una scuola ebraica, dove nessuno capiva cosa significasse essere nero ed ebreo”. Se questa incomprensione ha portato alcuni compagni di classe di Drake a mettere in dubbio il suo essere ebreo, oggi motiva alcuni spettatori a mettere in dubbio la sua nerezza.
Ma se la carnagione, l’educazione di classe, l’identità ebraica e il curriculum di attore di Drake lo distanziano dalle norme dell’industria del rap, i suoi sforzi per colmare questa distanza lo hanno spesso contraddistinto come ancora più inautentico e persino come sfruttatore. Nel corso del tempo, Drake si è sforzato di allineare meglio la sua immagine al modello di iper-mascolinità nera dell’industria. Ad esempio, nel 2015 ha mostrato nuovi muscoli dopo un duro regime di bodybuilding e nel marzo del 2022 ha iniziato a legare i capelli in trecce tipiche dei rappresentanti rap neri.
Allo stesso modo, Drake si è orientato verso scelte di moda che evocano le comunità nere ghettizzate e ha iniziato a parlare più coerentemente in inglese vernacolare afroamericano, sia nelle esibizioni che nelle apparizioni pubbliche. Tuttavia, questi cambiamenti rischiano sempre di apparire artificiosi, perché le prime interviste di Drake e le sue esibizioni in “Degrassi” suggeriscono che è cresciuto parlando e vestendo secondo le norme della classe media canadese bianca.
In effetti, una lunga serie di critici, tra cui Kendrick Lamar, ha disprezzato questi cambiamenti come prova del fatto che Drake sta rubando dalla cultura nera o caricaturizzando la Blackness per rafforzare la sua commerciabilità. Ci chiede quanti altri featuring con artisti neri dovrà fare per sentirsi abbastanza nero. Particolarmente in “Not Like Us”, Lamar sottolinea i casi in cui ritiene che Drake abbia travisato elementi della cultura hip-hop per incrementare la sua carriera. Le critiche di Lamar ipotizzano che artisti come Drake non hanno l’autenticità che lui possiede e, con “Not Like Us”, allude alle loro differenze nel rispettare la morale della cultura nera. Lamar critica Drake per la sua rappresentazione del nero come adattamento per placare le sue insicurezze.
Sulla scia di questa faida rap, il tempo ci dirà come Drake continuerà a modulare il suo rapporto con le convenzioni dell’industria del rap e come i suoi futuri selfie saranno accolti da coetanei e pubblico. Ma comunque si evolva la sua immagine individuale, Drake rimarrà probabilmente un barometro di alto profilo per i più ampi dibattiti sull’autenticità culturale, la proprietà e il furto che tutti gli artisti (ebrei e non) devono affrontare sullo schermo.
Avvoltoio della cultura
“Hai chiamato Future quando non vedevi il club/Lil Baby ti ha aiutato a migliorare il tuo gergo/21 (Savage) ti ha dato una falsa credibilità di strada. Corri ad Atlanta quando hai bisogno di qualche dollaro/ No, non sei un collega, sei un f— colonizzatore”.(Kendrik Lamar)
Un altro rapper, Rick Ross, in una sua diss track, ha lanciato insulti sulla birazzialità di Drake, chiamandolo “white boy”.
L’hip-hop, come tutti i generi musicali, ha dimensioni razziali e affiliazioni culturali. Le conversazioni – e le critiche – sulla bianchezza nell’industria esistono da decenni, soprattutto quando il genere si è trasformato in un’attività lucrativa, culturale e da miliardi di dollari. Le conversazioni sulla birazzialità di Drake nell’industria non dovrebbero, però, essere usate per respingere le valide critiche alle sue presunte pratiche musicali di sfruttamento all’interno dell’hip-hop.
La capacità di Drake di rendere operativa la Blackness lo isola dalle critiche. Qualcuno potrebbe dire: ‘Beh, non puoi appropriarti della Blackness se non sei nero. Nessuno esclude Drake dalla Blackness. La gente, invece, si chiede: “In che modo trae vantaggio dalla supremazia bianca?”.
Chi vive dall’esterno questa diatriba ha davvero molta difficoltà di comprendere la profondità del problema o, per lo meno, capire il senso delle sfumature in cui ci si può trovare aggrovigliati nel nome del colorismo e delle esperienze (privilegi) che separa un nero dalla pelle più chiara che ha vissuto in contesti della media borghesia con un bagaglio di privilegi non indifferenti.
Lo scontro tra Kendrick Lamar e Drake ha risvegliato i fan dell’hip-hop sopiti e li ha spinti ad adottare una posizione purista, approfondendo le sfumate battaglie liriche tra i due artisti. Il confronto fa luce sull’importanza di una rappresentazione autentica degli ambienti che hanno plasmato gli artisti hip-hop, evidenziando la richiesta di fedeltà alla rappresentazione culturale all’interno del genere. Sebbene sia Lamar che Drake si rivolgano al pubblico nero, il significato più ampio risiede nell’autenticità e nel legame con l’esperienza nera richiesti dai sostenitori dell’hip-hop. La rivalità tra i due artisti serve a ricordare la responsabilità culturale di chi fa hip-hop, spingendo il genere ad affrontare discussioni scomode su razza, identità e radici della musica.
Negli altri, invece, ha risvegliato quel profondo senso di inadeguatezza per cui, ad ogni incomprensione, si viene attaccati sul personale aggrappandosi al colore (o alle sfumature) della pelle come se queste possano essere il metro di misura delle proprie competenze e dei propri talenti. Quello che si può constatare, per rimanere su un piano prettamente equilibrato, è che Kendrick percepisce l’adozione da parte di Drake di elementi della cultura afro-americana come un’assunzione non autentica o superficiale, per nascondere una mancanza e ricevere riscontro da terzi, mentre Drake la vede come un omaggio ed esaltazione di una caratteristica culturale che indubbiamente gli appartiene.
Dal punto di vista prettamente Mixed possiamo interpretare la questione come un’affermazione della complessità delle identità razziali e dei loro contesti sociali. Kendrick scivola in quello che è il colorism (cioè la discriminazione basata sul colore della pelle all’interno della stessa comunità nera) per denigrare mettere in discussione l’autenticità di Drake come persona non bianca ed insinua anche l’incapacità di Drake di gestire il suo sentirsi “in bilico” tra due identità razziali spingendosi ad insinuare che non sia amato da una parte della sua famiglia a causa di questo. Effettivamente succede spesso che molte persone dall’identità etnica multipla o mista hanno vissuto (e continuano a vievere) forme di razzismo interne alla propria stessa sfera familiare, con ricadute a livello psicologico durature nel tempo.
Il pregio, se ne vogliamo trovare almeno uno in tutto questo dissing, risiede nel fatto che l’Hip Hop, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, rimane ancora un ottimo strumento in grado verbalizzare conflitti culturali di enorme portata e di sublimarli artisticamente dando un importante significato sociale e identitario.
Luisa Casagrande. EDGEWALKER, Business Executive & Transformational Senior Mentor | Co-Founder & CVO Dolomite Aggregates™ Nig. LTD | Founder Métissage Sangue Misto™ & Métissage Dynamics© | Experiences Developer | Chief Diversity Officer. Investo molto sulle persone e sullo sviluppo del capitale umano, lavorando sui talenti e sulla valorizzazione delle singole specificità. www.luisacasagrande.com